cremaIL MATTATOIO
Il Dipartimento di Stato americano ha comunicato al mondo la notizia sconvolgente che Assad ha costruito forni crematori per eliminare ogni traccia delle esecuzioni di massa che sta conducendo contro gli oppositori.
In una conferenza stampa il 15 maggio scorso, Stuart Jones, vice-Segretario per gli Affari del Vicino Oriente, ha dichiarato che: “a partire dal 2013 il regime siriano ha installato un forno crematorio all’interno della prigione di Saydnaya. Lo scopo è eliminare le prove e nascondere l’entità della omicidi di massa che avvengono nel carcere stesso”.

Il carcere di Saydnaya è venuto alla ribalta della cronaca nel Febbraio scorso, quando Amnesty International ha pubblicato un report di 40 pagine intitolato: “Il mattatoio umano. Stermini di massa nella prigione siriana di Saydnaya”.
Il documento è un atto di accusa senza riserve dei crimini che il regime di Assad avrebbe commesso all’interno della prigione militare a 30 km a nord di Damasco, dove dal 2011 “migliaia di persone sono state giustiziate extragiudizialmente in massacri di massa effettuati di notte e nel massimo segreto”.

Secondo il report, attualmente la prigione ospiterebbe tra i 20.000 e i 30.000 detenuti, nella stragrande maggioranza oppositori al regime, sia militari che civili.
Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, dal 2011 le esecuzioni nel carcere di Saydnaya hanno raggiunto il livello di vere “impiccagioni di massa”: Amnesty International stima che “tra 5.000 e 13.000 persone” sono state “giustiziate senza processo”.

Secondo la ricostruzione del report, la procedura è una vera e propria catena di montaggio dell’orrore. I detenuti vengono condannati in un processo farsa della durata media di due minuti in una stazione di polizia di Damasco, portati a Saydnaya in attesa della esecuzione e infine impiccati in un seminterrato dell’edificio bianco dopo essere stati picchiati o torturati.

Amnesty non ha informazioni dirette di condanne a morte dopo il 2015 ma poiché le detenzioni nel carcere continuano “non c’è ragione di credere che tali esecuzioni extragiudiziali si siano fermate”.

saydDUBBI SUL REPORT DI AMNESTY
Il rapporto di Amnesty presenta un numero considerevole di incongruenze. Ai fini di questo articolo ne analizziamo un paio:

I TESTIMONI: Amnesty dichiara di aver raccolto le testimonianze di 85 persone; di cui, 31 ex detenuti, 4 guardie carcerarie che lavoravano nella prigione, 3 ex giudici siriani, 3 medici dell’ospedale militare di Tishreen, 4 avvocati, 17 esperti di diritto carcerario internazionali e siriani, 22 parenti di persone ancora detenute nel carcere.

Poiché Amnesty International non ha accesso alle zone della Siria sotto la giurisdizione governativa, “la maggior parte di queste interviste sono state fatte nel sud della Turchia”; altre effettuate “per telefono o attraverso strumenti remoti”.
Gli intervistati attualmente risiedono in Siria (ma non si specifica se nei territori governativi o in quelli sotto i ribelli o sotto l’Isis), in Libano, in Giordania, in alcuni paesi Europei e negli Stati Uniti.
Ovviamente tutti i testimoni, oppositori del regime siriano, sono anonimi per motivi di sicurezza loro e quella dei loro parenti rimasti in Siria.

I testimoni sono stati rintracciati attraverso tre Ong delle quali, almeno due, appartengono all’universo di organizzazioni civili finanziate direttamente o indirettamente da governi occidentali o ostili ad Assad:
1) il Syria Justice and Accountability Centre, organizzazione fondata in Turchia e con sede a Washington
2) la Rete Siriana per i Diritti Umani (SNHR), fondata in Gran Bretagna, per molti legata ai Servizi britannici e parte del World Federalist Movement – Institute for Global Policy, finanziato da diversi governi occidentali e da fondazioni private come la Open Society di Soros e la Ford Foundation.
Insomma, non certo soggetti neutrali e imparziali nel giudizio.

NUMERO VITTIME: una stima tra “5.000 e 13.000” rappresenta un delta del 150% e sarebbe inattendibile per qualsiasi inchiesta internazionale.
I numeri di Amnesty si basano solo su ricordi di testimoni oculari che dichiarano cose tipo: “di solito venivano eseguite tra le 7 e le 20 condanne ogni 10-15 giorni”, oppure “nei seguenti 11 mesi, 20 e 50 esecuzioni una volta la settimana” (p. 17).

Degli 85 testimoni, solamente 2 descrivono un’impiccagione ma non è specificato se per visione diretta o per sentito dire (pp. 25-26). Nessuno degli altri ha mai assistito alle uccisioni in serie che avvenivano nel carcere.

Ovviamente non esistono registri, né liste, né alcun altro tipo di prova che possa suffragare questi dati. A tal punto che le conclusioni di Amnesty si basano su un ragionamento tipo: “se questi sono i dati, le cifre sono queste”, una cosa che per qualsiasi tribunale internazionale sarebbe carta straccia.

