Dio ha perso la guerra
Dio ha perso la guerra. Il processo di desertificazione culturale che investe il mondo contemporaneo non conosce oasi. A Malo, nel Vicentino, per la prima volta dopo quasi un secolo, il 4 Novembre i Caduti al fronte saranno ricordati senza una messa e neppure un segno di croce: pur di garantirsi la presenza alla cerimonia degli studenti, il Comune ha alzato bandiera bianca davanti ad alcuni insegnanti che avevano arricciato il naso una volta saputo che il parroco, come da tradizione, sarebbe stato chiamato a leggere il Vangelo. Il motivo? Sempre il solito: non urtare la sensibilità religiosa di ragazzi professanti altre fedi, in nome del rispetto del principio di laicità. Ad insistere su questa strada, paradossalmente, non le famiglie dei bimbi extracomunitari, ma il preside ed i docenti. Italianissimi. Per loro «va tutelata la laicità e la sensibilità di tutti, pure perché il tema della Prima guerra mondiale, tra l’altro, non fa parte del programma scolastico».
A questo punto, prima di ogni altra cosa, ben farebbe il ministero della pubblica istruzione a promuovere un’ispezione (o a mettere sotto inchiesta se stesso) qualora trovasse conferma la circostanza per cui nelle scuole dell’obbligo la Grande Guerra non ha spazio nello studio della storia. Ma neppure ciò basterebbe a sanare la ferita aperta nella carne viva dell’Italia e dei suoi sentimenti: chi ha deciso di lasciare a casa un sacerdote per timore di dispiacere a poche decine di persone che peraltro neppure s’erano lamentate del presunto affronto dimostra anzitutto di non avere, di suo, sensibilità per la democrazia: la laicità è ben altra cosa dal laicismo, dal furore a tratti iconoclasta e dalla volontà di chiudere i credenti nel Tempio, chiedendo l’ostracismo di Dio. Di certo, non è discriminazione di alcuni, peraltro la maggioranza.
Ma pure a voler mettere da parte ogni valutazione anche solo vagamente religiosa, resta inequivocabile il dato storico: tra il 1915 ed il 1918 in trincea finirono, spesso e volentieri come volontari, circa 22.000 tra seminaristi, chierici, conversi e sacerdoti. Si batterono al fianco dei fanti ed in 2.400 (furono altrettanti nella Seconda guerra mondiale) vestirono i panni dei cappellani militari. Passarono alle cronache come i “preti soldati”. Tra loro, giusto per fare qualche nome, don Primo Mazzolari, padre Agostino Gemelli, don Giovanni Minzoni (poi martire antifascista), padre Giulio Bevilacqua e don Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. In 102 caddero in combattimento, 795 rimasero feriti, 747 persero la vita per causa di servizio. Per l’eroismo dimostrato in 3 ricevettero la medaglia d’oro al valor militare, 108 quella d’argento, 258 quella di bronzo. Alla vigilia d’una delle tante missioni senza ritorno annotava sul suo diario Stefanino Curti, capitano del II Reggimento degli alpini: «Ieri abbiamo avuto la messa al campo. È stato qualcosa di commovente: l’altare venne eretto su di una roccia e ad assistere al sacrificio divino sono accorsi i soldati in gran numero. Questa messa celebrata quassù in alto, su di un altare improvvisato, all’aria aperta, circondato dai miei bravi alpini, lascerà certamente impresso nel mio animo un ricordo che non si potrà mai più cancellare».
Il capitano Curti quel ricordo se l’è portato nella tomba. A Malo, e non solo a Malo, hanno rimosso tutto. E quel è peggio, in nome della libertà.