Elogio dell’eroe normale
Le immagini e i racconti che da Rigopiano arrivano anche a noi che in quei luoghi – specie in questi giorni in cui c’è da spalare e soffrire – non abbiamo messo piede, sono stati sufficienti ad ammetterci al dramma collettivo. Non da vittime, ma da spettatori e – in molti casi – giudici. Abbiamo discettato su tutto, per come è nel nostro costume: che si tratti di calcio o politica o sciagure, e da ultimo anche di scienza o medicina, non fa differenza. L’italiano è sempre pronto a spendere una parola, convinto sia quella giusta. A volte salvifica.
La tragedia abruzzese non ha fatto eccezione. Ed il dolore che avrebbe dovuto alzare il tasso di pudore ha finito, al contrario, per trasformare ognuno, nel chiuso del suo condominio, in comandante in capo di immaginifiche forze speciali. Sia chiaro: un’opinione è lecito – anzi doveroso – averla ed anche difenderla. Dei guasti nella catena di comando e della macchina dei soccorsi si è parlato a lungo, individuando criticità che non hanno bisogno di processi penali per essere acclarate. Ma come spinti dall’ineluttabile forza del destino, si è arrivati a recitare il mantra della perfezione: cose del genere non dovrebbero succedere. Non devono accadere perchè siamo nel 2017 e la tecnologia ha fatto passi da gigante. Perchè paghiamo le tasse che i politici della casta sperperano, siamo generosi coi nostri sms da due euro l’uno che poi le banche tengono fermi nei loro forzieri. Perchè viviamo in un Paese in cui si trovano i miliardi per salvare le banche e non i terremotati, perchè in definitiva lo Stato abbandona la gente.
Queste le tesi – le principali e più diffuse – ascoltate nel corso della settimana. Non importa – non in questa sede – appurarne la veridicità. E’ probabilmente più interessante definire i contorni di quella convinzione che, sul fondo, si scorge granitica: non è accettabile che qualcosa vada storto. Al contrario, tutto deve funzionare alla perfezione e nessuno deve e può morire per negligenze o errori altrui. Fosse così, il mondo sarebbe già da tempo un deserto inabitato, dal momento che dove è l’uomo v’è l’imperfezione ad esso congenita. Ma è anche un altro, diverso tema ad affacciarsi: quando si opina che sbavature non sono ammesse (e magari si additano ad esempio altre nazioni dove poi capita di veder fare anche di peggio che in Italia) lo si fa sulla base di un ragionamento molto più articolato. Lo stesso che negli ultimi decenni ha portato a ritenere l’uomo capace di dominare il fato e, di conseguenza, di domare la natura. In una parola, di essere arbitro e signore dell’universo.
Secondo questa logica, è evidente e condivisibile l’assunto per cui, se tutto può essere previsto, nulla può andar male. Non c’è spazio, in un mondo così disegnato, per l’imponderabile. Per cui, quale applicazione pratica del principio teorico descritto, non è neppure anche solo concepibile che una valanga alimentata da nevicate mai viste ed innescata da ripetute scosse di terremoto possa cadere a valle e trascinare dietro di sé ogni cosa ogni vita incontrata sulla propria strada. E quand’anche ciò dovesse avvenire, non è ammissibile che non si riesca a tirar fuori, nel giro di poche ore, feriti e sopravvissuti.
Non è così, semplicemente perchè così non può essere. Se a Rigopiano qualcuno ha sbagliato dovrà pagare. E non dovranno essere praticati sconti o trattamenti di favore, come tante, troppe volte è già avvenuto nella storia patria. Lo si deve alle famiglie dei superstiti e di chi non ce l’ha fatta, lo impone l’etica di una Repubblica che se ha ancora un briciolo di dignità non deve far torto ai suoi figli. Ma dalle montagne d’Abruzzo arriva un monito da tenere a mente, che è poi quello che per qualche minuto ci ha restituiti alla nostra umanità, portandoci fino alle lacrime di fronte ai volti di quei bimbi spaventati, tirati fuori dopo due giorni dalle loro prigioni di ghiaccio dalle mani forti di gente caparbia: Vigili del Fuoco, militari della Guardia di Finanza, poliziotti e Carabinieri, volontari e tecnici della Protezione civile. Gente in grand parte con stipendi da 1.500 euro al mese, anche meno, che non s’è tirata indietro quando s’è trattato di andare oltre i limiti del proprio dovere e di vestire i panni dell’eroe.
«Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi», fa dire Brecht al suo “Galileo”, con parole divenute ormai famose ed impresse finanche sugli incarti dei baci di cioccolata. Sbagliava: fortunato quel popolo che sugli eroi può contare. Perchè niente e nessuno è infallibile al mondo, e quando qualcosa va storto è sempre meglio averlo, un qualche eroe capace di far miracoli. Come a Città del Messico nel ’70, con Gianni Rivera salvatore della patria calcistica. Come ed ancor più a Rigopiano, con gli angeli della neve orgoglio d’un’Italia incapace d’essere fiera di se stessa.