Rai, ipocrisia di Stato
Chiudere una trasmissione televisiva rende più civili?
Se non è troppo ardire, né offesa al comune senso del pudore, vien da chiederselo dopo la decisione della Rai di cancellare dal palinsesto Parliamone Sabato, condotta da Paola Perego, secondo i sacerdoti della morale pubblica rea di aver mandato in onda una scheda zeppa di luoghi comuni sulle donne dell’est.
Detto con franchezza: quella carrellata di banalità, che sembrava essere stata spinta in tv direttamente da uno spogliatoio maschile, o da una panchina affollata da acide zitelle (in questi casi, la par condicio sessuale è d’obbligo), non meritava un palcoscenico. Non ne meritava uno televisivo, né altri. Nemmeno uno scantinato. Ma ciò stabilito, sicuri sicuri che mettere al bando una trasmissione sia la soluzione giusta e, soprattutto, basti a lavarsi la coscienza, a permettere di poter pensare che la lamentata offesa alle donne possa considerarsi riparata e che un passo – piccolo o grande – verso nuovi orizzonti di civiltà sia stato compiuto?
Ammettiamo che Campo Dall’Orto e i suoi l’abbiano imbroccata. Che abbiano ragione. Che sì, quella della Perego e dei suoi sia stata un’infelice uscita da punire con la più pesante delle sanzioni e che il sessismo debba essere esiliato dalla Rai – in ragione del suo essere chiamata ad assolvere una missione di servizio pubblico – e più in generale dalla vita pubblica. Ma se questo fosse il metro di giudizio universale, cosa resterebbe sul piccolo schermo? Semplice: niente. Forse (ma non è certo) solo le previsioni del meteo. Pure per questo, d’altra parte, è rimasta lettera morta l’impegno preso dal Senato, nel 2011, ad inserire nel contratto di servizio pubblico norme a tutela della rappresentazione dell’immagine femminile e del principio di pari opportunità, con un solo obiettivo: dare il benservito ai belli e patinati, ai patiti della chirurgia estetica e – tenetevi forte – ai corpi mercificati oltre che ai ruoli ingessati.
Allora, se così non è stato e non è, che senso ha bannare una trasmissione per lesa maestà della dignità femminile, lasciandone in vita cento altre in cui – magari con maggior astuzia – avviene altrettanto? C’è una spiegazione per il poco amletico dubbio: nessun senso. Solo un omaggio ad un antico vizio. Quello dell’ipocrisia. Che fa più danni del sessismo ed in Italia, come scriveva impietoso Indro Montanelli al premio Pulitzer Edmund Stevens, <<non è neppure un fatto sociale perché gli italiani non si metteranno mai d’accordo tra loro per sostenere una menzogna utile agli interessi dello Stato. Da noi l’ipocrisia è dettata dal senso dell’opportuno. È spicciola, pratica e utilitaria: quado un italiano vuol cambiare partito, non fa un esame di coscienza: si limita ad un calcolo di convenienza>>.
Per cui, placata con l’olocausto mediatico l’ira funesta delle folle social rumoreggianti bavose e col pollice verso nel Colosseo del web, tutto potrà ricominciare. E continuare allegramente come prima, fino al prossimo sacrificio umano sull’altare dell’ipocrisia.