Qatar: uno tsunami geopolitico
TUTTI CONTRO IL QATAR
Con una decisione senza precedenti Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein e Egitto hanno rotto le relazioni diplomatiche con il Qatar, chiusa l’unica frontiera terrestre del Paese (quella con l’Arabia Saudita), bloccati il traffico aereo e quello marittimo ed intimato ai cittadini qatarioti (in visita o residenti nei Paesi del Golfo) di tornare in patria entro tre settimane. Una sorta di isolamento forzato.
L’Arabia Saudita accusa il Qatar di essere sponsor del terrorismo islamista. E in effetti lo è. Ma è paradossale che l’accusa arrivi da un paese che ha creato Al Qaeda e che ha prodotto e finanziato per lungo tempo l’Isis e che (almeno fino a poco tempo fa) ha foraggiato i gruppi integralisti in Siria (come ammise l’ex vicepresidente americano Joe Biden)
D’altro canto il rapporto tra Arabia Saudita e gruppi islamici più integralisti è cosa risaputa non solo in Medio Oriente; in Europa, sono i sauditi i principali finanziatori di moschee e scuole coraniche in cui imam salafiti istigano all’odio per l’Occidente e per i suoi valori; ed è l’oscurantismo religioso wahabita, base della monarchia Saud, a ispirare le follie ideologiche del Califfato e dei tagliagole dell’Isis.
Certo è che il Qatar, i suoi rapporti con le organizzazioni integraliste islamiche li ha intensi e in alcuni casi storici. Ma, per semplificare, potremmo dire che appoggia “gli integralisti sbagliati”. Vediamo perché.
GLI AMICI DEL QATAR
Fratelli Mussulmani: innanzitutto il Qatar appoggia i Fratelli Mussulmani, la potente organizzazione islamica ritenuta terroristica in molte regioni del Medio Oriente. Fu Al Jazeera la macchina di propaganda mediatica dell’Emirato a costruire l’immaginario delle Primavere Arabe e l’ascesa dei gruppi legati ai Fratelli Mussulmani in molti paesi, tra cui l’Egitto, destabilizzando l’intera regione.
Non a caso, come riporta la Reuters, ieri il Presidente egiziano al-Sisi, nemico storico della Fratellanza Mussulmana, ha dichiarato che la politica del Qatar “minaccia la sicurezza nazionale araba e getta i semi della discordia e della divisione all’interno delle società arabe”.
Hamas: in quest’ottica, il Qatar finanzia Hamas (organizzazione terroristica della Fratellanza) e da sempre attua una politica filo-palestinese in netto contrasto con la linea israeliana della Casa saudita.
Al-Nusra: in Siria, il Qatar continua a finanziare Al-Nusra e i ribelli anti-Assad legati ad Al Qaeda che, almeno formalmente, i sauditi hanno smesso di finanziare da quando l’arrivo di Donald Trump ha interrotto l’appoggio che l’America di Obama aveva loro dato.
Libia: in Libia il Qatar supporta i gruppi jihadisti contrapposti al Gen. Haftari appoggiato invece da Emirati Arabi e Russia.
Afghanistan: E da sempre il Qatar è al fianco dei mujaheddin afghani (Doha è l’unica capitale al mondo ad ospitare una rappresentanza diplomatica dei talebani).
Iran: ma l’accusa più grave rivolta è quella di coltivare legami con l’Iran, nemico storico dei sauditi e degli arabi sunniti. Ed è proprio il recente rifiuto dell’Emiro del Qatar di partecipare all’alleanza anti-iraniana promossa da Trump durante il suo recente viaggio in Arabia Saudita, ad aver scatenato la reazione contro il piccolo Stato del Golfo.
GUERRA O REGIME CHANGE?
