Settimana calda quella che si apre in questo inizio maggio. Non certamente sotto il profilo meteo, visto le giornate tipicamente autunnali di questi ultimi giorni, bensì sotto il profilo delle decisioni di politica monetaria di Fed e Bce. Infatti, le due Banche Centrali si pronunceranno sui tassi di interesse rispettivamente mercoledì 3 maggio e giovedì 4 maggio prossimi.

Clima non meno rovente per ciò che riguarda i principali dati macro, sia in termini di occupazione e congiuntura economica sia in termini di inflazione. Al momento le attese sono per un rialzo di 25 basis points sia per Fed sia per Bce, ma saranno molto importanti le dichiarazioni che verranno rilasciate in conferenza stampa e che faranno tenere le orecchie bene aperte ai grandi investitori.

Intanto, su questo scenario si innestano altri elementi per certi versi non proprio rassicuranti. Ad iniziare dall’avvertimento del Segretario del Tesoro USA Janet Yellen in merito al prossimo default del debito a stelle e strisce. Roba da far tremare i polsi se non fosse che pare abbastanza evidente che l’accordo sull’innalzamento del debito sarà, come sempre, trovato.

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Facciamo un passo indietro e consideriamo come da tempo a questa parte, ciclicamente, torni sotto i riflettori la necessità di artifici contabili stabiliti per legge per sostenere il debito americano.  Per voce della Yellen gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a corto di liquidità e andare in default sul rimborso del debito “già il prossimo 1° giugno”, se il governo non riuscirà a trovare un accordo e aumentare la soglia del tetto del debito.

Infatti, in una lettera inviata al Presidente della Camera, la Yellen ha dichiarato che “la nostra migliore stima è che non saremo in grado di continuare a soddisfare tutti gli obblighi del governo entro l’inizio di giugno, e potenzialmente già il 1° giugno, se il Congresso non alzerà o sospenderà il limite del debito prima di allora”,

Manovre e scaramucce squisitamente politiche? Molto probabile, perché a ben guardare si tratta di una data anticipata rispetto a quanto noto e previsto a Wall Street, che aveva indicato la fine di luglio come la potenziale scadenza sul debito a stelle e strisce. Non a caso Goldman Sachs, in una nota della scorsa settimana, ha dichiarato: “Manteniamo la nostra ipotesi di base secondo cui la scadenza del limite del debito sarà a fine luglio, in quanto le entrate sono ancora una volta vicine alle nostre previsioni”.

E non è un mistero che la pressione del Governatore Yellen cerchi di porre fine al braccio di ferro in corso tra le richieste di Democratici e Repubblicani. Il nodo pare essere il fatto che i Repubblicani hanno fatto passare alla Camera una legge, nota come “Limit, Save, Grow Act”, la quale punta ad aumentare il tetto del debito a fronte di un taglio consistente alla spesa governativa. Cosa su cui, ovviamente i Democratici non sono d’accordo e che per voce del Presidente Joe Biden è stato messo in chiaro che non sarà sostenuta alcuna legge sul debito che comprenda al suo interno tagli consistenti ai programmi di spesa.

Oltre a questo, si è riacceso il focus sulle banche, o meglio, sulla loro salute, dopo che JP Morgan ha siglato un accordo per acquisire First Republic Bank, dopo che l’istituto la scorsa settimana aveva rivelato una fuga dai depositi durante il primo trimestre da 100 miliardi di dollari.

Così i timori degli investitori si sono nuovamente concentrati sul comparto bancario americano, con il rischio che altre banche regionali possano finire in situazioni di difficoltà. Infatti, più che l’acquisizione da parte di JP Morgan, preoccupano i motivi che hanno portato a dover siglare questo accordo, visto che l’operazione di salvataggio della banca californiana non è andata a buon fine. Così, la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) ha preso possesso dell’istituto e ha concluso un accordo per la vendita della maggior parte degli asset della banca a JPMorgan.

Così, dopo il crollo di Silicon Valley Bank, risalente allo scorso marzo, e quello di Signature Bank, è stato ora il turno di First Republic Bank, che aveva a tutti gli effetti un modello simile a quello di SVB e che è crollato dopo la corsa agli sportelli da parte dei ricchi titolari dei conti correnti.

Come sempre, staremo a vedere cosa decideranno Fed e Bce, nel non facile compito di misurare la stretta della politica monetaria in un difficile equilibrio (o sarebbe il caso di dire equilibrismo?) tra inflazione che nella componente core è ancora molto forte, mercato del lavoro e congiuntura economica con dato macro a volte contrastanti e difficili da interpretare.

Analisi curve dei rendimenti

Osservando le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali si confermano i segnali di indecisione e potenziale cambiamento sull’area sterlina e dollaro Usa. L’area UK vede ora il rendimento per il GILT salire in area 3,72% dal precedente 3,37% e con Trendycator che conferma lo stato NEUTRAL. Nuovamente in salita anche i rendimenti del BUND, che si porta ora in area 2,32% rispetto al precedente 2,18% e con Trendycator che si mantiene stabilmente in stato LONG. Salgono anche i rendimenti del nostro Btp decennale, ora in area 4,35% rispetto al precedente 4,05%, con uno spread ora in area 187 bps e modello Trendycator che indica un potenziale passaggio a stato NEUTRAL dal LONG che durava da ottobre 2021. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che salgono leggermente e si portano ora in area 3,43% rispetto al precedente 3,40% e con Trendycator che conferma il cambio di stato a NEUTRAL.

Curve rendimenti

Curve rendimenti con Trendycator – Elaborazione Circolo degli Investitori

Strategie operative in obbligazioni

Il momento di mercato è delicato. Aspettiamo di vedere le decisioni di Fed e Bce, non tanto in merito al prossimo rialzo dei tassi che i mercati scontano per entrambe allo 0,25%, quanto piuttosto per le dichiarazioni dei rispettivi Governatori in sede di conferenza stampa che potrebbero dare qualche informazione sulla strategia a medio termine in termini di politica monetaria.

Comunque, l’idea di base al momento è ancora quella di non esporsi con importi consistenti su scadenze lunghe o su obbligazioni con Credit Risk non investment grade, in particolare su parte del settore bancario USA che adotti modelli di business simili alle banche che sono andate in sofferenza in queste settimane.

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