Madri per gioco in nome della legge
“Mamma, perché non mi ami?”, chiedeva la bambina in lacrime. “Non lo so, Fatima, non ne sono capace, non ci riesco”, risponde la donna.
C’è un libro, edito in Francia, scritto da Farah Kay. Per molti versi un’autobiografia, che racconta di quando le madri non sanno costruire con le figlie alcun tipo di complicità, non sanno difenderle e neppure sottrarle ai mariti che si vestono da orchi e ne abusano sessualmente. È la storia della violenza sulle donne permessa dalle stesse donne. Ma è pure, al di fuori dei confini del romanzo, la visione che della vita e del diritto hanno in Italia i giudici. L’altro giorno la Quarta Sezione penale della Cassazione ha stabilito, senza troppi fronzoli, che se tra le mura domestiche un padre costringe la figlia minorenne a soddisfare le sue voglie, la madre che sa e vede tutto e nulla fa per impedire la violenza o almeno per evitarne il ripetersi, non è tenuta a denunciare l’uomo. Nessun obbligo giuridico: può tranquillamente voltarsi dall’altra parte e far finta di niente. Così una donna che in provincia di Vibo Valentia sin dal 2005 aveva lasciato che il marito rubasse l’infanzia alla fanciulla nata dal loro matrimonio s’è vista annullare le sentenze di condanna che, in primo e secondo grado, le erano state inflitte per le sue omissioni, per l’incapacità di essere genitrice, per l’indifferenza dimostrata da madre. Insomma, per la legge e per chi – in nome del popolo – la amministra, essere madre non è un dovere. È qualcosa che capita e di cui si può fare a meno, così come – par di capire – agevolmente si può rinunciare alle incombenze (a volte certo faticose ed improbe) legate alla genitorialità o, nello specifico, alla maternità.
Viene allora il dubbio che tante, tantissime pagine di letteratura, ed ancor più numerose storie ignote ma eroiche di madri quotidianamente dedite al sacrificio per amore dei figli (se necessario anche contro i padri) siano solo inchiostro e sangue perduti. Tuttavia, e non per il Natale ormai alle viste, si rafforza la convinzione che a furia di stare dalla parte del torto, di fronte ad un mondo che pretende di avere ragione senza saperne il perché, si finisca con lo stare meglio. Quasi una fede la convinzione (o l’illusione) che i giudici come gli uomini possano sbagliare (e sbagliano spesso), che una madre non s’arrenda mai alla sofferenza della sua carne e che sempre e comunque, anche quando le due condizioni non si avverano, una figlia sia in grado di rinascere. Come Fatima, da bruco calpestato a farfalla che impara a volare fino a diventare Farah, che si riprende la sua vita e impara ad amarsi, ad amare. Nonostante tutto, e tutti.