Credo di essere stato – almeno nel panorama giornalistico itaaliano – uno dei più irreducibili avversari dell’URSS, uno dei più fervidi sostenitori della installazione dei missili americani a Comiso e uno dei più convinti sostenitori della NATO contro il Patto di Varsavia (Gladio compresa). Ma oggi mi rifiuto di arruolarmi nelle file di coloro che bisogna rilanciare la guerra fredda contro Mosca per punirla dell’annessione della Crimea e del sostegno che ha dato, e continua a dare, ai ribelli dell’Ucraina russofona. Trovo addirittura demenziale l’idea – spuntata negli ultimi giorni e sicuramente discussa anche al G7 bavarese, di installare nuovamente missili a medio raggio in Europa (presumibilmente con testata nucleare) per prevenire una ipotetica aggressione russa ai membri orientali della NATO. Con buona pace di Obama, ritengo anche una stupidaggine continuare in una politica di sanzioni  che danneggia più noi di Putin, invece di cercare con le buone maniere un compromesso sulla base degli accordi di Minsk e cercare di arruolare la Russia nella battaglia per la sopravvivenza della nostra civiltà contro il fanatismo islamico, che è la  vera emergenza del momento. In altre parole, parafrasando un modo di dire in voga prima della seconda guerra mondiale, non ho nessuna intenzione di “morire per Donetsk”.

Per spiegare questa mia posizione, cercherò di illustrare brevemente la mia visione della crisi ucraina. Dopo la dissoluzione dell’URSS e la fine del patto di Varsavia, è stato giusto, anche se economicamente molto costoso, fare entrare i Paesi che avevano dovuto vivere per mezzo secolo sotto l’egida di Mosca sia nell’UE, sia nella NATO. E’ stato anche giusto, se non altro per ragioni strategiche, includere in questa lista le tre repubbliche baltiche, Estonia Lettonia e Lituania, perché erano state inglobate nell’Unione Sovietica con la violenza e avevano una storia tutta “occidentale”. Ma, a questo punto, anche in base agli accordi presi a suo tempo con il Cremlino, bisognava fermarsi. Non c’era alcuna necessità, e meno che meno alcun interesse, ad andare a stuzzicare un orso russo già ferito nel suo orgoglio cercando di attirare nella nostra orbita prima la Georgia, poi l’Ucraina, due Paesi che fanno parte della sua storia, della sua tradizionale sfera di influenza, del suo cosiddetto “estero vicino”. Capisco benissimo che gli ucraini, soprattutto quelli occidentali che una volta avevano fatto parte dell’Impero austro-ungarico o della Polonia, fossero attratti sia dalla UE, sia dalla NATO, magari anche nella speranza di dare una ripulita al loro Stato, corrotto e fallimentare, e muigliorare (con i fondi strutturali della UE) la loro condizione di vita. Quando il presidente Yanukovich, che proveniva invece dalla parte russofona del Paese, si rifiutò di firmare un trattato di associazione con l’UE che avrebbe costituito  uno schiaffo per Mosca, ci furono  la rivolta di piazza Maidan, la sua cacciata (con l’aiuto, secondo Putin, dei servizi americani)” e l’avvento al potere dei “filoccidentali”. A questo punto, Mosca ha reagito occupando la Crimea, che era sempre stata parte della Russia finchè Krusciov non l’aveva annessa improvvidamente all’Ucraina) e fomentando la rivolta delle due province ucraine a lei più legate per lingua, economia e tradizioni. Questi “ribelli” sono stati senza dubbio aiutati dall’esercito russo, con un’altra plateale violazione del diritto internazionale; ma sul fatto che Lugansk e Donetsk siano più vicini a Mosca che a Bruxelles è fuori di dubbio, e come l’Alto Adige, la Catalogna o la Scozia abbiano diritto a una ampia autonomia che Kiev rifiuta di concedere loro proprio non ci piove.

Quindi, nello scontro tra Russia e Ucraina che è alla base delle attuali, crescenti tensioni tra USA e UE da una parte e il Cremlino dall’altra, torti e ragioni vanno equamente ripartiti. Putin sarà anche un autocrate, ma non è certamente Hitler, e in una intervista concessa sabato al Corriere ha tenuto un linguaggio quasi condivisibile. Comunque, si tratta di un confronto in cui noi entriamo poco o nulla, e credo che la mia scarsa voglia di “morire per Donetsk” sia condivisa dalla stragrande maggioranza degli europei. Non ripetiamo, per carità, gli spaventosi errori di valutazione e di comportamento che, cento anni fa, ci fecero letteralmente “scivolare” nella prima guerra mondiale.

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