Stop alle condanne facili
Assolti dal Tribunale? Per essere condannati in appello occorrerà prima risentire i testimoni.
Una sentenza rende l’Italia un po’ più europea. E di certo più civile. Ci sono volute le Sezioni Unite per sciogliere un rebus cui a livello comunitario la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva già dato soluzione nel 2011: per ribaltare un’assoluzione di primo grado non è sufficiente una diversa interpretazione dei verbali testimoniali, ma occorre interrogare nuovamente e direttamente i testimoni. Insomma, non basta una rilettura delle carte del processo. Questione già emersa in procedimenti ormai consegnati alla storia del diritto e delle cronache, come in quelli intentati contro Giulio Andreotti e Calogero Mannino, e adesso definitivamente risolta.
Chiaro il punto di partenza: si può essere riconosciuti colpevoli di un reato solo quando vi siano riscontri della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Come acquisire tale certezza, specie a fronte di sentenze assolutorie fondate esclusivamente – o comunque in maniera decisiva – su prove dichiarative? Di sicuro, non limitandosi a rivalutare nel chiuso della camera di consiglio il racconto di testimoni mai visti né ascoltati. «In pieno accordo con i concetti espressi dalla giurisprudenza Cedu – argomentano le Sezioni Unite, chiamate ad esprimersi dalla Corte d’Appello di Brescia in ordine al contrasto di orientamenti maturato sul punto tra diverse sezioni della Cassazione – il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato senza avere proceduto, anche d’ufficio, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado». Un elementare principio di civiltà, che in realtà il Governo s’era già impegnato a recepire attraverso la Commissione ministeriale per la riforma del processo penale, istituita nel giugno del 2013, ma che ora entra nell’ordinamento per via giurisprudenziale, dal momento che «la mancanza di una formale previsione al riguardo – scrive la Suprema Corte, bacchettando gli inquilini di Palazzo Chigi e del ministero di via Arenula – non è di ostacolo a ricavare la regola in via di interpretazione sistematica, avuto riguardo alle linee ermeneutiche tracciate, cui la stessa Commissione si era del resto ispirata». Definiti i contenuti della tutela, gli ermellini ne disegnano anche l’ambito. Alquanto esteso: eccezion fatta per le dichiarazioni raccolte in sede di incidente probatorio, acquisite comunque in contraddittorio tra le parti, in ogni altra circostanza la rinnovazione dibattimentale diventa la regola. Pure quando magari si verifichi il decesso del soggetto da esaminare, o lo stesso sia infermo o si renda irreperibile: anche in questi casi, precisa la Cassazione, a meno che non sia dimostrato che «la sottrazione all’esame dipenda dalla volontà di favorire l’imputato o da condotte illecite poste in essere da terzi, non vi sono ragioni per ritenere consentito un ribaltamento del giudizio assolutorio ex actis».
Niente più condanne a tavolino. Quasi una rivoluzione.