Amnesty dichiara di conoscere i nomi di 36 condannati a morte sui 5000-13000; meno dell’1% nel caso della cifra minore dei morti.
A questi vanno aggiunte altre 375 persone che sono morte dal 2011 al 2016 a seguito delle torture subite nel carcere. I loro nomi sono comunicati dai loro compagni di cella sopravvissuti. Ma nello stesso report Amnesty confessa che “è impossibile stabilire il numero esatto dei morti di Saydnaya” (p. 40).

Dal momento della sua uscita, il report è stato enfatizzato sui media occidentali senza alcuna analisi critica, con l’evidente scopo, funzionale alla propaganda occidentale, di alimentare le posizioni più ostili nei confronti del regime di Assad: dai media Usa, a quelli europei, da Al Jazeera, ai giornali italiani  è stata data per scontata la cifra maggiore dei morti (il top lo ha raggiunto l’Ansa che è persino riuscita a superare Amnesty International, dichiarando “oltre 13.000 persone giustiziate”.

CONDANNE A MORTE IN SIRIA
Il report ha molte altri aspetti dubbi (per esempio le analisi dei meccanismi giudiziari che sembrano incoerenti col sistema legislativo siriano) ma c’è un aspetto di tipo storico che invece forse conviene sottolineare: prima dello scoppio della guerra civile, la Siria era uno dei paesi col minor numero di condanne a morte nel mondo. Secondo una ricerca proprio di Amnesty International, nel periodo 2007-2012 le esecuzioni capitali in Siria sono state 34 contro le migliaia in Cina, le oltre 1500 in Iran, le 400 in Arabia Saudita e le 220 negli Usa. In pratica il criminale regime di Assad ha condannato a morte lo stesso numero di persone condannate a morte in Giappone e un sesto di quelle giustiziate nella più grande democrazia del mondo.

È plausibile che con lo scoppio della guerra civile, la brutalità del conflitto e l’introduzione di leggi speciali, i meccanismi repressivi del regime siano aumentati ma è difficile, con i dati a disposizione, riuscire realisticamente a disegnare un quadro come quello descritto a Saydnaya.

downloadE I FORNI?
Nessuno degli 85 testimoni ascoltati da Amnesty International ha mai parlato o accennato alla possibile esistenza di strutture di cremazione all’interno del carcere. Come è possibile?
Anzi, al contrario, due dei funzionari hanno specificato che i corpi dei condannati, dopo il loro riconoscimento nell’Ospedale militare di Tishreen, venivano seppelliti in fosse comuni in due cimiteri a nord di Damasco . Amnesty documenta persino le foto satellitari dei cimiteri, dove, ovviamente nulla dimostra l’esistenza di queste presunte fosse comuni tanto che Amnesty afferma nel suo report che non “è in grado di verificare queste dichiarazioni” (p. 28).

Ma quindi da dove sono uscite fuori le dichiarazioni del Dipartimento di Stato? Come è possibile che una prova così lampante dei crimini di Assad non sia presente nel report di Amnesty?

D’altro canto le prove portate dal Dipartimento di Stato (e anche qui prese dai media internazionali come oro colato) si riducono a: foto satellitari (non di satelliti militari) di un edificio della prigione che presenterebbe dal 2013 canne fumarie, strutture di ventilazione HVAC e prese d’aria “coerenti con un crematorio”. Ma in realtà coerenti anche con un grande locale caldaia.
E se, come dichiarano gli americani, il crematorio è operativo dal 2013, come è possibile che nessuno nel carcere né fuori se ne sia accorto o ne abbia sentito parlare visto che le testimonianze raccolte nel report di Amnesty riguardano il periodo 2011-2015?

Ian Grant (@Gjoene), analista militare olandese esperto di questioni siriane, ha dimostrato inoltre che le bocche di ventilazione che secondo gli americani il regime ha costruito dall’agosto 2013 per smaltire il cumulo di cadaveri prodotti, erano già presenti prima e quindi quel locale è sempre esistito; e allora a cosa si riferiscono le foto mostrate dal Dipartimento di Stato?

IL BRAND “HITLER”
Ci sono due possibilità: che le dichiarazioni del Dipartimento di Stato siano false (o meglio imprecise) o che sia falso il report di Amnesty (o meglio impreciso).
In realtà c’è una terza ipotesi, la più probabile: che siano falsi (o meglio imprecisi) tutti e due.

L’obiettivo? Trasmettere nell’opinione pubblica occidentale l’immagine di Assad come nuovo Hitler (così come lo sono stati prima di lui Milosevic, Saddam e Gheddafi); perché Hitler è il brand necessario per giustificare ogni guerra umanitaria.
E cosa c’è di più orribile per la memoria dell’Occidente di un forno crematorio
? E puntuale, prima ancora di qualsiasi verifica è arrivata la mobilitazione morale della coscienza civile che abita nei media mainstream.
Dopo il bombardamento chimico a Khan Shaykun dell’aprile scorso, il forno crematorio di Assad sembra l’ultima trovata hollywoodiana dei registi caos globale.

Rimane l’amarezza di vedere la libera informazione democratica incapace da anni di porre un minimo dubbio alle certezze che i signori della guerra mondiale permanente impongono sotto l’ipocrisia delle loro ragioni umanitarie.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

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