Il suo nome completo è Amedeo Umberto Giorgio Paolo Costantino Elena Fiorenzo Maria Zvonimir. Più conosciuto come il Duca Amedeo di Savoia-Aosta. Ci racconta di come sta vivendo questo difficile periodo, delle speranze nel vaccino e delle sue preoccupazioni per il futuro dell’Italia. Lo fa con una visione di fondo ottimista, perché la Storia insegna che a qualsiasi genere di crisi è sempre seguita la rinascita. Ma la politica, che sia in Italia o negli Stati Uniti, deve dimostrarsi all’altezza della situazione e collaborare per il bene dei cittadini. 

Duca, dove si trova e come passa queste lunghe giornate di restrizioni? 

Io sono a Pantelleria da inizio lockdown e sto molto bene perché abbiamo la fortuna di avere un giardino e quindi siamo fortunati rispetto a chi vive in una grande città. Devo dire che qui ho ricevuto delle grandi lezioni di senso civico dai cittadini, in quanto anche se le prime indicazioni da parte del governo non sono state molto chiare e, quelle che c’erano, non sono state facili da applicare, la gente di qui si è comportata in modo esemplare. La coda fuori dalla banca, ordinata, fuori dalla posta, dai negozi, tutti rispettosi, silenziosi, composti. Insomma, una cittadina ideale dove ho passato dei sereni mesi nonostante la situazione che ci circonda.

Il vaccino ci salverà?

Beh, è stato lodevole aver trovato un vaccino per questo virus. A mio parere dovrebbero essere le personalità più in vista a vaccinarsi per primi, per dare il buon esempio, come farebbe un Re. Questo comportamento di esempio avrebbe senz’altro influenzato anche i no-vax,  e quindi ci sarebbero state meno lamentele riguardo a chi non vuole vaccinarsi. Ma questo non è avvenuto. Questo non vuole essere un rimprovero alle alte cariche, ma sarebbe stato utile non solo per dare un esempio, ma anche perché non è un vaccino sicuro al 100%. E lo dimostra il fatto che la Pfizer ha voluto tutelarsi ed essere messa al sicuro da ogni possibile responsabilità di qualsiasi causa legale futura. Questo, oltre che strano e curioso, non è un comportamento piacevole. Il vaccino in ogni caso è questo e io lo farò senz’altro.

Cambiamo argomento. Cosa ne pensa dei recenti fatti di Washington a Capitol Hill? 

La colpa di ciò che è avvenuto in realtà è senz’altro da attribuire al periodo che stiamo vivendo, perché queste sono cose che potrebbero succedere in ogni parte del mondo in realtà.  C’è una certa stanchezza a livello amministrativo, di ciò che è sociale e su come gestire la democrazia.  Senza prendere le parti di Trump o di Biden, è grave che questo sia accaduto in quanto la maggior parte di questa gente non era né fascista, né nulla.

Quindi non c’erano solo estremisti in piazza?

Cinque minuti fa guardavo la CNN e c’era un professore che diceva che lui è andato a manifestare con la sua famiglia a Capitol Hill, come se fosse stato un normale evento o una manifestazione. Chiaro che, come in ogni situazione, c’è chi esagera, come i Black bloc in Europa, per esempio. La cosa, invece, che ritengo più grave, e che nessuno ha analizzato in questo senso, è come è stato possibile arrivare fino al centro del Campidoglio. Prendiamo per esempio Roma. Vicino al Quirinale vi sono due strade abbastanza importanti e ogni 50 metri c’è tipo una piccola, chiamiamola cabina telefonica, di vetro, blindata, e all’interno vi è un carabiniere. In tutto saranno sette o otto ai lati del Quirinale. Se qualcuno varca in un modo sospetto queste linee controllate dai carabinieri, vi è un allarme immediato. Questo significa che a Capitol Hill vi è stato un carente servizio d’ordine, e questo è molto grave. Questo per dire che gli americani hanno questo desiderio di democrazia che non sempre riescono a gestire al meglio.

