Ce la farà Renzi a salvare l’Italia?
E’ diventata quasi un’ossessione: con chiunque tu parli di politica, italiano o straniero che sia (e includo nella lista anche alcuni autorevoli colleghi) finisce con il porti la domanda del giorno: “Ce la farà Renzi a salvare l’Italia?”. Naturalmente, i miei interlocutori hanno anche le loro opinioni sul personaggio, che vanno da quella di Piero Ostellino (“un ragazzotto che ci sa fare con le parole”) a quella di un mio caro amico, che ha chiesto di non nominarlo, il quale ritiene che l’ex sindaco di Firenze possdiventare il salvatore della patria. A giudicare dai sondaggi, molti italiani tendono a condividere questa opinione, anche se il loro “si” si limita alla persona del presidente del Consiglio e non si estende né al suo governo, né alla sua gestione dell’economia, egli gode tuttora, a dispetto dei sempre più frequenti attacchi della stampa di opinione, di un tasso di approvazione che altri leader occidentali, Hollande, Obama e lo stesso Cameron, neppure si sognano. Personalmente, credo che la popolarità di Renzi presso l’elettorato sia dovuto soprattutto al suo linguaggio – anti-establishment, radicale, spiritoso e soprattutto spietato con coloro che, sia nell’immaginario collettivo sia nella realtà, sono i responsabili dei mali del Paese.
Ma torniamo alla domanda fatidica. Ce la fa o non ce la fa?. La mia risposta, purtroppo, è negativa, per una serie di ragioni in parte anche indipendenti dalla sua volontà che cercherò di elencare non necessariamente in ordine di importanza.
1) Qui non si tratta di ritoccare un sistema in alcune sue istituzioni. Qui si tratta, purtroppo, di rivolare l’Italia come un calzino, dalla Pubblica amministrazione alla <giustizia, dalla gestione del denaro pubblico alla scuola, dal diritto del lavoro alla Costituzione, dalla definizione di un perimetro delle competenze dello Stato al sistema fiscale. E queste riforme andrebbero fatte, come lo stesso Renzi ammette nella sua “annuncite”, TUTTE IN UNA VOLTA, perché se vogliamo evitare il crac non c’ più tempo da perdere.
2) Il maggiore ostacolo a questa necessria accelerazione è, senza dubbio, il bicameralismo perfetto, che duplica e talvolta triplica i tempi di approvazione di ogni provvedimento. Ora, anche se c’è già stato un voto per la trasformazione del Senato, ne mancano ancora tre. Questo significa che l’attuale sistema durerà per tutti i mille giorni che Renzi si è dato pe attuare il suo programma.
3) La mancanza di una maggioranza parlamentare solida, a crteausa della dissidenza di molti parlamentari PD, che sono ancora quelli nominati da Bersani, che solo in parte si sono convertiti al nuovo corso, pretendono di cambiare ogni provvedimento del governo e ne ostacolano e comunque ritardano l’approvazione. Lo vediamo con la Legge si atabilità e con il Jobs act, e lo vedremo con tutti i DDL che seguiranno. Probabilmente, per rimediare a questo stato di cose, ci vorrebbe una spaccatura del PD e un governo di grande coalizione con Forza Italia, ma a parte le divergenze esistenti su molti punti e le questioni personali, questa eventualità mi sembra quanto mai remota.
4) Gli ostacoli posti alle riforme dall’alta burocrazia, quella che non cambia mai, a ogni provvedimento che possa incrinare il suo potere. Noin dimentichiamo che sono questi “mandarini” che scrivono le leggi e i famosi decreti attuativi, senza i quali la macchina non si mette in moto. Basti pensare che sono ancora lettera morta molte leggi dei governi Monti e Letta – buone o cattive che siano.
5) Una certa inesperienza, per non dire di peggio, di vari componenti del governo, che pure, come per esempio la Madia, devono affrontare imprese improbe. A Roma dicono che Renzi, in realtà non si fidi di nessuno (o solo di pochissimi) e cerchi di accentrare tutto a Palazzo Chigi. Ma cambiare l’Italia non è, per dirla all’inglese, un “one man job”
6) Il sostanziale fallimento della spemding review, almen o nella versione originale che aveva portato alla nomina di Cottarelli, il commissario che dopo un anno se ne è tornato al Fondo monetario. Ho avuto modo di sentire una sua relazione (e le risposte che dava alle domande) e ho avuto l’impressione di un uomo amareggiato, costretto a lottare con interessi più forti di lui. Infatti, le sue idee sono state in buona parte accantonate, e si è tornati alla famigerata pratica dei tagli lineari.
7) Una esagerata tendenza ad annunci inutilmente perentori, non seguiti dai fatti, che può essere utile in una prima fase ma diventa esiziale con il passare del tempo, soprattutto se l’economia continua a peggiorare. Non basta che Renszi dica che non arretrerà di un centimetro e che preferisce perdere le elezioni che perdere tempo per diventare la signora Thatcher.
8) L’irresolubile problema di abbassare il debito pubblico – il nostro peccato mortale di fonte ai mercati – senza un radicale programma di privatizzazioni “intelligenti”, come, ad esempio, la vendita dei beni demaniali corredata di tutti gli indispensabili permessi di mutamento di destinazione.
9) Le resistenze, corredate da scioperi, manifestazioni e quant’altro, a una tutto sommato abbastanza blanda e forse insufficeinte riforma del mercato del lavoro. Purtroppo, abbiamo un sindacato che continua a vivere nel passato, difendendoposi zioni che la nostra economia non si piò più permettere.
10) vincoli europei, che possono essere temporaneamente allentati e aggirati ma non aboliti, per quanto Renzi cerchi di fare la voce grossa. Bisogna dire, peraltro, che questi vincoli sono compensati dagli straordinari assist che l’Italia ha riucevuto, e speriamo continui a ricevere dalla BCE.
11) la ostinata resistenza opposta alle riforme da una delle più potenti caste del Paese, quella dei magistrati, e la sua tendenza a operare anche in dispregio degli interessi nazionali: vedasi, per fare un solo esempio, la chiusura dell’ILVA o il procedimentoi per corruzione internazionale contro una delle nostre poche multinazionali efficienti – Finmeccanica – risoltosi in nulla ma dopo avere recato un danno gravissimo alla nostra reputazione.
12) La maledizione dei diritti acquisiti, che impedisce di porre rimedio a molte delle storture e delle ingiuustizie lasciateci in eredità dalla Prima e dalla Seconda repubbliica: esempio forse più clamoroso, gli scandalosi stipendi dei dipendenti di Camera e Senato o certe pensioni d’oro che gridano vendetta.
Vi basta? Sono diventato, come dice Renzi, un gufo? Eppure, di soliti concludo il mio ragionamento dicendo che sono pessimista, ma non ancora disperato. Nel nostro Paese ci sono ancora tante cose che funzionano, e ci sarebbero anche tanti provvedimenti – LA SEMPLIFICAZIONE DELLE LEGGI – che non costerebbero nulla e ci aiuterebbero a uscire dalla palude. Abbiamo ancora la forza (e la volontà) per un bel colpo di reni, e per incanalare la protesta non nelle sterili urla di Grillo, ma in un lavoro collettivo di ristrutturazione, A tutti voi la risposta.