Quest’estate italiana ormai agli sgoccioli lascia dietro di sé alcuni dati rilevanti in termini turistici che indicano come inesorabilmente qualcosa nel sistema sia cambiato senza più ritorno.
A Venezia il tanto temuto sorpasso dei turisti sui residenti è arrivato e i 49.308 abitanti del centro storico sono stati superati dai 49.693 posti letto dell’offerta ricettiva tanto che le stime ritengono che nel 2030 le calli della città lagunare potrebbero trasformarsi in un esclusivo palcoscenico per turisti perdendo il ruolo di città come la intendiamo socialmente. Le cose non vanno meglio per Firenze con gli oltre 5,9 milioni di arrivi e 23,9 milioni di presenze. Roma, meta che resta preferita per gli stranieri, tocca 10 milioni di arrivi e 22 milioni di presenze ufficiali con una permanenza media ormai ridotti a soli due giorni: giusto il tempo di postare qualche foto sui social. Viaggi, quindi sempre più brevi e frequenti, consumo frettoloso e un sovraffollamento di orde festanti di vacanzieri che per vero diletto o con sciatteria sovrastano i sempre meno residenti che giustamente protestano per un afflusso disarticolato e incontrollato, per la sempre maggior propensione per il cibo d’asporto e la fruizione culturale e paesaggistica che spesso si esaurisce con lo scatto di un selfie o la firma lasciata su un monumento.


Se qualche decennio fa si lamentava la carenza di differenziazione di offerta oggi l’economia turistica arriva addirittura a colonizzare i centri storici di alcune città simbolo contendendoli ai residenti a scapito della qualità della vita.
I numeri però appaiono ottimi: le stime 2023 del World Travel & Turism Council prospettano che il settore turistico italiano varrà 223 miliardi di euro nell’economia (+8.4% sul 2023), con un impatto occupazionale nazionale da record: quasi 3 milioni di lavoratori.
Ma a quale prezzo? Il turismo del terzo millennio continuerà a crescere: è previsto che per l’Italia, entro un decennio, i flussi aumentino oltre alla capacità di carico dei luoghi passando da 60 milioni di presente a 75. Allora saranno problemi seri.
Questa percezione del “troppo” turismo arriverà presto ad annullare quello che da sempre ne è il mantra, ovvero un vantaggio per tutti, mostrando il lato peggiore di un turismo già diventato un problema che crea disinteresse per i vantaggi che apporta in termini generali.
Roma, Firenze, Venezia sono state le città in questi termini più penalizzate dal turismo. Con buona pace di chi esprime entusiasmo nell’impennata turistica post pandemia, se i risultati del 2023 avevano fatto risuonare un campanello d’allarme, quelli attuali sono a dir poco deflagranti. Ci sono cause scatenanti indicate negli studi di settore che non devono essere sottovalutate. A favorire l’inondazione turistica delle destinazioni “must go” italiane sono i vettori a basso costo, gli alloggi economici e abusivi (spesso sottostimati) e i social media che influenzano la domanda prospettando una visione edulcorata delle aspettative. Tutto ciò, unito a carenze organizzative e infrastrutturali pregresse, ha portato al cortocircuito della sostenibilità ovvero ad aver oggi superato la capacità di una città d’arte di accogliere tali e tante masse di turisti. Un fenomeno che non necessita di essere spiegato tanto evidente non solo dalla calca, dall’abuso dei mezzi pubblici ma dalla più semplice visione della pulizia e del decoro urbano di città non strutturate nelle reti gestionali per supportare le esigenze di una popolazione che praticamente si raddoppia attraverso l’arrivo dei turisti. E non si parla, attenzione, solo di sovraffollamento ma di un fenomeno ben più grave da gestire con ricadute sociali e ambientali a lungo termine che i tecnici chiamano “overtourism” inteso come un rapporto squilibrato tra numero dei posti letto e numero degli abitanti e di “overcrowding” inteso come sovraffollamento percepito misurato sul numero di turisti in relazione alla dimensione e alla capacità di accoglierli. In breve una città pensata per 5 milioni di abitanti fatica ad accoglierne altri 5 milioni per fini turistici. A dirla così sembrerebbe logico anche se a quanto pare non lo è viste le tiepide misure sul pass per Venezia o sulla lotta alla ospitalità sommersa a Firenze e Roma.
Risultato di tutto ciò in termini pratici? Che si ribalta il punto di vista precedente per cui la colpa di un settore turistico malconcio era solo della cattiva gestione o della mancanza di infrastrutture. Oggi il viaggiatore attento, può accettare un sovraffollamento senza danneggiare la fama della località cambiando percorsi o modi dell’esperienza ma i residenti quanto saranno disposti a sopportare nella propria soglia psicologico/sociale tale problema?


Ecco perché negli studi recenti sul turismo invece dei modelli economici, si fanno entrare in gioco teorie legate alle neuroscienze che, che chi detiene le leve amministrative, sottopongono tre punti fondamentali da rivedere diretti più ai residenti che ai turisti. Si tratta di tre teorie: la “teoria della disconferma dell’aspettativa” che porti a confrontare (e rivedere) i messaggi promozionali con l’esperienza reale; la “teoria del sovraccarico di stimoli” in relazione agli ambiti urbani in cui si creino interazioni incontrollate e la “teoria dell’interferenza sociale” per monitorare la capacità di soddisfare nel turista gli obiettivi di visita in relazione agli stati psicologici durante l’esperienza.
Tutti gli studi sono concordi nell’affermare che siamo di fronte a un cambiamento epocale dell’approccio turistico dagli ultimi cinquant’anni senza possibilità di inversione. E come in ogni cambiamento è giusto che si faccia i conti con un fenomeno che decreta nei numeri la fine del concetto di turismo così come l’abbiamo ereditato dal Novecento che potrebbe modificare definitivamente la compagine sociale e la qualità della vita delle nostre città d’arte più amate. E non è solo una questione di numeri ma di comprendere la necessità di salvaguardare l’identità dei luoghi e al contempo la natura di un fenomeno nuovo a cui porre rimedio – se si deve anche con accessi contingentati – prima che sia tardi.

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