Ho conosciuto abbastanza bene Matteo Salvini nei cinque anni che abbiamo trascorso insieme in Consiglio Comunale tra il 2001 e il 2006 e confesso che non avrei mai immaginato che potesse diventare un leader nazionale: mi sembrava un ragazzotto un po’ arrogante e un po’ ignorante, che compariva in aula soprattutto per sollevare polveroni raramente giustificati. Me lo sono ritrovato poi deputato europeo, con un numero sorprendente di consensi, poi successore di Bossi alla guida della Lega e adesso addirittura aspirante alla leadership del centro-destra (di cui faccio parte fin da quando lui era ancora a scuola). Ma la mia opinione su di lui non è cambiata: siamo di fronte a un abile e spregiudicato demagogo, bravissimo nei dibattiti televisivi cui viene chiamato fin troppo spesso a partecipare perché fa audience, ma pericoloso per il Paese più di quanto sia stato Haider per l’Austria, o di quanto siano oggi la sua alleata Marine Le Pen per la Francia o Nigel Farage per la Gran Bretagna. E’ pericoloso soprattutto perché lancia programmi che piacciono a molta gente, che in un momento difficile si appellano ai suoi istinti più primitivi, ma che sono del tutto irrealizzabili.

Proviamo a esaminarne qualcuno, cominciando dall’uscita dell’Italia dall’Euro. Mi rendo conto che l’adesione alla moneta unica ha portato dei problemi, dal lievitare dei prezzi nei mesi successivi al cambio alla fine delle svalutazioni competitive, ma ci ha permesso anche di gestire un debito che, già allora, era il più ingente d’Europa e il doppio di quello consentito dal trattato di Maastricht. Se non fossimo passati dalla lira all’Euro, oggi pagheremmo ogni anno non 80 miliardi circa di interessi, ma il doppio o il triplo. E se adesso abbandonassimo l’Unione monetaria, dato e non concesso  che si trovi il modo di farlo visto che non è neppure previsto dal trattato, ci troveremmo nella stessa condizione;  senza contare che , fatta la necessaria svalutazione selvaggia che l’uscita comporterebbe, ci ritroveremmo tutti più poveri. Dubito che prima di tuonare dagli schermi e indire referendum, il signor Salvini abbia studiato la pratica, per cui, temo, non ha neppure la competenza.

Prendiamo il suo atteggiamento ostile agli emigrati, questo sì condiviso, in linea di principio, da un gran numero di italiani (ed entro certi limiti, anche da me) e che probabilmente ha portato la Lega a superare Forza Italia nei sondaggi. Si tratta di un problema enorme, che ho trattato più volte in questa sede, ma che non si risolve con gli slogan come  crede di fare Salvini. Se si vuole non aizzare odio, ma trovare soluzioni realistiche è necessario formulare un piano comprensivo e articolato, che preveda una selezione più severa di coloro cui bisogna concedere asilo, limitare i ricongiungimenti familiari, provvedere alla espulsione di chi commette reati e molte altre cose che possono essere fatte senza violare trattati internazionali e senza infierire su quella parte di extracomunitari che lavorano onestamente e di cui abbiamo effettivamente bisogno.

Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso e mi ha indotto a scrivere queste poche righe è l’atteggiamento di Salvini nei confronti del resto del centro-destra e, ultimamente, dei dissidenti del suo partito. Se non è accecato dall’egocentrsimo e dall’ambizione, l’altro Matteo – come hanno cominciato a chiamarlo – deve sapere benissimo che la Lega, anche estesa al Sud, non va da nessuna parte se non rimane in quella grande coalizione di centro-destra che Berlusconi ha compiuto il miracolo di costituire nel 1994 e che bene o male ha resistito fino adesso. Se gli va proprio bene, arriverebbe al 15-18% , ma al prezzo di una solitudine che lo condannerebbe per sempre a una opposizione necessariamente becera e non costruttiva. Invece, il suo intento sembra di rompere i ponti con tutti, prima – e lì, con qualche giustificazione – con l’NCD di Alfano, poi con Forza Italia e adesso anche con  i moderati del suo stesso partito,se appena  si oppongono ai suoi metodi dittatoriali.

E’ vero che anche Bossi aveva l’abitudine di cacciare chi osava contrastare la sua linea. Ma era il fondatore del partito, un uomo con poche idee ma sicure e un indubbio fiuto politico. Non si possono fare paragoni. Al confronto del senatur, Salvini è solo un bullo che, esaltato dai sondaggi e dal successo che riscuote in TV, vuole un partito interamente piegato ai suoi voleri che lo segua su una strada che, ne sono certo, moltissimi leghisti non condividono. Il modo in cui ha gestito la controversia con Tosi, uno dei sindaci di maggior successo della penisola, apprezzato anche dagli avversari, mi sembra inaccettabile anche in un clima politico esasperato come il nostro; e, se dovesse portare alla sconfitta dell’ottimo Zaja nelle elezioni regionali del Veneto, potrebbe segnare una svolta.

Qualcuno immagina anche che Salvini miri a farsi candidare a sindaco di Milano nel 2016. Sarebbe un altro errore madornale; la città, da sempre in bilico tra destra e sinistra, può essere governata solo dal centro, come fece Albertini. E’ vero che, nel 1993, votò per il leghista Formentini, ma allora non c’erano alternative. Oggi, mai e poi mai, si consegnerebbe nelle mani di un estremista.

Concludo: di demagoghi è pieno il mondo, e molti hanno anche avuto successo, perché non sempre l’elettorato riflette sulle conseguenze del voto che da, salvo a pentirsene in seguito. Ma, con tutti i guai che già abbiamo, risparmiamoci almeno la leadership di uno che può diventare veramente “una variabile impazzita”. Sono certo che non tutti i miei lettori saranno d0accordo con questa diagnosi, e che forse riceverò più commenti negativi ma che positivi. Ma se uno ha una convinzione ferma, suffragata anche dall’esperienza, non può stare zitto se vuole essere a posto con la sua coscienza.