È il 9 Marzo 2011: il vicepresidente americano Joe Biden visita Mosca, tappa del suo tour europeo. La sera, durante il ricevimento al Cremlino, si avvicina a Putin e gli sussurra “signor Presidente, io la sto guardando negli occhi e penso che lei non abbia un’anima”. Putin gli sorride e risponde: “Io e lei ci capiamo”.

La storia l’ha raccontata lo stesso Joe Biden in un lunghissimo profilo biografico che Evan Osnos gli ha dedicato su The New Yorker, la prestigiosa rivista liberal americana.
L’uomo che gestisce alcuni dei dossier più importanti della politica estera di Obama (tra cui quello ucraino) e che qualcuno ha definito “il più influente vicepresidente” della storia americana, non ha mai nascosto il suo disprezzo nei confronti del leader russo.
Joe Biden fu affiancato a Obama nel 2008 proprio per coprirlo sul lato della politica estera, dove il candidato democratico sembrava più fragile e inesperto; è lui che fin dall’inizio ha seguito la crisi in Ucraina; ed è lui, non Obama, che nei giorni drammatici di piazza Maidan nel febbraio 2014, ha parlato al telefono per nove volte con l’ex presidente Yanukovich esortandolo ad una mediazione con i rivoltosi. E quando Yanukovich è fuggito, l’Ucraina è precipitata nel caos e Mosca ha annesso la Crimea a difesa della maggioranza russofona, il giorno di Pasqua Biden è salito sull’Air Force Two (il Boeing 757 attrezzato per i viaggi di vicepresidenti e segretari di Stato) ed è volato a Kiev per “rassicurare il fragile governo ucraino” e scoraggiare Putin da eventuali desideri di espansione; perché, come lui stesso ricorda: “Il presidente Obama mi manda nei luoghi dove lui non vuole andare”.
 Biden si è incontrato con gli esponenti dell’insurrezione filo-occidentale, ha selezionato il futuro presidente ucraino Poroshenko tra i diversi candidati e ha promesso aiuti ed assistenza nel settore energetico. Obiettivo: liberare l’Ucraina dalla dipendenza economica dalla Russia.
Detto fatto, poche settimane dopo suo figlio Hunter Biden, avvocato d’affari di successo, è entrato nel Consiglio d’amministrazione di Burisma, la più importante società di estrazione di gas e petrolio dell’Ucraina, ufficialmente come esperto legale per la corporate governance e le relazioni internazionali.
Il connubio Hunter Biden/Burisma è il riflesso perfetto della politica estera americana in Ucraina. 
Insieme al figlio di Biden è stato nominato Devon Archer ex consigliere di John Kerry nella campagna elettorale del 2004 e socio di Biden nella società di consulenza internazionale Rosemont Seneca; ed è proprio questa società, poche settimane fa, ad aver dato vita a quello che il Wall Street Journal ha definito “il più grande fondo private equity cinese-americano”, realizzato insieme al Bohai Investment di Pechino e all’Harvest Global Investment di Hong Kong. Il fondo si propone di raccogliere oltre 1,5 miliardi di dollari concentrando la sua attività sulle fusioni e acquisizioni internazionali nel comparto di energia e risorse (soprattutto gas naturale, ovviamente).
L’immagine dell’America impegnata nella difesa della democrazia ucraina contro il pericolo russo non esce indenne da questa storia. Persino il Washington Post, di solito molto allineato con gli esponenti dell’amministrazione Obama, si chiede “quanto dev’essere alto lo stipendio del figlio di Biden per mettere così a rischio il soft power statunitense”; tanto più che questo avvalora la propaganda di Putin secondo cui l’America di Obama, si muove in Ucraina con intenti affaristici e non umanitari.
Secondo il Time sono molti i membri legati al partito democratico reclutati da Burisma: anche David Leiter, capo staff del Segretario di Stato John Kerry, è stato assunto come consulente. Persino la società di comunicazione di Burisma è americana: la FTI Consulting, il cui direttore è uno degli strateghi di comunicazione dei candidati democratici.
Tutto questo impegno per salvare il gas ucraino richiede sforzi ulteriori: il 27 giugno scorso quattro senatori democratici hanno chiesto ad Obama di stanziare altri 40 milioni di dollari in aiuti all’Ucraina per aumentare la produzione interna di gas e l’efficienza del suo mercato; ma l’obiettivo è soprattutto un altro: consentire a Burisma, già autorizzata dal governo di Kiev,  l’estrazione degli immensi giacimenti di gas naturale ancora non sfruttati e tra i maggiori al mondo (tra cui quelli zona di Donespt, dove infuria la guerra civile con i filorussi).
Difendere la democrazia in Ucraina è una cosa bella; lo è ancora di più se fa guadagnare soldi attraverso il controllo del mercato del gas. 
Nel frattempo, come se nulla fosse, Joe Biden ha continuato i suoi viaggi a Kiev per appoggiare il governo ucraino; il 19 giugno scorso ha denunciato: “I russi usano l’energia come strumento di politica estera”.
Se Putin non ha l’anima, Joe Biden ce l’ha doppia.

Immagine: Joe e Hunter Biden - Foto Reuters
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