Donald chi? Ovvero, la libertà della destra
DONALD CHI?
Cento giorni sono pochi per giudicare l’operato di un Presidente americano; in fondo sono appena il 7% del suo mandato. Eppure nessun inizio è stato più discusso, controverso, rinnegato, riabilitato, come quello di Donald Trump.
Per capire che disastro era stato Obama, non bastarono i suoi primi 4 anni; tanto che uno dei peggiori Presidenti Usa fu rieletto in maniera scontata.
Ancora oggi, schiere di replicanti obamiani, in America e in Europa, trovano miliardi di giustificazioni per assolverlo o semplicemente ignorare il suo fallimento.
Eppure Obama ha potuto governare avendo al suo fianco l’intero sistema di potere globale: dalla finanza ai media, da Soros a Hollywood. Lui, primo presidente nero della storia americana, era il Predestinato, il Messia che il mondo e il mondialismo aspettavano.
Il nuovo Martin Luther King tornato a riscattare i deboli e gli oppressi; il nuovo J.F.K. riesumato per completare il lavoro drammaticamente interrotto; il nuovo Mahatma Ghandi ricomparso per trasformare la nazione più bellicosa della storia in un circolo di pacifisti arcobaleno.
Alla fine, Obama è stato un mediocre Presidente liberal, ostaggio in politica estera di quel Partito della Guerra trasversale che l’industria militare finanzia, tra liberal progressisti e neoconservatori e che ha contribuito ad indebolire l’America nel mondo e a renderla meno sicura all’interno.
Trump invece è arrivato alla Casa Bianca inaspettato e non desiderato. Figlio illegittimo di un’America che si riempie la bocca di parole come Democrazia ma la disconosce quando partorisce fuori dalla sua volontà e dai suoi progetti.
Odiato dallo Stato Profondo, odiato dall’intero sistema dei media, odiato da Hollywood, odiato dal suo stesso partito, la forza di Trump è stata il suo popolo e il suo porsi “anti-sistema”.
Ma anche da un manipolo di intellettuali eretici, opinion-makers scandalosi, pensatori estranei all’establishment accademico e mediatico; ed ora sono proprio loro, liberi dai vincoli di potere che soffocano il loro colleghi di sinistra, a denunciare le maggiori perplessità sui suoi primi 100 giorni.
TRUMP, CRACK E TRANSGENDER
Pat Buchanan, già consigliere di Nixon e Capo delle Comunicazioni di Reagan, è uno dei decani tra gli ideologi del conservatorismo americano. Da sempre ostile alle politiche d’interventismo Usa, ha criticato l’escalation contro la Corea imposta da Trump: “fino a quando dovrà essere responsabilità degli Usa contenere dittatori militaristi?”; perché dobbiamo “farlo noi quando due suoi vicini – Russia e Cina – sono potenze nucleari e Corea del Sud e Giappone hanno forze convenzionali di gran lunga superiori a Kim?” E ha aggiunto “in 100 giorni, la promessa di una Presidenza Trump che avrebbe guardato ai propri interessi nazionali e lasciato il mondo a risolvere i suoi di problemi appare un miraggio. Saranno più guerre a fare l’America di nuovo grande?“
Ann Coulter è una delle più famose opinioniste di destra americane; polemista agguerrita e controcorrente, è stata una delle poche a prevedere la vittoria di Trump e ad attaccare i Repubblicani ostili alla sua presidenza. Ma dopo il bombardamento in Siria la sua delusione è cocente: “Assad è uno dei dittatori meno crudeli del Medio Oriente (…) non è un delinquente criminale come Saddam, protegge i cristiani e combatte l’Isis, ci ha offerto intelligence contro Al Qaeda dopo l’11 Settembre; non usa polizia islamica per perseguitare donne o gettare i gay dai palazzi (come fanno i nostri amati alleati dell’Arabia Saudita)”. Perché quindi attaccarlo? Perché per i Presidenti Usa “la guerra è come il crack”, e il bombardamento di Trump sulla Siria “è immorale, viola ogni promessa elettorale fatta e potrebbe affondare la sua Presidenza”.
Laura Igraham è invece una delle più importanti voci radiofoniche americane; giornalista apprezzata e convinta conservatrice, ha lasciato a Twitter il suo disagio dopo le bombe in Siria: “missili in volo. Rubio felice. Mc Cain in estasi. Hillary a bordo. Un cambiamento di politica completo in 48 ore“.
Fred Reed è uno dei più dissacranti personaggi della galassia anarco-libertaria americana: quella destra minoritaria nel Gop ma forte e radicata nell’America profonda dei cowboy e degli yeomen; ex militare, ex inviato di guerra, lancia i suoi strali scandalosi contro il politcally correct della società Usa e dei fighetti radical-chic. Non è mai stato un trumpiano ma lo ha votato, perché “dovevamo scegliere tra un fetore e un pazzo. Abbiamo scelto il pazzo”. Ma denuncia: dopo il primo Presidente Nero, “abbiamo il primo Presidente Transgender: perché Trump è diventato Hillary”.
Milo Yiannopoulos è balzato alla cronaca subito dopo l’elezione di Trump, quando per impedirgli di parlare ad un convegno all’Università di Berkely, la sinistra scatenò violenze di piazza inaudite aggredendo e picchiando studenti di destra (con scene che ovviamente i media hanno nascosto e che qui vi mostro). Milo un libertario di destra, gay, ma cattolico tradizionalista e con posizioni radicalmente anti-islamiche; collabora con Bannon su Breitbart.com ma ha preso le distanze dal bombardamento in Siria: “non è per questo che la gente ha votato Trump”.
LA LIBERTÀ DELLA DESTRA
Insomma, anche dopo appena 100 giorni, gli intellettuali di destra americani non fanno sconti al loro Presidente. Ed emerge con chiarezza la loro libertà rispetto ai “colleghi” di sinistra. Il motivo è chiaro: l’intellettuale di destra, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha rendite di posizione da dover difendere, non appartiene al potere mediatico o accademico, né dipende da strutture di partito o dall’establishment finanziario. Non campa con i soldi di Soros o di Hollywood; non è organico a nulla se non alla propria coscienza. Essere intellettuali a sinistra è un obbligo dettato dallo Spirito del Tempo; esserlo a destra, una follia dello Spirito che sta oltre il Tempo.
La libertà della cultura di destra, minoritaria nei luoghi di potere, ma maggioritaria nella società reale, è forse la più preziosa risorsa che Trump possiede; anche quando, da questa cultura, viene criticato. Se solo fosse in grado di capirlo.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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