Qui in Italia, invece, vi sono acque agitate sul fronte politico. Cosa ne pensa di Renzi? 

Qualche anno fa Renzi era partito molto bene, poi è inciampato in due o tre cose e ha perso non solo di smalto, ma anche di credibilità, mi dispiace dirlo. La Boschi ugualmente. Entrambi hanno fatto in passato delle dichiarazioni importanti, preso degli impegni seri, lo hanno detto di fronte ai microfoni delle più importanti tv e dei più importanti giornali e quotidiani. Impegni che poi, pochissimo tempo dopo, sono stati smentiti dai fatti. Ma d’altra parte, come lei sa, in Italia si perdona tutto. O quasi.

Come è stata gestita, secondo lei, l’emergenza Covid in Lombardia, una delle regioni più colpite?

È stato fatto il possibile per affrontare un qualcosa di totalmente sconosciuto. Questo virus è  un film dell’orrore della peggior specie e nessuno poteva prevederlo. Se fossi stato io il presidente della regione Lombardia, non so da dove sarei partito per fare le cose a modo. Probabilmente sarei andato su internet e avrei cercato i nomi dei più grandi luminari della medicina e mi sarei avvalso e circondato della loro esperienza, anziché dei medici che hanno imperversato in tv negli ultimi mesi.

Con l’arrivo di Letizia Moratti migliorerà la situazione?

Senz’altro. La Moratti ha molta esperienza, è tecnicamente preparata. Mi ricordo quando io fui  interpellato per diventare il sindaco di Torino, io risposi che non avevo gli strumenti e la preparazione di Letizia Moratti.

Milano le piace?

Molto. Lasciamo ora da parte il Covid, ma Milano ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni ed è ulteriormente cresciuta con l’Expò. Una città in continuo fermento dove ogni settore si evolve molto rapidamente e in modo intelligente.

Il suo primo ricordo di Milano? 

Sono stato per la prima volta a Milano nel ’48, avevo cinque anni. Tornavamo dall’esilio,  arrivavamo dalla Svizzera e passammo il confine  in treno a Domodossola. Lì scendemmo tutti dal treno perché mia madre voleva un caffè e degli spaghetti: venivamo dai campi di concentramento , per cui non vedeva  né spaghetti né altro da tempo.. Poi prendemmo un altro treno e venimmo a Milano. Ecco, questo è il mio primo ricordo.

 Negli anni seguenti ha alimentato il rapporto con il capoluogo lombardo? 

Ho sempre frequentato molto Milano: per motivi di lavoro o per le amicizie che avevamo.  Mio nonno Emanuele Filiberto, Comandante della Terza Armata, andava a Milano molto spesso.  Si fermava sempre all’Hotel Gallia e quindi, non a caso, la piazza fu intitolata a lui: piazza Duca d’Aosta, che poi, per il periodo della Repubblica di Salò, si chiamò piazza Andrea Doria. Negli anni sono tornato spesso al Gallia: mi ricordo ancora la piazza quando non c’era il grattacielo Pirelli. In una delle visite milanesi della mia infanzia, mia madre mi portò a vedere il Cenacolo, che per un bambino è molto impressionante: mi dovettero spiegare cosa era, perché non capivo bene di cosa si trattava. Ricordo poi che alla fine degli anni ’50, quando fu terminata la costruzione del grattacielo Pirelli, andai a trovare il senatore Pirelli che aveva l’ufficio all’ultimo piano del grattacielo e, nei miei ricordi di bambino, mi colpì soprattutto la sua tosse terribile. Lui era un uomo importante, eppure molto semplice ed affabile.

E dall’ultimo piano del grattacielo quale visione aveva di Milano?

Milano era ed è una città che funziona: una città europea, molto evoluta. Venendo da fuori si apprezza ancora di più. Per chi ci abita  forse ha  dei difetti: i ritardi dei trasporti, lo smog… ma io, non essendo milanese, non ho molte  critiche da fare a questa città.

