Era il 22 Ottobre del 2010 e a Firenze si svolgeva il congresso fondativo di Sel. Nichi Vendola, leader carismatico di una sinistra radicale ancora molto comunista fu eletto per acclamazione dal popolo di militanti e delegati. Il suo intervento durò un’ora e mezza; l’uomo dal carisma logorroico deliziò la platea con un effluvio di citazioni mirabolanti, ascese linguistiche iperboliche, passaggi retorici aulici. Iniziava la sua “narrazione”, la ricerca di una “ontologia della libertà” che avrebbe consentito alla nuova sinistra di “salvare l’Italia”, niente meno.
In questi anni Nichi Vendola è stato il parolaio magico della politica italiana; l’incantatore elegante, il raffinato miscelatore d’immagini e parole. Quello che, per chiamare i leghisti xenofobi, li definiva “ultronei al loro confine”; quello che pensava di parlare all’operaio descrivendogli la “fenomenologia dei ceti medi”.
Vendola è stato il grande mascheramento del vuoto di una sinistra ottusa nelle idee, ancorata al ‘900 e ai suoi errori: la sinistra della CGIL, del conflitto tra capitale e lavoro, della solidarietà con i soldi degli altri, dei diritti senza doveri delle solite minoranze, del giustizialismo tranne che per sé.
Sotto quella retorica affabulatrice riusciva a nascondere anche incredibili scemenze dette come se nulla fosse; come quando paragonò la morte di Falcone e Borsellino a quella di Carlo Giuliani, il giovane black block ucciso mentre tirava un estintore contro un carabiniere; o quando disse che l’assassinio della povera Sarah Scazzi andava attribuito al berlusconismo e alle sue tv.
Sotto il suo dandysmo ideologico e moralista a Vendola si è perdonato tutto, persino qualche peccatuccio veniale: come quando si fece paparazzare a pranzo con il magistrato amico (anzi “conoscente”) che qualche tempo dopo lo assolse in un processo.
Oggi Vendola non parla più. Il suo partito è scosso da una scissione violenta. Gennaro Migliore (il suo capogruppo alla Camera e suo “figlio politico”) se n’è andato con altri 8 tra senatori e deputati tra cui alcuni fondatori del partito come Fava e la Di Salvo; altri li seguiranno. Confluiranno molto probabilmente nel Pd di Renzi che come un’idrovora si appresta ad assorbire pezzi di classe politica a destra e a sinistra.
Vendola ha ormai esaurito i suoi lirismi ipnotici: al massimo cita Brecht o si allunga nei luoghi comuni dei “carri e dei vincitori”.
Quel 22 ottobre a Firenze, al congresso di Sel, intervenne anche Matteo Renzi sindaco della città ospitante. Il rottamatore cercava alleati e Vendola poteva essere utile nella battaglia per le primarie; lo conquistò citando una frase del vescovo di Molfetta Tonino Bello, figura simbolo del cattolicesimo di sinistra: “Siamo angeli con un’ala sola, per volare dobbiamo stare abbracciati”.
Quella frase ha in sé il sadismo e l’insincerità tipici del linguaggio renziano; come quando dalla Bignardi disse “al governo andrei solo passando dalle elezioni non dagli inciuci di Palazzo”; o quando scrisse su Twitter Enrico stai sereno due giorni prima di accoltellare alle spalle il suo amico Letta e prendergli il posto di Presidente del Consiglio.
Ora che Renzi si è tenuto l’ala tutta per sé, a Vendola non resta altro che precipitare.
Il parolaio magico si è scontrato con uno che usa le parole meglio di lui per il consumo immediato dell’utile politico.
Quello di Vendola è un linguaggio da lirismo ideologico, inadatto alla democrazia. Quello di Renzi è il linguaggio del potere fine a se stesso che può fare a meno della democrazia. Sono i due volti della sinistra italiana: il parolaio magico e il pifferaio magico.

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