chinavsusNÈ RUSSIA, NÈ ISIS
Per gli Stati Uniti, il vero pericolo all’egemonia globale non viene dalla Russia di Putin; e neppure dallo scacchiere medio-orientale dove, quella creatura di laboratorio che si chiama Isis, costruita dai “dottor Frankenstein” della Cia, verrà ricondotta a più miti consigli non appena avrà cessato la sua funzione di destabilizzazione dell’area a favore degli interessi delle monarchie saudite in chiave anti-sciita.
In fondo, Ucraina, Siria o Iraq sono, per gli Usa, poco più che problemi regionali e nessuno di questi scenari dovrebbe preoccupare Washington per il mantenimento della propria leadership mondiale.

Per l’America la vera minaccia al ruolo di potenza egemonica viene dalla Cina; ed è su Pechino che si orienta la nuova dottrina strategica americana.

LA MINACCIA CINESE
Il Council on Foreign Relations, influente think tank legato agli ambienti della finanza americana, ha pubblicato recentemente uno Special Report dal titolo emblematico: Revising U.S. Grand Strategy Toward China.
Il rapporto afferma con chiarezza che la Cina oggi è una “minaccia alla supremazia Usa in Asia e potrebbe tradursi in una sfida al potere americano a livello globale”.
Per fronteggiarla, le strategie fino ad oggi attuate non sono più sufficienti: il vecchio “contenimento” che consentì all’America di vincere la Guerra Fredda e limitare il potere sovietico, è inapplicabile a causa dell’attuale realtà globalizzata; ed il tentativo di integrare la Cina “nell’ordine internazionale liberale” è inutile perché Pechino rappresenta un sistema (economico e di valori) irriducibile all’Occidente.
L’obiettivo di tutte le leadership cinesi, spiegano gli analisti americani, è l’acquisizione di “potere nazionale totale” (comprehensive national power) frutto di una secolare frustrazione generata dalla convinzione di essere una grande civiltà annullata dall’ostilità degli altri” e dalla necessità di difendere il proprio monopolio di potere interno incentrato sul ruolo del Partito Comunista (le laedership soffrirebbero di una vera e propria “fobia del caos sociale”) .

Gli Usa, per sostenere il crescente potere di Pechino, dovranno:

  1. Rivitalizzare la propria economia per competere con quella cinese che continuerà ad avere tassi di crescita superiori a quelli americani (nonostante un rallentamento del PIL)
  2. Sviluppare nuovi accordi economici con gli alleati degli Stati Uniti in Asia che escludano deliberatamente la Cina e generino vantaggi asimmetrici.
  3. Migliorare la capacità militari statunitensi nella regione.

PASSA PER  L’ASIA IL NUOVO ORDINE MONDIALE?
Secondo il report, “la Cina negli ultimi trenta e più anni ha aggregato un potere formidabile, che la rende la nazione più in grado di dominare il continente asiatico minando così il tradizionale obiettivo geopolitico degli Stati Uniti di garantire che questa area rimanga libera da qualsiasi controllo egemonico”. Ed è proprio nel continente asiatico che si inizia a giocare una partita delicata.
Recentemente il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, ha dichiarato: i problemi asiatici devono essere risolti dagli asiatici, così come la sicurezza in Asia dev’essere garantita dalle nazioni asiatiche”; un modo per invitare Washington ad allentare la sua presa su questa regione.
Qualche settimana fa, un documento della CNN (in collaborazione con il Pentagono) ha mostrato come Pechino stia costruendo delle vere e proprie isole artificiali nel mar Cinese meridionale in una zona di atolli corallini contesa con Filippine e Vietnam, allo scopo di attivare installazioni militari; lo scoop ha fatto arrabbiare molto le autorità cinesi.
Ed è di questi giorni la notizia di un prossimo accordo militare tra Filippine e Giappone proprio per fronteggiare l’espansione di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Accordo che segue una complessa corsa al riarmo nella regione alimentata dagli Usa (F-16 a Singapore e vendita missili a Malesia e Indonesia).

Di fatto, in questa maniera, Washington liquida quel sistema di controllo a raggiera (hub and spoke) attivo da dopo la Seconda Guerra Mondiale, incentrato su accordi militari bilaterali con i propri alleati nella regione (forte degli 80.000 soldati Usa stanziati tra Giappone e Filippine); e spinge la nazioni a cooperare militarmente sotto l’egida statunitense abbassando i costi di partecipazione americana.
Nel Risiko globale, questa zona del mondo diventerà sempre più centrale.

Per gli analisti del Council of Foreign Relations, la conclusione è chiara: il controllo dell’Asia ed il ridimensionamento della Cina determineranno “la forma dell’ordine internazionale per i decenni a venire”.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

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