Milano è spaccata in classi sociali secondo lei? 

La Milano che conosco è caratterizzata da una solidissima borghesia di persone che vivono  con un basso profilo: è gente che lavora, che produce e che non  ama sbandierare  ciò che fa. Sembra che siano persone qualsiasi: poi scopri invece che sono grandi dirigenti o hanno ruoli davvero importanti. È gente solida, che ama vivere senza ostentazioni.

Lei, invece, a parte ora che è a Pantelleria, abita in un piccolo centro vicino ad Arezzo. Non ama la vita cittadina?

Vede, noi Savoia-Aosta, abbiamo vissuto molto tempo in Africa: mio zio Amedeo è stato viceré di Etiopia, il Duca degli Abruzzi, terminata la carriera in Marina, si trasferì in Somalia dove creò una delle più grandi aziende agricole: 25 mila ettari di coltivazioni intensive, villaggi, piccole fabbriche per la lavorazione di canna da zucchero ecc. Ecco perché ci sentiamo un po’ degli italiani d’Africa. Io stesso sono nato in campagna ed ho vissuto sempre tra i contadini godendo di una certa saggezza di questa terra, che di fondo è il tessuto base della nostra Penisola: la campagna conduce ad un certo stile di vita che socialmente è molto concreto.  La vita in campagna magari non è evoluta come nelle grandi città, ma molto solida dal punto di vista della famiglia, dei rapporti umani e del contatto con la natura, che invece manca alla città. A Milano però c’è molto verde e si vive molto bene a mio parere: bambini e animali hanno modo di giocare tranquillamente nei suoi parchi e giardini. Inoltre i cortili ed i giardini nascosti dentro i palazzi sono veramente bellissimi.

Anche lei è immerso nel verde ad Arezzo…

Io vivo in mezzo alla vegetazione e abbiamo un giardino intorno a casa con tanti  animali: cani, gatti, pecore, capre  ed anche uno struzzo. Al mattino mi alzo molto presto, e di solito rispondo alle molte lettere che ricevo. Il pomeriggio invece, quando sono libero, lo dedico alle passeggiate nei dintorni… ecco un altro vantaggio della campagna.

 Che rapporto ha con i suoi figli? 

Ho sempre avuto rapporti buoni con i miei figli, siamo una famiglia che funziona, grazie al cielo. Aimone vive in Russia, dove lavora già da una ventina di anni, poi Bianca vive a Venezia e Mafalda a Firenze. Di nipoti ne ho undici, che vivono nelle rispettive città dei genitori. Devo dire che è una bella grande famiglia anche se per le feste natalizie purtroppo non abbiamo potuto stare insieme. Anche se ci siamo sentiti e collegati spesso via internet. Non ci siamo fatti deprimere da queste restrizioni e abbiamo passato comunque un caloroso Natale.

Cosa si augura per il futuro?

Vede, parlo per esperienza: torniamo indietro di molti anni, quando io ero un bambino: dopo una  crisi di grandi proporzioni, chiamiamola guerra, chiamiamola fame, quella della carestia, hanno sempre seguito delle rinascite. Queste crisi hanno sempre creato inconsciamente nella popolazione un quid in più per fare meglio e per ricostruire un qualcosa in più, per il futuro, che non possegga più l’aspetto negativo del passato. Solo nell’industria è stato creato l’Istituto di Ricostruzione Industriale. E così avvenne nella Chiesa, nella società, nello sport, nell’industria, in tutto. Negli anni ’50 ci fu davvero un momento di rinascita esemplare. E quello che soprattutto ricordo è che c’era meno polemica politica. Tutto questo antifascismo che c’è adesso è insopportabile. Intendiamoci, io sono stato nei campi di concentramento e quindi non sono a favore del fascismo e nazismo. Il fascismo dopo Mussolini è morto, quindi bisognerebbe spiegare alla gente che i fascisti non esistono più.

grimaldiveronica8@gmail.com

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