Il caso Mallegni: storia di una persecuzione senza fine
UN’ITALIA FEUDALE
Del caso Mallegni parlammo in quest’articolo di un anno fa che v’invito a leggere, rileggere e rileggere ancora… anche più di tre volte. Perché la storia che lì è raccontata non è semplicemente un clamoroso errore giudiziario, definizione asettica con cui i media raccontano la distruzione di vite, famiglie e carriere professionali compiute da magistrati che non pagano mai. No, quello che successe a Massimo Mallegni fu qualcosa di più: fu il manifestarsi plateale e sfacciato di un’Italia feudale in cui il potere di pochi può stravolgere le regole della democrazia, della volontà popolare e dei diritti altrui.
Un sindaco (ottimo amministratore eletto per ben due volte dai suoi cittadini) portato via in manette dal Consiglio comunale, costretto a farsi sei mesi tra galera e arresti domiciliari, per cinquantuno capi d’accusa (dall’associazione a delinquere, alla corruzione) per i quali risultò del tutto innocente; accuse partite da una denuncia per mobbing fatta dal suo Comandante dei Vigili Urbani, Antonella Manzione.
Il suo arresto (ed è questa la cosa più sconvolgente) fu richiesto al GIP ed ottenuto, dal fratello di lei magistrato (Domenico Manzione) che aveva condotto le indagini; arresto risultato persino illegittimo, come decretò la Cassazione.
Quindi, prendetevi tutto il tempo che volete ma leggetevi l’articolo che spiega anche altre chicche di questa Italia; solo così potrete capire l’assurdo di quello che sto ora per raccontarvi. Perché la storia non è finita qui…
PAUSA LETTURA
L’avete letto? Bene, ora ditemi, innanzitutto: come vi sentite? Che siate di destra o di sinistra, avete anche voi in bocca un retrogusto di indignazione e frustrazione? Avete anche voi l’idea di non vivere in un paese civile ma nella Corea del Nord di Kim Jong-un dove una casta autoritaria e i suoi famigli possono decidere la libertà (e quindi anche la vita) di uomini e donne?
Vi ho detto che la storia non finiva qui. Tenetevi forte.
TO BE CONTINUED…
Riabilitato dalla sua vicenda giudiziaria Massimo Mallegni è tornato a fare politica. Alle ultime ammnistrative, quelle del mese scorso, si è candidato nuovamente sindaco nella sua Pietrasanta e nuovamente ha vinto. La sera dei risultati, una folla di duemila cittadini l’ha accompagnato nella sede del Comune da dove quattro anni prima era stato portato via ingiustamente in manette e lì ha ricevuto la fascia tricolore dal sindaco uscente (di sinistra), un atto di riconoscimento che fa onore. Massimo Mallegni quella sera ha pianto di gioia.
“Come ti senti Massimo?”, gli ho chiesto; “come uno che ritorna alla vita” mi ha risposto.
Dal giorno dopo, col suo fare da imprenditore versiliese, ha cominciato a lavorare per comporre la Giunta, sbrigare pratiche e governare la “Piccola Atene” (com’è chiamata la perla d’arte e di artisti della Versilia).
Una settimana fa un nuovo colpo di scena: il Prefetto di Lucca l’ha sospeso da sindaco per la Legge Severino.
Com’è possibile? Presto detto: oltre ai cinquantuno reati da cui è stato assolto, ce n’era un cinquantaduesimo caduto in prescrizione; un abuso d’ufficio per “istigazione al rilascio di Passo Carrabile” (non ridete che è tutto tragicamente vero!).
Chi conosce i riti giudiziari sa che funziona così: quando un castello di accuse è clamorosamente smontato in sede processuale, per non ammettere l’errore, ti appioppano un reato minore in prescrizione così che comunque il sospetto che qualcosa hai fatto possa rimanere. Ne parlammo in quest’altro articolo relativo ad un altro clamoroso caso di ingiustizia, quello di Mauro Rotelli.
In teoria alla prescrizione si può ricorrere in appello ma tutti sanno che, chi esce da una persecuzione giudiziaria di anni, è distrutto psicologicamente ed economicamente e il livello di frustrazione è tale che difficilmente ricorrerà in appello pur di scappare da quel girone infernale.
UNO STRANO RINVIO
Invece Massimo Mallegni in appello c’è voluto andare. L’udienza era stata fissata al 30 giugno (quindici giorni dopo le elezioni) ma, Sim Sala Bim, la Procura generale di Firenze, l’ha spostata di dodici mesi (un anno!!!).
È allora che entra in scena il Prefetto che, su questo rinvio, pensa bene di applicare la Legge Severino sospendendo Mallegni dall’incarico di sindaco. Si, avete capito bene: quella legge che non si applica a De Magistris e a De Luca (amministratori di sinistra condannati per reati gravi) si applica al sindaco di centrodestra di un piccolo comune toscano per un reato ridicolo prescritto.
La decisione lascia allibiti perché comunque vada l’appello, Mallegni tornerebbe a fare il sindaco essendo il suo reato prescritto. Quindi perché continuare a perseguitare un uomo già ingiustamente perseguitato e calpestare la volontà dei cittadini che per la terza volta lo hanno scelto come sindaco?
La cosa più stupefacente è che questo Stato che ha rimandato di un anno l’Appello, c’ha messo un giorno (28 ore) per leggersi le pratiche e sospendere il sindaco.
Lo so cosa state pensando, voi maligni: che se Mallegni fosse stato di sinistra nella Toscana rossa, delle cooperative rosse, dei banchieri rossi e di qualche magistrato rosso, non sarebbe stato sospeso; e forse neppure mai perseguitato. Ma siete voi che pensate male.
Rimane il problema fondamentale: c’è un pezzo di magistratura di questo Paese che sembra incompatibile con la democrazia.
L’ULTIMO COLPO DI SCENA
Infine, qualche giorno fa, di fronte all’imbarazzo per l’accaduto, l’udienza di appello di Mallegni è stata anticipata al 10 settembre prossimo (di ben nove mesi, incredibile vero?), appena si rientrerà dalle vacanze.
In Italia la democrazia può aspettare, le ferie del magistrato, no.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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