Togliere i figli ai mafiosi. E’ giusto?
Ci sono bambini che non diventeranno mai adulti. Invecchieranno e moriranno senza mai essere stati uomini e donne. Figli senza famiglia, resi orfani da padri e madri senza giudizio e da uno Stato che sentenzia senza riuscire a far meglio dei giudicati. Bimbi fantasma, derubati d’un futuro qualsiasi. Nei giorni scorsi il Tribunale dei Minori di Napoli ne ha presi sei – il più grande non ha ancora compiuto i 14 anni, il più piccolo ne ha 3 – e li strappati a padri e madri spacciatori di droga, salariati dalla Camorra. Tutti in comunità, fuori regione, per spezzare la catena di trasmissione di odio, violenza e amoralità che caratterizzava il loro vissuto.
Una goccia, nel mare dei minori fuori famiglia. Che in Italia nessuno sa con certezza quanti siano. I dati più aggiornati, risalenti al 2012, riferiscono di 14.194 infradiciottenni in affido familiare e di altri 14.255 in comunità. Le cronache, invece, dicono molto delle ragioni per le quali spesso si attiva la misura dell’allontanamento, pure prevista come extrema ratio: si va dai genitori vegani ritenuti inidonei da magistrati carnivori a quelli accusati di troppo amore per eccesso di cure verso il discendente affetto da disabilità. Alla casistica vanno aggiunti – e non da ora – i sempre i più numerosi casi di sospensione della patria potestà per manifesta – o presunta – mafiosità. Non solo in Campania: negli ultimi 3 anni in Calabria sono stati una trentina gli adolescenti staccati da nuclei familiari in odor di ‘ndrangheta.
Va bene così? «Chi critica questi provvedimenti – argomentava qualche tempo fa il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho – sostiene che siano una intromissione intollerabile nell’ambito familiare. Però dobbiamo capire una cosa: il clan mafioso impartisce ai suoi rampolli regole opposte a quelle naturali». Allora tutti via. Lontano da casa. Chissà se sarà così anche ogni qual volta «regole opposte a quelle naturali» (a proposito: chi decide o può decidere cosa sia oggettivamente naturale?) saranno invece seguite nelle famiglie considerate normali, dove magari non si appartiene ai clan ma – ad esempio – per permettersi casa al mare con piscina e yacth si froda allegramente il prossimo o, più semplicemente, si lascia alla colf il compito di educare la prole, così venendo meno al primo e naturalissimo dovere dei genitori, come pure il mondo animale insegna: prendersi cura dei piccoli finchè non siano in grado di camminare da soli per la propria strada. Che poi togliere i figli ai mafiosi, se può essere utile per spezzare davvero quel vincolo di sangue che spesso è garanzia del perpetuarsi dell’appartenenza al mondo del crimine, diventa una condanna a morte per fanciulli trasferiti in luoghi non sempre idonei, non sempre all’altezza del compito, per le carenze di uno Stato che non investe in repressione, figurarsi in prevenzione e accompagnamento.
Resta il dubbio: i figli sono di chi li cresce o di chi giudica? Sarebbe bello potessero essere sempre e solo di chi li ama. Magari dei genitori, se solo ne fossero ancora capaci.