Giuseppe Ayala, un magistrato che ha combattuto la mafia in prima linea nella sua Sicilia al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e poi una lunga esperienza in Parlamento. Gli abbiamo chiesto in quale modo la mafia sta approfittando della crisi provocata dalla pandemia.

 

A distanza di dieci mesi dall’inizio dell’emergenza sanitaria legata al Covid, quali sono state le ripercussioni sul sistema della Giustizia? 

La principale ripercussione della pandemia sulla Giustizia italiana riguarda l’ulteriore aggravamento della principale patologia che, da tempo immemore, l’affligge: la sua insopportabile lentezza. Ho assistito a non so quanti annunci dei governi succedutisi nel tempo alla guida del Paese sulla necessità di ” sveltire” la risposta giudiziaria. Agli annunci, però, non è mai seguita alcuna idonea riforma.  Se pensiamo che un illustre giurista dello scorso secolo asseriva che: “Non c’è peggiore giustizia della tardiva giustizia”, non ci resta che constatare quanto avesse ragione. L’effetto Covid, insomma, ha ulteriormente aggravato una situazione già di per se patologica.

 

Nei prossimi mesi o anni, l’emergenza sanitaria si tradurrà sempre di più in emergenza economica. Come vede il futuro?

Il futuro che ci attende non so che colore avrà. Escludo che lo si possa immaginare roseo. Molto dipende dalle scelte politiche  che saranno messe in atto per renderlo meno pesante. Purtroppo da quello che vedo non mi sentirei di coltivare alcun ottimismo. Con la speranza di essere smentito dai fatti, naturalmente.

 

Cosa pensa riguardo a tutti i processi caduti in prescrizione  causa Covid?

L’aumento del numero delle prescrizioni maturate grazie, si fa per dire, al Covid rafforza una convinzione che mi accompagna da tempo:  occorre metter mano ad alcune riforme che rendano questa causa di estinzione del reato quanto più rara possibile. E torniamo, così, alle riflessione sulla lentezza di cui ho parlato pocanzi.

 

Ritiene che la pandemia e la crisi provocata dal lockdown possano favorire le organizzazioni mafiose?

Il rischio c’è e, per fortuna, vedo che se ne sono resi conto alcuni esponenti delle nostre Istituzioni. Occorrerà essere particolarmente vigili nel mondo dell’economia in generale. In quella privata per evitare che capitali mafiosi  vengano accettati da imprenditori in difficoltà per salvare la loro azienda. In quella pubblica occorrerà sgranare ancora di più gli occhi sul settore degli appalti  per garantire la trasparenza delle aggiudicazioni. Questioni vecchie, non c’è dubbio, ma potenzialmente aggravate proprio dall’effetto Covid.

 

Perché la mafia al Sud spesso arriva prima dello Stato?

Tradizionalmente era così. Oggi vedo una situazione diversa. La mafia, parlo di Cosa Nostra, ha subito colpi molto duri, soprattutto per opera della magistratura,  per cui fa fatica ad arrivare prima dello Stato. Ciò non vuol dire affatto che è stata sconfitta. Ma che non goda di buona salute è sicuro. La guardia, insomma, deve continuare ad essere mantenuta alta, molto alta.

 

La mafia è un problema di ordine pubblico o culturale?

La mafia, anzi direi meglio le mafie, sono innanzitutto un problema criminale che, in quanto tale, va combattuto in termini di repressione.  Sul decisivo piano della prevenzione, poi, lo Stato dovrebbe farsi carico di diffondere, specie nelle giovani generazioni, un’autentica cultura della legalità. Tanto più il rispetto delle regole è osservato, tanto più la mafia fatica ad inquinare i settori della società che la interessano. Quelli economici innanzitutto.

 

Esiste una connessione tra il potere mafioso e i problemi della sanità nel Sud evidenziati dalla pandemia?

Certo che esiste. In quel settore girano un sacco di soldi  e la mafia a quelli guarda con grande attenzione. Spesso, nei miei incontri con gli studenti, spiego che la mafia può aver piazzato i suoi tentacoli ovunque, ma so per certo dove questo non è avvenuto : dove non ci sono soldi.

 

L’Unione europea è preparata a combattere il dilagare delle mafie?

Non credo a sufficienza. Forse non tutti i Paesi della UE si rendono conto di essere potenzialmente a rischio di infiltrazioni mafiose. Non c’è da meravigliarsi più di tanto. In Italia, fino a non molti anni fa, al Nord si credeva che la mafia fosse un problema del Sud del Paese. I fatti hanno dimostrato che oggi, e da tempo, molte regioni del Nord Italia sono afflitte da pesantissime presenze mafiose. E torniamo al discorso dei soldi. Tanto più ce ne sono in giro, tanto più alla mafia  viene l’acquolina in bocca. Denunciavo questo rischio già negli anni ottanta e non mi pare di aver ricevuto un apprezzabile consenso dalle parti del Po. E non solo. Se tanto mi da tanto, anche l’Europa finirà con il muoversi in maniera più efficace. Ma quando?

 

Qual è il suo stato d’animo da inizio pandemia ad oggi?

Il mio stato d’animo mi induce ad essere molto guardingo. Non mi sono chiuso in casa terrorizzato dal rischio di essere contagiato. Mi sono limitato a ridimensionare, nel numero e nelle occasioni, i miei rapporti sociali. L’arrivo del vaccino mi conforta sul futuro e, allora, penso alla napoletana: ” A da passa’ a nuttata!”.

 

Quali sono i suoi interessi da quando ha smesso la toga?

Sono in pensione da otto anni. Questo mi consente di occuparmi dei miei interessi culturali e, in particolare, della lettura che ho sempre amato. E poi dedico più tempo alla Fondazione Falcone, della quale sono il vice presidente. Credo molto nella principale attività che svolgiamo attraverso progetti sulla legalità con molte scuole e università in tutta Italia.

 

http://www.fondazionefalcone.org

 

 

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