Alcune prime osservazioni a caldo sulla tragedia di Tunisi:

– Con l’attentato al museo del Bardo, l’ISIS, o una delle organizzazioni a lui affiliate, hanno fatto un ulteriore passo verso l’Italia. Se la Libia dista duecento miglia dalle nostre coste, la Tunisia è a meno di cento. Se vogliamo credere alla interpretazione dell’esperto collega Toni Cappuozzo, i terroristi avrebbero addirittura pianificato l’operazione per i0 l18 marzo perché sapevano che in porto ci sarebbe stata la “Costa fascinosa” e che quindi c’era maggiore possibilità di colpire degli italiani. Ma anche nel caso in cui questo non fosse vero, il coinvolgimento è dato dal fatto, documentato nell’articolo di Fausto Biloslavo, che nella preparazione dell’attentato erano sicuramente coinvolti elementi che hanno vissuto a lungo in Italia (in particolare a Milano), qui sono stati processati, carcerati e quindi espulsi. E’ la legge, e non potevamo fare altro. Ma bisogna tenere presente che le espulsioni non ci mettono affatto al sicuro da ritorsioni, perché rimettono in circolazione elementi pericolosissimi e  chi si vota al terrorismo probabilmente lo praticherà per tutta la vita. A molti sembrerà una bestemmia, ma forse non avevano tutti i torti gli americani quando, dopo l’11 settembre, crearono il “famigerato” carcere di Guantanamo.

– Abbiamo sempre detto che la Tunisia è l’unico Paese in cui la primavera araba è andata a buon fine: elezioni libere, vittoria iniziale di un partito islamista moderato, ritorno al laicismo e insediamento di un notabile già ministro di Bourgiuba alla presidenza della Repubblica. Tutto vero: ma è altrettanto vero che, proprio grazie alla libertà frutto della cacciata di Ben Ali, la Tunisia è il Paese arabo che ha fornito il maggior numero di reclute al Califfato e oggi ha il maggior numero di jihadisti di ritorno, cioè di quei giovani che sono andati in Siria ed in Iraq per addestrarsi e adesso sono pronti a mettere a frutto in patria quanto hanno imparato. Se poi si tiene conto del fatto che possono contare sull’appoggio dell’ISIS libica attraverso frontiere virtualmente inesistenti, c’è da temere che l’attacco al Museo (che, in origine, doveva essere in realtà un attacco al Parlamento) sia soltanto il primo passo di una operazione destinata a portare anche la Tunisia nell’ambito del Califfato.

– Fino adesso, al contrario di Madrid, Londra e Parigi, noi non abbiamo avuto attentati su vasta scala. Temo che, con il dilagare dell’ISIS lungo la costa meridionale del Mediterraneo, questa immunità – dovuta certo in parte alla efficienza dei nostri servizi segreti, ma anche a una decisione politica degli jihadisti – non durerà in eterno. In Italia abbiamo in programma, prossimamente, due avvenimenti particolarmente “appetibili” per una organizzazione che ha come scopo primario di ispirare panico e terrore: l’Expo di Milano e il Giubileo straordinario proclamato da padre Francesco. Entrambi attireranno in Italia milioni di persone, e renderanno pertanto più facile l’infiltrazione di potenziali attentatori; inoltre, rappresenteranno un bersaglio ideale per chi, come gli uomini dell’ISIS, non hanno obbiettivi particolari, ma hanno ordine di sparare nel mucchio. Per mantenere la sicurezza in queste circostanze faremo bene a chiedere la massima collaborazione ai servizi segreti non solo degli altri Paesi occidentali, ma anche della Russia, che in questa particolare guerra è per fortuna schierata dalla nostra parte.

– Ora che siamo davvero in prima linea, speriamo che tante coscienze finora addormentate si sveglino, che la gente si renda conto che ne va del nostro avvenire. Sono rimasto agghiacciato, due giorni fa, nel leggere  che in una classe di 25 ragazzi interrogati su che cosa farebbero se, come nel romanzo di Houellebecq, l’Islam andasse al potere anche in Italia, 23 non avrebbero problemi a convertirsi. Siamo ancora più “ventre molle” dell’Europa di quanto temessi. Purtroppo, l’esempio viene dall’alto e anche la Chiesa non si comporta con la dovuta fermezza: non per nulla, in un blog di appena dieci giorni fa, ho scritto che ci vorrebbe un nuovo Marco d’Aviano.

Queste sono le mie prime riflessioni, ma tornerò presto sull’argomento. Il Giornale,  grazie soprattutto a Magdi Allam, sta già facendo molto per dare vita a una “resistenza”, ma dobbiamo fare di più. Come sa chi mi legge, io sono sempre stato un seguace di Samuel Huntington e della sua teoria dello “scontro di civiltà”. Trovo ipocrita, e un po’ infingardo, chi ascrive la nascita e il successo dell’ISIS non a una applicazione, sia pure deviata, del Corano, ma la ritiene solo una nuova forma di terrorismo. Adesso che il nemico è davvero sulle porte di casa, studiamo meglio la pratica e diamoci una sveglia.

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