Sappiamo ormai tutti che lo Stato, per abbattere il debito, sta cercando tutti i modi possibili per fare cassa. Vorrebbe vendere – senza molto successo a causa anche delle difficoltà burocratiche –  il suo in gran parte inutilizzato e sempre male amministrato patrimonio immobiliare, cede le partecipazioni che le rimangono nelle poche grandi aziende italiane, vorrebbe disfarsi di un po’ di municipalizzate, ma la strada rimane in salita. Lanciamo allora un’idea che sicuramente farà molto discutere: mettiamo all’asta (non tutto insieme, perché deprimerebbe il mercato)  quella immensa parte del nostro patrimonio artistico che giace da sempre inutilizzato, e quindi non goduto dal pubblico, nei magazzini dei grandi musei che non hanno, e non avranno mai, lo spazio per esporlo. Io non dispongo – e forse non ne dispone neppure il Ministero dei Beni culturali – di un inventario completo di ciò che posseggono Brera, gli Uffizi, la Galleria Borghese e le centinaia di altri musei che sono l’orgoglio delle nostre città, ma non possono ingrandirsi per mettere in mostra tutto ciò che hanno accumulato. So solo che in Francia, dove questo censimento è stato fatto, si è scoperto che SOLO IL 10% DEL PATRIMONIO ARTISTICO NAZIONALE è esposto al pubblico e il solo Louvre ha nelle sue cantine ben 500.000 pezzi che il pubblico non ha mai visto; e poiché, dal punto di vista della produzione artistica, nessun Paese europeo può rivaleggiare con noi, la percentuale italiana non dovrebbe essere molto diversa. Perché non cedere questa ricchezza, inestimabile quanto invisibile, e sostanzialmente inutile, per aiutare a riportare le nostre finanze sulla retta via?  Incidentalmente, in chiave di spending review, si risparmierebbero anche le non certo indifferenti spese di custodia e di assicurazione.

Sono certo che in molti cittadini l’idea di disfarci di migliaia e migliaia di quadri, statue, reperti archeologici eccetera susciterà un moto di indignazione.  L’argomento è che sono parte della nostra identità e della nostra storia, molto più delle caserme dismesse o delle azioni dell’ENEL e che cederle a collezionisti arabi, cinesi o russi sarebbe quasi un scarilegio. Ma, specie in questo momento, sono una risorsa che ha un florido mercato, e porterebbero davvero una boccata d’ossigeno ai nostri conti senza neppure che gli italiani se ne accorgano. Sul piano internazionale, non si tratterebbe di una innovazione. In Germania, in Gran Bretagna e in Olanda ci sono già stati diversi casi di musei che si sono disfatti di una parte delle loro giacenze, e in alcuni casi (questi sì, particolarmente controversi) addirittura di opere esposte al pubblico. Il museo di Northampoton, per esempio, ha venduto a un anonimo collezionista una statua egiziana per 27 milioni di dollari. Il museo della Westfalia di Muenster offre una starua di Moore e un trittico di Giovanni di Palo pensando di ricavarne una dozzina.  Il governo portoghese, dal canto suo, sta apprestandosi a cedere una collezione di 85 quadri di Joan Mirò per rifarsi dell’esborso sostenuto per salvare la banca che ne è proprietaria.

Sono curioso di vedere, anzitutto, la reazione dei lettori di questo blog. Mi piacerebbe anche avere una reazione dagli addetti ai lavoro, specie dei direttori dei musei che potrebbero reclamare una parte delle somme ricavate per migliorare la loro efficienza Se il responso sarà negativo, lasceremo cadere l’idea. Se invece, come mi auguro, sarà positivo, cercheremo di proporla in una sede più ufficiale.

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