Ottavio Fabbri: il mio incontro con Papa Francesco
Produttore cinematografico, pittore, scultore, regista, mecenate ma soprattutto artista. Poliedrico come pochi con un’inesauribile energia. Un’infanzia, un’adolescenza e una maturità scandita da incontri onirici con alcune delle figure più affascinanti del nostro tempo: artisti, cineasti, attori, scrittori, cantanti, politici, intellettuali ed molto altro ancora. Un’esistenza quindi trascorsa nel magico mondo del jet set nazionale e internazionale cullato dalla dolce vita del secolo scorso. Di recente anche l’incontro con Papa Francesco.
Ci racconti il suo incontro con il Papa…
Il mio incontro con Papa Francesco, il 24 novembre scorso, è stato davvero memorabile. Tempo fa dipinsi un quadro con un cielo stellato appositamente per lui e lo inviai al Vaticano a suo nome. Poco tempo dopo il Papa mi fece convocare invitandomi per un incontro.
Mi racconti..
Quando mi ricevette mi venne incontro chiamandomi “Abramo”. Io gli risposi che mi chiamavo Ottavio ma lui mi spiegò che mi chiamò così in quanto Dio disse ad Abramo: “Conta tutte le stelle che ci sono in cielo perché saranno la discendenza dell’umanità”. Essendo il mio un quadro fosforescente, lui mi disse che lo teneva in camera sua, di fronte al letto, in modo che se si svegliava di notte, al buio, c’era la luce delle stelle del mio quadro a fargli compagnia. Il quadro si intitola “Rivedere le stelle”, in quanto in questo periodo di Covid e di guerra “rivedere le stelle” è il più grande augurio che si possa fare. Inoltre è stato un messaggio profetico di pace: quando l’ho dipinto mesi fa era inimmaginabile che ci sarebbe stata una guerra. Infine il Papa mi ha donato il rosario dicendomi che proteggerà, oltre me, tutte le persone a cui voglio bene. Ora sto preparando la “Carta dei diritti del cielo” che proporrò all’UNESCO. I diritti del cielo sono quelli di essere visti. Il cielo deve essere visto per le future generazioni e quindi è contro l’inquinamento atmosferico e l’inquinamento luminoso.
Lei sta raccogliendo in un volume i suoi incontri con i personaggi più interessanti al mondo. Può raccontarcene qualcuno?
Alberto Moravia, autunno 1975. Sono le 4 del pomeriggio quando mi chiama Bermardo Bertolucci e mi chiede se può venire a cena da me con Moravia. “Sai”, mi dice, “gli ho detto che da te si mangia molto bene. Solo che c’è un piccolo particolare: Moravia cena alle ore 19”. Va bene, gli risposi, vi aspetto con piacere per quell’ora. Attacco il telefono e mi chiama Tonino Guerra. Mi dice che a Roma c’è il grande regista Andrej Tarkovskij. “L’ho già invitato a cena da te, c’è solo un piccolo problema: Tarkovskij cena alle 22. È un problema?”. No problem, risposi.
Due cene in una sera?
Non sapevo che fare, considerando che non sapevo nemmeno se Moravia e Tarkovskij andassero d’accordo. Mia moglie mi suggerì di fare due turni. Il primo con Moravia-Bertolucci, il secondo con Tarkovskij-Guerra. Evidentemente si sparse la voce che questi personaggi erano a casa mia e, infatti ,dalle 19 in poi vidi arrivare, oltre che Moravia, Luchino Visconti, Goffredo Parise, Mario Schifano, Franco Angeli con Marina Ripa di Meana e molti altri. Alle 19.20 Moravia se ne va incazzato e a Bertolucci gli tocca anche accompagnarlo. Le ore passano liete con gli amici della Roma di quel tempo. Arrivano le 22 e arriva Tarkovskij. Spiego a Guerra la situazione complicata. Lui da grande sceneggiatore mi dice di fare finta che un corto circuito abbia fatto saltare le luci, così rimaniamo tutti al buio e siamo costretti ad andare al ristorante. Geniale. Detto fatto. Tolgo la corrente e così restiamo tutti al buio con lo stupore generale. Ragazzi, urlai, c’è una deliziosa trattoria sotto casa, andiamo! Andammo felici a cena tutti insieme, senza Moravia, ma con Tarkovskij in perfetto orario per la cena delle 22.
Mi racconta l’incontro con Brigitte Bardot?
Brigitte e Gigi Rizzi. Saint-Tropez, estate 1968. Ci si sedeva al bar “Le Gorille” più per stanchezza che per bere qualcosa, a qualsiasi ora del fuso orario di Saint-Tropez e del genere astronautico, della mancanza di gravità e coordinate spazio temporali tali da non riconoscere qualcuno visto qualche ora fa sulla spiaggia o sulla pista del Byblos. Si siede, arrivandomi dalle spalle, Gigi Rizzi: lui lo riconoscevo ovunque e comunque. Piedi nudi e foulard al collo. E poi bello, se lo diceva spesso da solo ridendo e dandosi un colpetto sulla spalla. “Ottavio”, mi disse, “devo raccontarti una bomba”. Dimmi Gigi, sarà una cazzata. “Stanotte mi ha baciato fino a soffocarmi sussurrandomi “Tu es beau” e soffiandomi nell’orecchio….. Ma chi Gigi??, chiesi. “Brigitte Bardot. Ha il veleno sulle labbra, stasera la rivedo. La amo. Vieni anche tu, ci vediamo al Papagayo, lei arriverà verso le 2 di notte”, concluse.
