19omran-video-facebookJumbo-v3LO SGUARDO DI UN BIMBO
Il video mostrava un bimbo di quattro o cinque anni in braccio ad un soccorritore appena estratto dalle macerie della sua casa ad Aleppo. Il bimbo non piangeva ma si teneva al collo dell’uomo; era lucido, probabilmente sotto shock; velocemente veniva caricato su un’ambulanza e messo seduto sulla poltroncina arancione. Era attonito, quasi stupito, per qualche secondo immobile come una bambola inanimata a guardare verso gli uomini che lo riprendevano con le loro videocamere come fosse uno spettacolo.
Poi il bimbo si passava la manina sulla testa ferita guardandola coprirsi di sangue; e con un moto dolce e naturale se la puliva su quella poltroncina arancione, replicando un gesto magari mille volte fatto sul divano di casa o sul suo lettino.

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Il video, caricato su YouTube, fu immediatamente reso virale da migliaia di visualizzazioni e riprodotto sui principali siti d’informazione occidentale.
Ma sarà un fermo immagine di quella scena, una foto scattata dentro l’ambulanza, a rimbalzare da una parte all’altra del mondo trasformando quel bimbo nel simbolo dell’orrore siriano: quel viso sporco di sangue e calce guardava stupito noi e i nostri sensi di colpa.

Era l’agosto di un anno fa e il bimbo si chiamava Omran, Omran Daqneesh.

LA VERSIONE UFFICIALE
Erano i mesi terribili dell’assedio di Aleppo, quando l’esercito di Assad, appoggiato dall’aviazione russa, cercava di liberare la città occupata dai ribelli che l’Occidente si ostinava a chiamare “moderati”, ma che altro non erano che le bande jihadiste e mercenarie dei tagliagole finanziati dal Pentagono, dalla Cia e dagli alleati sauditi.

Secondo la versione ufficiale, immediatamente ripresa da tutti i media occidentali, Omran era stato ferito da un bombardamento dell’aviazione di Assad o dei russi che avevano distrutto la sua casa, ferito i suoi genitori e ucciso un suo fratellino di 11 anni.
Almeno così dicevano i volontari dell’Aleppo Media Center, una ong finanziata da Usa e Gran Bretagna, legata ai ribelli di Al Qaeda ed attiva nei territori sotto il controllo dei jihadisti; non proprio una fonte obiettiva, ma sufficiente a confermare la narrazione che di questa guerra l’Occidente aveva bisogno di dare: i cattivi (russi e siriani) da una parte e i buoni (i ribelli moderati) dall’altra.
Articoli come questo italiano su Il Fatto Quotidiano riempirono i commenti ipocriti di editorialisti di tutto il mondo.

L’autore della foto, Mahmoud Raslan, divenne una star sui media internazionali, e poco importava che sul web circolassero i suoi selfie compiaciuti insieme ad un gruppo di cinque jihadisti di al-Zenki, una delle fazioni più crudeli e sanguinarie tra quelle finanziate dagli Usa, due dei quali furono coloro che decapitarono in diretta video un bambino palestinese accusato di essere una spia di Assad. Ed ora Raslan è a Idlib, nella provincia occupata dai gruppi di Al Qaeda, a conferma di come lui ne facesse parte.

Omran2LA VERITÀ NON DETTA
Oggi il piccolo Omran sta bene nell’Aleppo liberata, e suo papà Mohamed ha finalmente deciso di raccontare la verità svelando bugie e manipolazioni giocate sulla pelle di suo figlio. Ha deciso di parlare convinto da un giornalista siriano, Khaled Iskef, che ha ascoltato la sua storia. Lo ha fatto sui media siriani e lo ha fatto su testate di contro-informazione come MintPress, che da anni raccontano l’altra storia, quella che il mainstream nasconde.

Ha raccontato che nessuno sa ancora cosa è realmente accaduto quella notte: “eravamo in casa quando tutto è crollato (…) non lo sappiamo (…) non abbiamo sentito rumori di aerei o bombardamenti (…) all’improvviso solo il buio”. Tutt’oggi non è certo che sia stata una bomba d’aereo e non piuttosto un colpo di mortaio sparato dai ribelli.
Ha raccontato di come Omran sia stato ferito leggermente, mentre era grave il figlio più grande Mohamed, che sarebbe morto tre giorni dopo in ospedale per un’emorragia interna; racconta di come lui sia andato in quell’Ospedale chiedendo che suo figlio venisse trasferito perché “non mi fidavo di loro”.
Forse perché sapeva che l’ospedale di Aleppo, occupato dai ribelli, non era più un ospedale ma il quartier generale di Al Qaeda e al-Nusra e dei jihadisti, come ha documentato in questo video il reporter francese Pierre Le Corf, tra i primi ad entrare nelle zone di Aleppo liberate.

Il papà di Omran ha raccontato anche di come abbiano usato suo figlio per costruire la propaganda anti-Assad, scrivendo addirittura che lui era un oppositore del regime “agli arresti domiciliari”, ma non era vero: “volevano che io dicessi che erano stati i russi o i siriani a colpirci ma io non potevo essere testimone di ciò che non ho visto”.
Ha raccontato di come i ribelli gli abbiano “offerto soldi, lavoro, e anche un lasciapassare per andarsene” se avesse detto quello che loro volevano, ma lui ha rifiutato: “io sono prima di tutto un siriano e i miei figli hanno il diritto di vivere in questo Paese”.

Khalef Iskef, il giornalista siriano che per primo ha raccolto la storia di Omran, ha raccontato che “giornalisti vicino ad al-Nusra” hanno detto al padre di Omran “che 26 milioni di musulmani aspettavano che lui dichiarasse che il bombardamento era stato del regime siriano”.

La storia del piccolo Omran è uno dei più straordinari esempi del processo di manipolazione propagandistica costruito sulla guerra siriana.

COME SI AIUTA L’ISIS
Elijah Magnier, storico giornalista di guerra dal Medio Oriente, in un recente articolo ha elencato le ragioni della crescita dell’Isis in questi anni: e tra queste, la complicità del mainstream occidentale nell’aiutare la propaganda dell’Isis e dei gruppi terroristici travestiti da ribelli, contribuendo “a fornire validi motivi per il grande numero di coloro che si sono uniti al Califfato”; troppi giornalisti occidentali non si sono preoccupati di verificare le fonti delle notizie purché queste coincidessero “con la narrazione concordata a livello globale”; l’Isis non poteva essere più grato per “avere avuto a disposizione questo materiale editoriale (…) perfetto strumento di reclutamento, potente e gratuito”.

La storia del piccolo Omran è l’ennesimo esempio del modo in cui i democratici media occidentali hanno costruito un’altra verità su una guerra sporca; ad uso e consumo di chi ha voluto la distruzione della Siria e la sofferenza del suo popolo.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

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