Italia ed Europa stanno cercando, in questo momento,nè più né meno della quadratura del cerchio: qualunque iniziativa si prenda, è infatti praticamente impossibile conciliare la posizione di coloro che vogliono mettere fine all’invasione di migranti dall’Africa e dal Medio Oriente- con un improbabile blocco navale o con la distruzione dei natanti destinati al trasporto dei “disperati” nei porti libici di partenza (da me già suggerita nel precedente blog) – con la volontà, espressa con molta forza dalla CEI ma condivisa da tutti i cosiddetti buonisti, di aiutare semplicemente i migranti a raggiungere l’Europa ed evitare nuove ecatombi. Sono due obbiettivi completamente antitetici, e per giunta entrambi difficilmente realizzabili.

Cerchiamo allora di mettere un po’ d’ordine in questa confusione. A condizionare il nostro comportamento sono al momento, due convenzioni: quella di Ginevra del 1951 sul diritto all’asilo politico, e quella di Dublino che prescrive che questo asilo venga richiesto nel primo Paese della UE in cui il migrante mette piede (e che per ragioni geografiche sono nella maggior parte dei casi Italia e Grecia). Ora, la Convenzione di Ginevra prescrive, effettivamente, che ogni richiesta di diritto di asilo venga accuratamente esaminata prima di essere accolta o respinta, e che nel frattempo il richiedente ha diritto all’ospitalità. Ma, come ha scritto giustamente un lettore in un precedente scambio, essa è figlia della guerra fredda e fu redatta soprattutto per consentire all’Occidente di accogliere nel migliore dei modi coloro che fuggivano dai Paesi comunisti. Essa ebbe per esempio un ruolo importantissimo dopo la rivolta d’Ungheria del ’56. Nel frattempo, tuttavia, è passato più di mezzo secolo, c’è stata la globalizzazione, con il risultato che in base alle norme ginevrine possono chiedere asilo in Europa, se riescono ad arrivarci, milioni di persone: una situazione alla lunga insostenibile, perché più allarghiamo le maglie della rete, più saranno i richiedenti, fino a sommergere la UE.  All’articolo 44, la Convenzione prevede che un Paese firmatario può disdire la sua adesione, ma che l’uscita avrà effetto solo dopo un anno: a parte questo particolare, una denuncia unilaterale dell’Italia è politicamente impensabile. C’è invece l’articolo 45, che permette a ogni Stato membro di richiedere all’ONU una REVISIONE della Convenzione, e qui ci muoviamo già su un terreno più solido. Infatti, sono certo che molti Paesi sarebbero d’accordo che norme studiate per un mondo che non esiste più debbano essere aggiornate.

La Convenzione di Dublino, invece, impegna solo i 28 Stati dell’Unione Europea, non è neppure inserita nei Trattati (la cui modifica è di una quasi insuperabile complicazione) e perciò può venire ridiscussa, ma dopo avere tenuto conto di alcune realtà: l’Italia, pur essendo in prima linea, e quindi oberata di tutte le spese della prima accoglienza, è solo il terzo Paese a ricevere più domande d’asilo, preceduta da Germania e Svezia, dove i migranti si aspettano di trovare condizioni migliori. Una rinegoziazione finalizzata a una distribuzione più equa del carico, specie se questo potesse essere ridotto dalle misure in preparazione contro gli scafisti, non dovrebbe essere impossibile: anche in questo caso, infatti, sono mutate le circostanze, e quindi è logico aggiornare le norme.

Vediamo ora – appunto – quali sono i possibili modi per rallentare (impedirlo del tutto è utopistico) il flusso dei migranti. La soluzione di distruggere i barconi è fattibile se non stiamo a badare troppo alle forme, cioè se non pretendiamo di mettere d’accordo l’evanescente governo libico, l’ONU e la UE, in cui alcuni Paesi sono senz’altro d’accordo, e potrebbero cooperare.  E’ un’azione alla portata delle nostre Forze armate, naturalmente se nessuno si mette di mezzo invocando la Costituzione e se, all’occorrenza, gli uomini impegnati nell’azione saranno autorizzati a sparare se le circostanze lo richiedessero.

Di scarsa utilità, e militarmente più costoso e impegnativo, è a mio avviso il blocco navale. Prima domanda, per fare che cosa? Impedire alle imbarcazioni degli scafisti di prendere il largo, tagliando loro la strada, sparando o usando altri mezzi convincenti? O piuttosto impedire che succedano altre sciagure, e quindi soccorrere eventuali naufraghi, come faceva Mare Nostrum? Nessuno l’ha ancora spiegato.

Senz’altro valida (vedere anche un mio blog di tre mesi fa) la soluzione di aprire uffici sulla costa africana e fare là la selezione di quelli che hanno diritto d’asilo e quelli che, come migranti economici, non ce l’hanno, e portare i “promossi” nei Paesi da loro indicati con normali mezzi di trasporto. Ma ci sono due problemi. Il primo è trovare chi si sobbarchi l’onere, e i pericoli, di impiantare questi centri, necessariamente abbastanza grandi visto il numero potenziale dei richiedenti, in Paesi che non offrono alcuna sicurezza. Il secondo è che cosa fare con i “bocciati”, che comunque tenterebbero di arrivare egualmente in Europa usando gli scafisti:la soluzione logica (e in questo caso legale) sarebbe di impedire loro lo sbarco in territorio italiano e rimandarli indietro con qualsiasi mezzo. Metà Italia sarebbe contenta, l’altra – capitanata dal Vaticano – lo riterrebbe disumano e riprovevole.

Torniamo così alla quadratura del cerchio. Impossibile, ma bisogna cercare di avvicinarlesi. All’Europa possiamo dire con Dante: “Qui si parrà la tua nobilitate..”

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