Dalla parte di baby Meloni (e dei bambini)
Il fatto è noto: Giorgia Meloni, in dolce attesa, che cambiando idea offre la sua candidatura a sindaco. Il già da tempo candidato primo cittadino e suo presunto collega di coalizione, Guido Bertolaso, che le consiglia di stare a casa a fare la mamma. L’universo che si ribella. Addirittura il capo del governo Matteo Renzi sente il dovere di intervenire per dire, tapino: si può essere donne e candidarsi a sindaco, «ma spero che vinca Giachetti». Il quale, intanto, saggio come l’uomo del monte, pontifica: l’Italia starebbe meglio se i maschietti cambiassero qualche pannolino in più.
Questa, grosso modo, la sintesi della vicenda che da 48 ore impazza sui media, appena appena distratti solo dalla lotta tra Mario Adinolfi che le suona a Po il panda immaginando di darle invece a Fabio Volo. Fateci caso. Nella polemica elevata a scontro di massimi sistemi di tutto si parla, fuorchè d’un dato. Che poi un dato non è, perché è, e sarà, un bambino. O una bambina, se il fiocco sarà rosa. Semplicemente, non fa notizia: su una battuta di dubbio gusto, che come tale avrebbe meritato la gogna del dimenticatoio, il Belpaese che evidentemente non ha problemi altri e ben più seri ai quali badare (che so, magari un pensierino alla ripresa che non ingrana o all’Isis che i diritti civili li decapita) costruisce uno scontro ideologico dal cui esito sembrano dipendere libertà, indipendenza, autonomia delle donne. E decenni di faticose conquiste in campo sociale, culturale e politico.
Si impegnassero con identica foga per tutelare le tante donne – anche in gravidanza – che non si presentano alle elezioni bensì ogni santa mattina dal caporale che in piazza le ingaggia per andar a raccogliere agrumi ad un euro l’ora nei campi (o a sbrigar pratiche dietro scrivanie di finto-comodi uffici: non cambia), gli alfieri di tanta passione ideale potrebbero anche passare alla storia. Invece, molto probabilmente, resteranno dove sono. Come la ferita aperta da un dibattito che si cura delle aspettative – per carità, legittime – degli adulti, dei presenti, non di chi verrà nè dei diritti dei bambini (in questa evenienza, dei nascituri) e dei doveri dei grandi nei loro confronti.
Ad esempio, baby Meloni: da un lato, non un pensiero per lui/lei e su ciò che lo/la attende. Dall’altro, Non una riflessione oggettivamente seria e serena sull’utilità di tenersi alla larga da stress e pericoli, esclusivamente nell’interesse del bebè, secondo una regola osservata dalle donne in gravidanza ed anzi normata con l’obbligatorietà del congedo di maternità. Soprattutto e comunque, non una voce che abbia avvertito l’opportunità di tacere perché, in fondo, solo una madre sa e può parlare al figlio che cresce in lei.
È drammaticamente evidente: in un Paese che non crede più alla cicogna ma ha fede sempre più cieca nella dea provetta si trascura persino che la gestazione sia un’esperienza necessaria e fondante, per la madre come per il figlio: nei mesi in cui la gravidanza lentamente matura, entrambi vivono in simbiosi. Sono un unico corpo. Condividono cibo, sangue, malattie, gioie, paure. Insomma, sono in due. E a Roma in due in una sola persona saranno candidati a sindaco se la Meloni, come sembra, dovesse accettare la sfida: lei e la nuova vita che le palpita dentro.
Deciderà mamma Giorgia, e sceglierà per entrambi. Con l’augurio che possa essere la scelta migliore specie per quel bimbo che si porta in grembo, possibile candidato a sua insaputa.