Contro il logorio della famiglia moderna
Ricordo ancora quando a scuola, per punire una monelleria, il maestro dispensava bacchettate sulle mani degli indisciplinati. Non lo dimentico perchè poi a casa mamma e papà davano il resto, raddoppiando la pena. Impensabile al giorno d’oggi. E forse è giusto così. Ma nel passaggio alla nuova epoca molte cose sono state lasciate indietro, insieme alla riga del castigo. In primis l’educazione.
E’ notizia fresca di giornata quella che arriva da Treviso: al liceo “Duca degli Abruzzi” uno studente che s’era visto ritirare dal suo insegnante il cellulare, usato nelle ore di lezione, ha denunciato il prof ai Carabinieri per abuso di potere. In realtà il docente aveva lasciato il telefonino in presidenza perchè fosse riconsegnato ai genitori del liceale, ma il giovane non voleva attendere il ritorno dei familiari da un viaggio fuori città e di fronte al rifiuto incassato s’è rivolto ai tutori dell’ordine.
Inchiesta aperta, dunque, e indagini in corso. Con tanto di immancabile polemica – anche politica – sulla legittimità dell’operato del malcapitato professore, accusato addirittura di aver proceduto ad un sequestro paragiudiziario, pur senza essere un giudice. Sul punto, in realtà, poco sembra vi sia da dire: è arcinota, proprio agli studenti, la circolare del ministero della pubblica istruzione con la quale si rileva che «l’uso del cellulare rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente, configurando, pertanto, un’infrazione disciplinare sanzionabile attraverso provvedimenti» che prevedono anche «attività riparatorie di rilevanza sociale come la pulizia delle aule, attività di assistenza o volontariato», oltre che «adeguate sanzioni, ivi compresa quella del ritiro temporaneo del cellulare durante le ore di lezione».
Insomma, caso chiuso. Resta invece aperta la questione che il sacrificio dell’eroico insegnante trevisano evidenza: chi fa il proprio dovere passa i guai. Ancor più in un ambito, come quello dell’educazione, dove ormai ogni regola e tutti i punti di riferimento sembrano essere saltati. Per dire: lo scorso novembre, a Palermo, padre e madre hanno pazientemente atteso davanti ai cancelli dell’istituto comprensivo il maestro del figlio ed una volta avutolo a tiro lo hanno malmenato: in classe aveva osato sgridare il loro rampollo.
Al di là dei singoli e specifici casi, sul piano generale è possibile – anzi doverosa – una riflessione sul tipo di educazione che le famiglie impartiscono – ormai da qualche tempo – ai figli. Questione apparentemente privata, poichè confinata tra le mura domestiche, ma ormai di rilevanza pubblica: il rischio, ben evidente, è infatti che il baratro educativo faccia saltare gli equilibri della convivenza ed il residuo rispetto per le regole, schiudendo le porte ad un’ordalia di egoismi e prevaricazioni difficile – se non impossibile – da arginare.
Le famiglie, in ciò, hanno gravi responsabilità, certo acuite dalle disattenzioni delle politiche di governo ai temi della formazione, ma pur sempre riconducibili primariamente alla sfera genitoriale: padri e madri affetti dalla sindrome di Peter Pan, incapaci di vivere il senso di responsabilità che il loro ruolo imporrebbe, hanno finito per trasformarsi in sindacalisti della prole, ergendosi a scudi umani a difesa delle insidie (anche di quelle soltanto presunte) della vita.
Analisi già note. A mancare sono le soluzioni. Per quanto insufficiente, sarebbe un buon inizio quantomeno evitare il ricorso alla retorica, utilizzata quale ennesima attenuante: il mondo va così, chi non lo capisce e non s’adegua è un vecchio pazzo. No, cari signori. Per voi che ritenete che gli uomini siano cattivi perchè i tempi sono cattivi una risposta c’è, e l’ha data secoli fa sant’Agostino: «Vivano bene, gli uomini, ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi».