La giustizia nel pallone
I pm scrivono libri sugli imputati sotto processo che poi vengono pure assolti.
La giustizia, in Italia, finisce spesso in fuorigioco. Non ci voleva certo la storia di Paolo Dondarini per accorgersene. Di professione assicuratore, arbitro per passione, nel 2000 il fischietto emiliano viene mandato a dirigere in serie A. Nel 2005 diventa internazionale. L’anno dopo Calciopoli lo travolge. L’accusa: frode sportiva. La Procura di Napoli lo manda alla sbarra. Il mondo del calcio lo mette alla porta degli stadi. Per sempre. Ma le partite, diceva uno come Vujadin Boskov che di pallone e vita se ne intendeva, finiscono quando arbitro fischia. E il triplice fischio arriva nel 2015, quando la Cassazione chiude l’affaire, respingendo la pretesa di rimandare a giudizio Dondarini, già assolto in Appello nel 2012 dalla condanna rimediata in primo grado nel 2009. Serve insomma un decennio, o quasi, per definire un caso che intanto ha rovinato la carriera (e probabilmente l’esistenza) di un uomo: non la prima, non l’ultima vittima – sicuramente, purtroppo – della lentezza e dei difetti del sistema giudiziario italiano.
Ma non è solo questione di burocratica e giudiziaria inerzia la vicenda del Dondarini vittima (e non artefice) di Calciopoli. C’è altro. C’è di più: il pm che lo inquisì, Giuseppe Narducci, ha scritto un libro. Intitolato “Calciopoli, la vera storia” e pubblicato proprio nel 2012, parla anche di “Donda”. Descrivendolo come colpevole di aver aggiustato alcune partite. Un racconto – a processo ancora aperto – dell’inchiesta che al processo, a quel processo, aveva dato origine e che alla fine ha svelato i tanti punti deboli dell’inchiesta poi fatta libro.
Tutto lecito. Anche opportuno? E normale? L’ex arbitro, che per un’intercettazione mal interpretata ha dovuto rinunciare alla carriera passando i guai, ha citato in giudizio per danni il pm scrittore. «Non cerco vendetta o soldi, cerco la verità», ha detto spiegando i motivi della causa di risarcimento promossa davanti al Tribunale di Bologna. «L’importo lo deciderà eventualmente il giudice. A me interessa ristabilire la verità dopo averlo già fatto in sede legale. Ho trovato incredibile che un pm scrivesse un libro su di un processo che non era ancora giunto al termine».
Incredibile. Ma possibile. In Italia è possibile. Non è fallo da rigore e nemmeno da punizione. E poi, nel libro la prefazione era curata da Marco Travaglio. Molto meglio di Pelè, come cantano gli ultrà al ritmo delle manette.