Papa Francesco Soros
M’INQUIETA
Lo dico con la morte nel cuore, ma questo Papa m’inquieta.
M’inquieta il suo estremismo ideologico, l’assenza di profondità con cui sembra affrontare temi epocali che scuotono dalle fondamenta la nostra società. M’inquieta la sua puntuale strategia mediatica, perfettamente coerente con le esigenze del mainstream da cui sembra golosamente attratto. M’inquieta il fatto che lui dica esattamente quello che le élite mondiali vogliono sentir dire. M’inquieta, su alcuni temi, vedere la Chiesa di Roma succube dello Spirito del Tempo, in linea col peggior mondialismo tecnocratico la cui deriva stiamo scontando sulla nostra pelle. M’inquieta, sull’immigrazione, sentire un Papa parlare come un documento della Open Society.
E se il vicario di Cristo, capo della Chiesa romana, sembra il replicante di Soros forse dovremmo inquietarci tutti. Se ottiene il plauso di Emma Bonino e fai fatica a distinguere il suo messaggio da un articolo di Roberto Saviano, vuol dire che la Chiesa ha cessato di essere “incredibile” per diventare banalmente credibile.
UTOPISMO E IRREALTA’
Le posizioni e le affermazioni di Papa Francesco sull’immigrazione imbarazzano per il livello di utopismo e di irrealtà e per la rottura radicale che questo pontefice sta facendo con gli insegnamenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, per i quali il “Diritto ad emigrare” (sancito peraltro già da Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et Magistra), è sempre stato preceduto da un diritto superiore: il “Diritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria” (Giovanni Paolo II).
O per il fatto che il fanatismo immigrazionista di Bergoglio non tiene minimamente conto che il dovere all’accoglienza “va sempre conciliato con le esigenze delle società che accolgono gli immigrati” (Giovanni Paolo II) e che “ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune” (Benedetto XVI).
E che l’immigrazione porta con sé conseguenze stravolgenti all’identità delle nazioni che per l’internazionalista Bergoglio sono marxianamente sovrastrutture, ma per la Dottrina della Chiesa sono elemento centrale dell’ordine internazionale, come evidenziò sempre Benedetto XVI nel 2012 parlando ai sindaci dell’Anci: “bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la Nazione italiana”. Principio che vale per ogni Nazione.
Il messaggio di papa Francesco non è rivoluzionario e neppure sovversivo; è semplicemente l’addomesticamento di questo papato al progetto delle élite
Sia chiara una cosa: qui non è in discussione l’amore e l’accoglienza che ogni cristiano deve riservare agli ultimi, ai sofferenti, ai bisognosi; fondamento di una pietas che affonda le sue radici nell’insegnamento di Gesù, nel suo Annuncio di morte e resurrezione e nell’operato storico degli apostoli.
Non è in discussione il principio cattolico del “bene comune universale che abbraccia l’intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista” (parole di Giovanni Paolo II).
Qui è in discussione il tempismo di un Papa che abbraccia un integralismo migratorio banalizzando il dramma storico di questo esodo indotto dal potere mondialista, come fosse un semplice problema di egoismo nazionale dei soliti europei razzisti e xenofobi.
Il recente messaggio di papa Francesco non è rivoluzionario e neppure sovversivo; è semplicemente l’addomesticamento di questo papato a questo progetto.
UNA CHIESA DI: “NO STATE, NO BORDERS”
La stampa italiana si è soffermata sul tema dello Ius Soli, “il diritto alla nazionalità dalla nascita” rivendicato da Papa Francesco; ma in verità quel passaggio è stata una forzatura perché il contesto in cui è inserito riguarda il fenomeno dell’apolidia, cioè l’assenza di nazionalità, uno dei casi in in cui “talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati”.
Ma il fatto stesso che le dichiarazioni di questo Papa si lascino andare a equivoci e strumentalizzazioni, rivela l’ambiguità di un Magistero che sembra, ogni volta, voler generare provocazione.
Ci sono però passi in quel messaggio che dimostrano la reale volontà di questo Papa di rompere con la storia dell’Occidente.
STATO E NAZIONE: Francesco afferma che la centralità della persona umana “obbliga di anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale”.
Di per sé la frase è legata alla tradizione della Chiesa e dell’Occidente: la sacralità dell’esistenza impone che non esista ragion di Stato superiore ad una vita umana. I governi hanno l’obbligo morale di salvare i migranti e proteggere coloro che arrivano nei viaggi della disperazione. Ma se il Papa afferma che l’immigrazione va accettata indipendentemente dalla sicurezza sociale di un Paese, allora la questione diventa pericolosa.
