Le banalità di Davigo
Non c’è nessuno in Italia che faccia il proprio lavoro. Tutti bravi a fare quello degli altri. Piercamillo Davigo, ad esempio, alla vecchiaia s’è riscoperto eccellente polemista. Tanto bravo che già Marco Travaglio trema di fronte al Robespierre in toga che s’avanza lesto a suon di interviste e dichiarazioni nei salotti e nelle piazze. I giudici, dicevano una volta gli uomini di legge, parlano con le sentenze. Poi sono arrivate le conferenze stampa, le ospitate ai convegni, le comparsate nei talk show. Adesso neppure quelle bastano più: manco il tempo di stringere le mani tese e raccogliere le felicitazioni per il suo nuovo incarico che già il fresco presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati, indossata l’armatura, sistemato il cimiero ed impugnati scudo e lancia è partito alla carica. Di chi? Della politica, naturalmente. Come fanno tutti ormai in Italia, quando c’è da guadagnare rapidamente consenso. Facile come sparare sulla Croce Rossa. «I politici non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto», ha tuonato l’ex di Mani Pulite dalle colonne del Corriere della Sera, svelando il quarto segreto di Fatima: «Prendere i corrotti è difficilissimo. Nessuno li denuncia, perché tutti hanno interesse al silenzio». Certo, come non si può pretendere che i corruttori una volta pagata la mazzetta corrano in caserma a denunciare il corrotto, non si poteva obbligare il sindacalista-capo dei magistrati di parlare alla sua prima uscita proprio dei giudici, pure loro sempre più spesso pescati con le mani nella marmellata o tutt’altro che di rado artefici di inchieste colabrodo, ad uso e consumo di fotografi e cameramen e mai di dea giustizia. E passi per l’aver tralasciato che la corruzione è un male così diffuso e trasversale che non risparmia neanche i pulpiti e le sacrestie. Ma cadere così banalmente e con tutti e due i piedi nel clichè paludoso dell’ovvietà, dei politici tutti ladri, è peggio che scivolare su una buccia di banana: è prenderla dritto in faccia, la banana.
Però, sempre meglio una banana che una censura del Csm. Il solerte organo di autogoverno della magistratura, del resto, è troppo impegnato a sbrigare pratiche serie ed urgenti per potersi occupare sulle davigate. Non si può mica tenere fermo il procedimento disciplinare sul pm imperiese Barbara Bresci: aveva chiesto le fosse riaffidato il fascicolo che lei stessa, prima che le fosse avocato, aveva aperto sull’esplosione in cui, lo scorso febbraio, fu coinvolto l’attore Gabriel Garko. Gliel’aveva tolto in fretta in furia il suo procuratore capo dopo aver letto le frasi con cui, su Fb, la Bresci s’abbandonava a commenti da fanciulla sul fascino del bel Gabriel. Ed all’amica che le domandava “Era bello? L’hai guardato anche per me?”, lei candida come un’adolescente rispondeva: “Eccome”. Un sospiro social interpretato dai suoi superiori come lesione del prestigio dell’autorità giudiziaria. Un rischio che Davigo non corre: prendere a sberle la politica non è una colpa. Trascinare in guerra il potere giudiziario contro quello legislativo nemmeno. Figurarsi se possa interessare il Csm.
Aveva ragione (e da vendere) Oscar Wilde: «Molti giudici sono così fieri della loro incorruttibilità che dimenticano la giustizia».