Certo, perché prima di quell’ora è presto per andare in discoteca..
Infatti. Io avevo 22 anni, Gigi 24 e Brigitte 34. Quando ci troviamo Brigitte è già arrivata e Gigi ci tiene molto a mostrarci le apnee di baci con la divina seguito da una platea di spettatori incantati dalla scena. Brigitte era un mito e Gigi Rizzi, per quelli della nostra generazione, lo divenne. Tra un loro bacio e l’altro da rianimazione riesco a stringere la mano alla diva che mi sembra già pronta ad andarsene con il suo amato. Il resto è noto dalle cronache rosa di tutto il mondo. Dopo un mese di passione Gigi è stato messo alla porta della Mandrague, la famosa villa della ormai leggendaria attrice.
Perché?
Questo accadde perché quando lei si addormentava felice dopo una notte di passione, lui scappava per andare a giocare a carte con gli amici che aspettavano con ansia i dettagli della notte d’amore passata con Brigitte. La divina non approvava questo, in quanto voleva conoscere in anticipo e avere il controllo di ogni movimento di ciò che accadeva intorno a lei. “La valigia l’ho salvata”, mi disse Gigi, “ma mi ha buttato dal pontile un sacco in mare con tutte le mie cose”. Sono passati 50 anni e Gigi è morto da poco proprio a Saint-Tropez. A poche centinaia di metri da quella villa, da quella luna e da quei capelli profumati di gardenia che Brigitte spargeva sul cuscino aspettando il bell’italiano, Gigi.
Altri memorabili incontri?
Jack Nicholson, Los Angeles 1985. Ricordo quanto io e mio padre affittammo una villa nella famosa Sunset Boulevard. La casa era molto grande e ogni volta, dopo aver fatto il giro della villa, andavamo a dormire e mangiare al The Beverly Hills Hotel, vicino e comodissimo. Qui conoscemmo il simpaticissimo e cordiale Jack Nicholson che ci promise una visita a Milano. Dopo qualche mese mio padre doveva tornare a Los Angeles e chiamò Nicholson. “Ciao Jack, sto tornando e volevo avvisarti che avendo affittato di nuovo la villa, vorrei invitarti a cena mercoledì in quanto con me ci sarà un mio amico napoletano, Pasquale Falanga, che ti preparerà degli spaghetti pomodoro e basilico di una bontà assoluta, poi ti porteremo in dono la pastiera napoletana e una macchinetta da caffè originale napoletana con la quale potrai deliziare i tuoi amici”.
Come andò la cena?
Non ci fu! Non ricordo per quale ragione mio padre dovette rimandare il viaggio e si scordò dell’appuntamento a cena con Nicholson. Il seguito ce lo raccontò lui stesso che si recò puntuale alla villa, felice per l’invito del nuovo amico italiano. Quando quella sera arrivò la villa era completamente immersa nel buio come se non ci fosse anima viva. “Mi arrampicai sul cancello”, ci raccontò Jack, “per essere sicuro che nessuno mi aspettasse per la cena “. A quel punto arrivò una pattuglia della polizia che, con le pistole spianate, gli intimò di scendere. “Cosa sta facendo?” gli urlarono. “Stavo guardando”, rispose Nicholson, “se è arrivato un mio amico italiano che mi ha preparato gli spaghetti al pomodoro e basilico, la pastiera napoletana e una macchinetta del caffè speciale, originale napoletana”. “Scenda, documenti”, gli intimarono. “Non li ho in me, li ho a casa, ma sono Jack Nicholson”. “Certo, certo…venga con noi al commissariato”. Al commissariato venne finalmente riconosciuto. Una volta a casa chiamò mio padre per raccontargli tutto e, finalmente, scopri che mio padre era ancora a Milano.
Esilarante…me ne racconta ancora uno?
Londra, primavera 1987. Uno dei tanti concierge dell’hotel Dorchester finalmente sa indicarmi una dermatologa. The best in town, mi disse. Avevo un’orticaria probabilmente causata di una cena a base di pesce in un famoso ristorante di Londra. Nella sala d’attesa della dermatologa c’erano 3 persone. Una coppia di anziani e una ragazza con un orribile cappello da pioggia che le copriva il viso e un enorme paio di occhiali scuri. Mentre gli anziani sono entrati per rompere il ghiaccio mi rivolgo alla ragazza: “Speriamo che si sbrighino!”. “Questa dermatologa è bravissima”, mi risponde la giovane sorridendo, “ma non so perché mio marito non la sopporta”. Ci presentammo: “Piacere Ottavio Fabbri, sono italiano”. “Piacere Diana Ciaobello”. “Quindi è italiana?”, chiesi. “Forse, da qualche parte..”, rispose. Escono dalla visita i due anziani e la dermatologa fece un inchino: “Benvenuta principessa”, disse rivolgendosi alla ragazza. La ragazza si tolse il cappello e occhiali e con un sorriso mi salutò: “Ciao bello!”. Era Lady Diana d’Inghilterra.
FOTO: In alto Ottavio Fabbri con un piumino della collezione China Bosideng, ispirata alle sue opere.