Le nazioni moderne non si fondano su un principio divino ma su un compromesso tra l’appartenenza identitaria, la libertà individuale e la sicurezza che lo Stato appunto deve garantire. Se uno Stato non adempie a quest’obbligo viene meno uno dei motivi per cui esso deve esistere. La “sicurezza nazionale” in questo caso non è Ragion di Stato ma è sicurezza personale dei singoli cittadini, di cui l’apparato statale di ogni nazione deve farsi carico, pena l’invalidamento del rapporto di fiducia tra Stato e individuo.
Forse Papa Francesco non lo sa, ma la sua frase distrugge la radice stessa della democrazia occidentale e la sua posizione lo avvicina terribilmente a quella dei nipotini di Soros quando sfilano per le città europee con gli striscioni: “No State, no borders”.
RESPONSABILITÀ INDIVIDUALE: Papa Francesco afferma anche che bisogna “favorire il ricongiungimento familiare — con l’inclusione di nonni, fratelli e nipoti — senza mai farlo dipendere da requisiti economici”.
Cioè, in altre parole, se un immigrato arriva illegalmente in un paese, i suoi cittadini dovranno farsi carico non solo di lui ma anche dei suoi parenti in nome di un’integrità familiare che lui ha disintegrato decidendo di emigrare (salvo ovviamente il caso di coloro che fuggono perché realmente perseguitati).
Secondo questo principio, l’immigrato non va educato ad un etica della responsabilità individuale, della graduale realizzazione di sé attraverso il lavoro e la crescita personale ed economica capace poi di migliorare le sue condizioni e garantirgli di poter sostenere da sé la sua famiglia.
Qui c’è qualcosa di più dell’obbligo ad un’accoglienza umanitaria o all’inserimento socio-lavorativo (cosa sacrosanta). Questa non è Dottrina Sociale della Chiesa; questa è Dottrina Socialista.
Per questo Papa l’immigrazione non è un dramma storico ma un obiettivo da raggiungere, un disegno da attuare nel sogno ecumenico di un’integrazione globale
L’IMMIGRAZIONE COME OBIETTIVO
Per il Papa polacco e per il Papa tedesco, figli di un civitas europaea universale ma fondata sulla identità delle nazioni, il processo migratorio globale era visto come una tragedia di dimensioni storiche a cui bisognava far fronte con solidarietà, amore, accoglienza ma, nello stesso tempo, con il realismo necessario a comprendere la portata di destabilizzazione di un intero ordine sociale e culturale.
Per questo i Pontefici precedenti hanno considerato il “Diritto a non emigrare” superiore al Diritto di emigrare; e per questo la loro azione puntava a eliminare le radici malate che causano questa immigrazione: le guerre per Giovanni Paolo II e l’assenza della libertà economica necessaria allo sviluppo, per Benedetto XVI.
Al contrario, per questo Papa argentino e terzomondista, l’immigrazione globale sembra essere un obiettivo, un disegno da attuare, un progetto da realizzare; in fondo, lo sradicamento di milioni di esseri umani dalla propria terra, dalle proprie secolari tradizioni e identità è visto come un vantaggio per realizzare il sogno ecumenico di un’integrazione globale. La stessa identica visione che ha George Soros.
Sorprende che questo Papa non sprechi una sola parola di condanna sulle cause dell’immigrazione; sulle guerre umanitarie dell’Occidente (dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia alla Siria, allo Yemen) che hanno prodotto milioni di profughi.
Non una condanna contro i mercanti di schiavi che alimentano l’immigrazione clandestina in tutto il mondo.
Non un ammonimento sul rischio demografico per l’Europa, che nei prossimi decenni cambierà il volto ed anche la sua identità culturale e religiosa (anzi, esattamente come le élite, il Papa vede l’immigrazione come soluzione alla crisi demografica dell’Europa).
Non un accenno sul fatto che questa immigrazione globale impoverisce ancora di più i paesi già poveri privandoli di risorse umane, competenze e quindi speranze per il futuro generando un meccanismo che condannerà nella povertà ancora più estrema i paesi da cui gli immigrati provengono e impoverirà i paesi che li ricevono, impossibilitati a sostenere l’impatto e le conseguenze sociali di questo esodo biblico.
SE LA CHIESA DIVENTA UNA ONG
Nei secoli, il realismo della Chiesa è stato il prodotto di una tensione interiore che nasceva dalla consapevolezza di essere nel mondo senza appartenere al mondo. Questa tensione (dolorosa, lacerante per ogni singolo cristiano) ha consentito alla Chiesa di affrontare la realtà con una visione meta-storica che ha dato discernimento ad ogni suo giudizio e profondità ad ogni suo intervento.
La Chiesa di Papa Francesco ha scelto un’altra strada, forse inconsapevolmente: quella di essere nel mondo appartenendo al mondo.
Ma se la Chiesa non è più in grado di avere una dimensione meta-storica e si riduce ad essere una grande Ong globale capace solo di subire le convulsioni della storia e la crisi della nostra civiltà, come può continuare a chiedere ai cristiani di essere “sentinelle del mattino”, quando ha deciso di vegliare la luce di un tramonto?
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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