Quindi sembrerebbe che i famosi 80 euro di Renzi siano stati un blufflop, cioè un incrocio tra un gigantesco bluff e un inevitabile flop.
L’ha detto il Presidente di Confcommercio, Sangalli, qualche settimana fa; l’ha dovuto ammettere il ministro Del Rio in una recente intervista: “Pensavo francamente che avessero più effetto”. Amen.
Non sappiamo se qualcuno ha avuto il coraggio di dirlo all’onorevole Picierno, l’eurodeputata renziana che a Ballarò sventolò lo scontrino di un supermercato per dimostrare che con gli 80 euro ci si faceva la spesa per due settimane. Sarà che forse il supermercato della Picierno in questi giorni era chiuso, sarà che ci sono politici che quando parlano dell’Italia pensano al Paese dei Balocchi, fatto sta che il fallimento del provvedimento è un colpo basso alle smargiassate con cui Matteo Renzi ha pensato di affrontare la complessità di questa crisi.
Renzi, mesi fa, motivò il provvedimento come un aiuto “al consumo e una misura di attenzione, di equità”. Ma non è equo un bonus economico riservato soltanto a 10 milioni di italiani appartenenti ai segmenti sociali fino ad oggi meno colpiti dalla recessione (impiegati, dipendenti pubblici, insegnanti) e che esclude le categorie che sono state devastate dalla crisi economica: partite iva, piccoli imprenditori, pensionati medio-bassi, insomma coloro che hanno generato la contrazione dei consumi negli ultimi anni.
Eppure il fallimento dell’operazione “80 euro” è un segnale della distorsione culturale che la sinistra continua ad avere e a perpetuare nella storia. Questa distorsione si chiama “redistribuzione della ricchezza”.
Il principio redistributivo è legato ad una sbagliata visione dell’uguaglianza (che infatti a sinistra chiamano egualitarismo), che non è mai concepita come paritaria condizione di partenza ma come obbligato risultato d’arrivo. Il principio redistributivo è una sorta di canale di scolo, dove defluiscono tutti i liquami del peggiore ideologismo che vive da quelle parti. Per capirci, quando la sinistra ha pudore di sé, questo principio recita più o meno così: “chi ha di più deve dare di più, chi ha di meno deve dare di meno”. Al contrario, quando la sinistra non ha il pudore di sé (cioè spesso nella storia) il principio redistributivo diventa: “togliere a chi ha di più e dare a chi ha di meno”. Da quelle parti la chiamano giustizia sociale, ma in realtà è un’astrazione legata all’idea che lo Stato sia una sorta di controllore delle risorse, anche di quelle private.
Il problema è che il principio della “redistribuzione della ricchezza”, ha una logica quando la ricchezza c’è; ma quando non c’è, che cosa si redistribuisce? La povertà.
Siccome non si può redistribuire ciò che non c’è, la ricchezza per essere redistribuita dev’essere prima creata. E chi crea la ricchezza? Lo Stato? Ovviamente no. Le categorie sociali a cui Renzi ha indirizzato la mancia elettorale degli 80 euro? Con tutto il rispetto, no. Il “creatore di ricchezza” è colui che prova a mettere in piedi una piccola attività commerciale, una bottega artigiana, chi da lavoro a quel dinamico tessuto produttivo delle nostre piccole e medie imprese, il giovane che apre una start-up cercando di scommettere su innovazione, creatività e futuro. Per questo ciò di cui ci sarebbe bisogno sono provvedimenti a favore dei “creatori di ricchezza” (sotto forma di riduzione del carico fiscale per le imprese, smantellamento del mostro statale e burocratico che costa ogni anno alle nostre aziende decine di miliardi, agevolazioni per artigiani, commercianti, partite Iva).
La questione da economica diventa politica e riguarda quale idea di sinistra ha in testa Matteo Renzi: se una sinistra paleo-socialista avvinghiata al suo elettorato spesso sindacalizzato, infarcita di vecchio statalismo e di un’idea di cittadinanza assistita, oppure una sinistra moderna, di stampo laburista, capace di intercettare le nuove dinamiche della produzione e del lavoro.
L’operazione “80 euro” appartiene alla prima.

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