Il “doppismo” della sinistra, tra miserie e ipocrisia
Per la sinistra la doppia morale non è una patologia, né un capriccio snob da vanitosi salottieri. È qualcosa di più: è una caratteristica congenita, un pezzo del suo Dna; è come il microchip sottopelle che i grillini credono che ci stiano impiantando a tutti (tranne a loro).
Senza doppia morale la sinistra non saprebbe come muoversi nella giungla della storia, più o meno come Tarzan senza liana. La doppia morale è un riflesso condizionato da inseguire ad ogni costo mettendoci tutto l’ingegno possibile, un po’ come fa Vil Coyote con lo struzzo.
Quelli di sinistra indossano la doppia morale con una naturalezza aggraziata anche quando non eccellono in bellezza; più sono incazzati col mondo, duri e puri con i principi di moralità degli altri e più te li trovi a scivolare sulla buccia di banana delle loro contraddizioni e delle loro ipocrisie. Dietro gli occhialini appannati da intellettuali ottocenteschi o gli sguardi arcigni e inquisitori nascondono il senso di sofferenza per un mondo che non è come vorrebbero; tranne poi scoprire che nemmeno loro sono come si vorrebbero ma su questo passano sopra con nonchalance.
Gli ultimi casi saliti agli onori della cronaca sono francamente piccole cose rispetto al passato; interessano poco la storia e più le miserie umane. Da Curzio Maltese a Barbara Spinelli, passando per l’ultimo straordinario campione di “doppismo morale”, il sindaco di Napoli De Magistris l’ex magistrato che deve la sua fortuna politica al ruolo inquisitorio e giustizialista e che ora, dopo che è stato condannato in primo grado, si è avvinto come l’edera alla sua poltrona neanche fosse Nilla Pizzi.
Eppure la questione della doppia morale a sinistra parte da lontano, dai tempi in cui Guareschi disegnava i comunisti con tre narici. È da lì che nacque quel superiore senso d’impunità che ha giustificato l’ipocrisia del “doppismo” come fosse un diritto naturale.
Quando nel 1981 Berlinguer rilasciò la famosa intervista a Eugenio Scalfari sulla “questione morale”, la sinistra già navigava nella sua “doppia morale”. E così mentre il leader comunista denunciava “l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi”, il suo partito aveva iniziato da tempo ad occupare quello stesso Stato (enti locali, enti di previdenza, banche, aziende pubbliche, istituti culturali, ospedali, università, televisioni, giornali).
Mentre il Pci denunciava le ingerenze americane nella nostra sovranità, le sue casse venivano inondate da fiumi di soldi dell’Unione Sovietica che per decenni hanno finanziato generazioni di burocrati di partito, intellettuali organici e salsicciari della Festa dell’Unità; soldi per il quale nessun zelante “magistrato democratico” ha mai indagato (perlomeno per evasione fiscale e falso in bilancio visto che arrivavano in nero).
E mentre si condannava l’ipocrisia borghese alcuni dei suoi intellettuali coltivavano “blande frequentazioni” con i servizi segreti stranieri prima di fare fulgide carriere televisive o firmavano appelli contro innocenti servitori dello Stato che poi venivano ammazzati dai soliti “compagni che sbagliano”.
Nel tempo, questa impunità ha fatto nascere l’idea che se sei di sinistra puoi stare sopra le regole della storia tanto nessuno rinfaccerà le tue contraddizioni. E così la guerra di Bush era criminale, quella di Obama è umanitaria. Il precariato in un’azienda è sfruttamento, il lavoro nero al sindacato è “occupazione sociale”.
Se togliamo le miserie e le ipocrisie che rimpiccoliscono le gigantografie che i moralizzatori danno sempre di se stessi, potremmo anche dire che il “doppismo” della sinistra è un eccesso di altruismo: sono così preoccupati dagli altri che non hanno il tempo di guardare se stessi. Lo aveva capito Margaret Thatcher quando, a proposito dei governi che tassano, diceva: “Hanno la malattia tipica dei socialisti: hanno esaurito i soldi. Degli altri”.
Immagine: Sibylle Bergemann, Marx-Engels Monument, Berlin, DDR 1986