In genere, accelerazioni come queste preannunciano destabilizzazioni profonde o addirittura un conflitto; è però improbabile che quest’ultimo si verifichi per tre fondamentali ragioni:
1) Non si fa la guerra ad un paese che ha un fondo sovrano (il Qatar Investment Authority) tra i più importanti del mondo, con un patrimonio di oltre 300 mld di dollari e partecipazioni azionarie nelle più importanti aziende del pianeta (dalla Volkswagen a Tiffany, da Credit Suisse a Barclays, dalla russa Rosneft a Citic China); che è azionista di maggioranza del London Stock Exchange (la Borsa di Londra che a sua volta controlla anche quella di Milano), che possiede pezzi interi di Manhattan, che ha il più grande patrimoni immobiliare di Singapore e i magazzini Harrods a Londra, solo per citare qualcosa; ed il cui Ceo è membro della famiglia reale.
2) Il Qatar ospita, nella base di Al Udeidi, il CentCom, il Centro di Comando americano che sovrintende le operazioni in Medio Oriente con circa 10.000 soldati Usa; base costata miliardi di dollari all’Emiro e che di fatto è garanzia di inviolabilità per il Paese.
3) il Qatar ha recentemente stipulato un accordo militare con la Turchia che consente ad Ankara di dislocare sul territorio 3.000 soldati (100 anni dopo la fine della presenza Ottomana nel Golfo Persico) in cambio della difesa in caso di aggressione.
È probabile che l’azione aggressiva contro il Qatar abbia un altro obiettivo: un regime change morbido, interno alla famiglia reale. Magari con un suo membro più moderato e più incline alla mediazione e disposto ad allineare il Qatar alle posizioni dei Paesi del Golfo; ad esempio Hamad bin Jaber al-Thani già primo Ministro fino al 2013 (e vice Presidente del QIA), potentissimo uomo d’affari particolarmente gradito agli Stati Uniti (è membro del Brooking Institute, l’influente think tank atlantista) e alla Francia con la quale ha chiuso, da Premier, le partecipazioni più importanti (Total, Gdf Suez, Vinci) oltre che i maggiori accordi di acquisto armi.
E TRUMP?
La decisione di rompere le relazioni con il Qatar è un vero e proprio “tsunami geopolitico”, inaspettato e devastante.
La decisione è avvenuta pochi giorni dopo la visita ufficiale di Donald Trump in Arabia Saudita; è perciò chiaro che la Casa Bianca l’ha condivisa.
In quell’occasione il Presidente americano, il Re saudita e il Presidente egiziano, in una cerimonia dall’inquieto sapore esoterico, hanno individuato i due nemici “sostenitori del terrorismo”: l’Iran e i Fratelli Mussulmani.
Ma mentre l’Iran gode della protezione storica della Russia (ed è tuttora impegnata in Siria nella lotta contro l’Isis e Al Qaeda), i Fratelli Mussulmani non hanno alcuna copertura una volta neutralizzato il Qatar.
Washington è alleato dei sauditi, Mosca degli iraniani; ma americani e russi sanno che non conviene infilarsi nel secolare conflitto tra sunniti e sciiti.
Se siamo di fronte ad un’accelerazione finalizzata ad aprire uno scontro diretto con l’Iran (sullo sfondo di una guerra per procura che sauditi e iraniani combattono nello Yemen e che i sauditi non stanno vincendo) il rischio di un conflitto su larga scala rende improbabile che America e Russia lo accettino.
Se al contrario, gli slogan anti-iraniani di Trump sono solo una false flag per combattere il terrorismo jihadista e sunnita (quello dei Fratelli Mussulmani) portandosi dietro coloro che quel terrorismo lo hanno alimentato e trovando convergenza con gli obiettivi di Mosca, allora ci troveremmo di fronte ad un cambiamento storico della politica estera Usa in Medio Oriente.
Insomma, la partita che passa per il confine del Qatar servirà a capire se Trump ha la forza di essere Trump o la debolezza di rimanere un presidente succube della lobby saudita e neo-con e del partito della guerra che ha dominato Washington in questi anni.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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