Urge distinguere i rifugiati dai migranti
Angela Merkel ha ricevuto molti elogi (ma anche diverse critiche) per avere aperto le porte ai rifugiati siriani rimasti bloccati in Ungheria e soprattutto per essersi impegnata ad accogliere in Germania tutti coloro che, in base alla Convenzione di Ginevra del 1951, ne hanno diritto, senza limiti al loro numero. Si è addirittura parlato di una nuova Germania “compassionevole”, che – grazie anche alla sua invidiabile situazione economica – sta dando il buon esempio al resto dell’Europa, e soprattutto a quei Paesi dell’Est che rifiutano la distribuzione obbligatoria dei profughi sul territorio della UE. In realtà, la Merkel ha fatto due cose: primo, ha rispettato alla lettera, primo Paese in Europa, le regole internazionali, secondo ha cercato, intelligentemente, di migliorare nell’opinione pubblica mondiale una immagine della Germania compromessa dal suo ruolo nella vicenda greca. Dunque, da un lato una mossa umanitaria, dall’altra una mossa diplomatica, nel contesto entrambe abbastanza abili.
Tuttavia, la politica delle “porte aperte” comporta una serie di pericoli che sarebbe pericoloso sottovalutare. Anzitutto, incoraggerà un numero sempre maggiore di siriani, afghani, eritrei – insomma di tutti quelli che possono ragionevolmente aspirare allo status di rifugiati, a intraprendere al più presto la strada della Germania, continuando ad affrontare i pericoli di un viaggio che ha già fatto, e continua a fare, troppe vittime e consentito a troppi trafficanti di carne umana di arricchirsi. Se Berlino ha davvero l’intenzione di accogliere TUTTI i siriani che fuggono dalla guerra, provveda anche al loro trasferimento, magari aprendo uffici nei campi profughi dei Paesi vicini che traboccano di siriani (Turchia, Giordania, libano) e poi offrendo loro un passaggio navale o aereo. E’ un compito che, a mio avviso, dovrebbe assumersi l’ONU, che ha anche un Alto commissariato per i rifugiati di cui un tempo era portavoce la Boldrini, ma come al solito nelle emergenze, il Palazzo di Vetro latita.
Un secondo pericolo è che la apertura della Merkel ai siriani – in quanto vittime di una guerra sanguinosa che potrebbe prolungarsi per anni – sia interpretata “estensivamente” da tutti gli altri che bussano alle porte dell’Europa; in altre parole che quelli che non hanno titoli per l’asilo politico, ma sono migranti economici, pensino che ora la strada della UE sia spianata anche per loro, magari facendo a loro volta fasulle richieste di protezione, e che perciò il flusso di gente dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia (non dimentichiamo che tra chi bussa alla nostra porta ci sono anche bangladeshi, afghani, pakistani) si ingrossi ulteriormente. Questo discorso vale soprattutto per l’Italia, dove tra i disperati provenienti dalla Libia salvati ogni giorno nel canale di Sicilia i siriani sono una piccola minoranza, mentre prevalgono i cittadini di Paesi subsahariani afflitti sì da miseria, desertificazione e conflitti tribali, che vogliono venire in Europa solo alla ricerca di una vita migliore (e per questo cercano di raggiungere non solo più benestanti, ma, e forse soprattutto, con i servizi sociali più generosi). Costoro vanno rimpatriati, nonostante le molte difficoltà, pratiche, diplpomatiche, finanziarie, che questo comporta.
Insomma, il bel gesto della Merkel, e il comportamento generoso della piazza tedesca all’arrivo dei siriani dall’Ungheria, non risolve affatto il problema dell’assalto all’Europa, e a mio avviso rende sempre più urgente una globalizzazione del problema. La grande migrazione che si è messa in moto non può essere solo un affare della UE, che sarà sì una delle parti più ricche del m ondo, ma è anche sovrappopolata e oggi – con le debite eccezioni – non in condizione di accogliere centinaia di migliaia di persone. Fuori dal nostro continente ci sono altri Paesi, dal Canada all’Argentina, che hanno gli spazi, e forse anche l’interesse, per accogliere molti più migranti di quanti possiamo accoglierne noi. Ma, di nuovo, è l’ONU che dovrebbe gestire l’operazione e oggi non è in grado di farlo. Grandi spostamenti di popolazione sono avvenuti anche in passato, basti pensare alla grande fuga dall’Europa verso le Americhe tra fine Ottocento e inizio Novecento. Ma rispondevano a una logica, all’abbandono di Paesi sovrappopolati per popolarne di nuovi che ne avevano bisogno. Oggi è diverso, e se non vogliamo che l’ondata ci sommerga, dobbiamo tenerne conto.