Siamo cresciuti al Giornale con in mente un undicesimo comandamento non scritto: “La birra si beve al pub, non in redazione“.

Più che giusto, la saggezza dei colleghi esperti va sempre tenuta in considerazione. Non è che uno può pigliarsi un kebab con una Tennent’s Super alle dieci di sera e fare il turno di notte con la prospettiva di appisolarsi mentre partono i primi missili contro Gheddafi… Occorre moderazione e una professionale morigeratezza di costumi.

Però vale anche quando i computer si spengono? Quando finiscono le nottate eccezionali, quando il giornale va in rotativa e non c’è più niente da fare, le pagine sono chiuse e in via Negri 4 si rimane in uno sparuto manipolo di nottambuli?

 

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Ecco, in quel momento, dopoil triplice fischio del proto, un po’ ci pensi: magari avessimo un drink. Un antistress, qualcosa di rilassante, un palliativo al logorio della vita giornalistica da sorseggiare tra colleghi, i piedi sul tavolo come nei film americani…

Così – pur senza sfoggiare quei look da “Tutti gli uomini del presidente” – nel giugno 2016 abbiamo ceduto alla tentazione. In una domenica elettorale. La sera in cui Sala e la Raggi vinsero il primo turno alle Comunali, al Giornale entrò clandestina una bottiglia di Laphroaig Quarter Cask. Erano le due e mezza e le rotative erano appena partite quando il tubo bianco si aprì con un bel rumore gioioso e ne uscì la bottiglia. Un dito a te, uno a me, uno al collega degli Interni, uno al capo, uno al segretario rimasto fino all’ora delle streghe. Un profumo di anestetico e legna bruciata in tutto lo stanzone che ha spazzato via la fretta, l’ansia dello spoglio, i “muoviti con quella didascalia che dobbiamo chiudere!”.

E da lì, a noialtri umili maniscalchi di titoli e articoli, è venuta l’idea che guida questo altrettanto umile blog: proviamo a parlare di quel che assaggiamo.

Così, un po’ da maestrini senza diploma (d’altronde ci sono i ministri dell’Istruzione senza laurea…), da appassionati superalcolici, senza pretese di scientificità. Così, come una chiacchiera tra amici, lettori compresi.

Quindi impossibile non partire da quel Laphroaig che tanto ci ha fatto bene in quella sera di giugno. Che a dire il vero si addice più a un novembre padano da nebbia fitta e camini accesi nella via silenziosa, ma va bene istès…

Prima di tutto una premessa: chi scrive non è un adoratore del dio Laphroaig, protettore dei cultori della torba. Anzi, al primo incontro lo ha pure un po’ bestemmiato, che gli pareva di aver bevuto per sbaglio l’acqua dove il suo collega spegne i mozziconi. Errori di gioventù e inesperienza, in realtà il dio Laphroaig ha un suo bel perché. Eppure noi Gente di Spirito lo avevamo sempre un po’ snobbato: “Sì, il 10 anni… per carità, si fa bere, ma c’è di meglio”. Questo sì che è vero. Per esempio c’è di meglio il Quarter Cask. Che un amico intenditore severo ma giusto ha definito: “L’unico Laphroaig bevibile a meno di 100 euro”.

Noi che siamo meno autorevoli, ci limitiamo a dire che il fatto di essersi addormentato per imprecisati anni in barili più piccoli del solito (i quarter cask, appunto: grandi la metà di un hogshead, contengono 125 litri) ha fatto bene al whisketto. Lo ha fatto maturare prima e gli ha cambiato i connotati. Come un pischello che se ne va in Erasmus e torna a casa tutto compito e consapevole del mondo. Ecco perché.

 

Laphroaig Quarter cask

Colore: un bell’oro zecchino con riflessi ramati

Olfatto: subito una zaffata di barbecue, con più legna bruciata che fumo; poi la classica garza medicinale del Laphroaig, quella che ti catapulta in un ambulatorio anche se sei in ciabatte sul divano di casa. A seguire vaniglia, toffee e frutta gialla matura, ma anche una nota oleosa di diesel. Il legno dà un’idea di sigaro, forse un refolo di menta. E della cola. Sì sì, cola. E per fortuna senza rum, che la cola col rum è da incivili diciamocelo

Gusto: immediatamente caramellato, ed è questa la novità. Le braci e la cenere non è che spariscano eh, però è come se una dolcezza ingombrante si facesse strada a spallate, buttando giù l’armadietto delle medicine. Liquirizia ripiena, quella degli ambulanti al mercato. Poi erbe, forse delle olive nere, di sicuro quel tannino di quercia che arriva dai parecchi anni passati cheek-to-cheek col legno.

Finale: legnoso e lungo, alla carne affumicata e alla liquirizia aggiunge un tocco salino

Insomma, il nostro primo amico di avventura alla fine ci è piaciuto, anche perché è costruito per piacere, un po’ come la Raggi… Anche se – con una gradazione di 48° – ha più carattere della sindaca di Roma. Per 35 euro è un compagno di serate onesto, complesso a sufficienza e ruffiano il giusto. Mitiga un po’ l’anima grezza del Laphroaig e la tarocca un po’, ma lo fa con genuina bonarietà. In questo somiglia più a un leghista della seconda ora, uno che ha archiviato i fazzoletti verdi e il dialetto ma non rinnega le sue lotte di sempre. Intransigente ma presentabile.

Laphroaig Quarter Cask
Scozia, isola di Islay
NAS (età non specificata)
48 gradi
35 euro

 

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