bce sedeL’EUROPA DELLE BANCHE CHE NON PIACE AI BANCHIERI
Ad Antonio Patuelli, presidente dell’Abi (l’Associazione Bancari Italiana), quest’Europa non piace; è “come un’aquila bicipite: un solo corpo con due teste che si beccano l’un l’altra” ha dichiarato recentemente.
Sentire il capo dei banchieri italiani criticare l’Europa (delle banche!) potrebbe produrre un mancamento anche al Colosso di Rodi. Secondo lui c’è un’Europa buona, “quella monetarista” (cioè appunto quella di Draghi e dei banchieri) “che spinge per lo sviluppo attraverso le abbondanti iniezioni di liquidità”; ed un’Europa cattiva “quella degli organismi internazionali, che spinge per un eccesso di regole”.
Nel regime da socialismo bancario che la Bce ha imposto e di cui le banche private sono il braccio armato, si genera quel processo di perdita di senso della realtà proprio di ogni dittatura.

Per noi il problema va letto in maniera radicalmente diversa: c’è un’Europa buona (quella delle imprese che producono e generano ricchezza e dei cittadini che pagano le tasse), ed un’Europa cattiva (quella dei banchieri e dei tecnocrati che soffocano il mercato impadronendosi della moneta, distruggendo le economie nazionali e le possibilità di ripresa); e di questa Europa cattiva, le banche italiane sono le prime della classe.

 PRIMI A PRENDERE ULTIMI A DARE
L’ultimo programma di liquidità europeo introdotto da Draghi, il Tltro (Targeted Long Term Refinancing Operation) ha finora immesso nel mercato 385 miliardi di euro; di questi, 111 miliardi sono entrati nelle casse delle banche italiane. Quanti di questi soldi sono stati girati alle imprese e alle famiglie? Praticamente nulla. Nonostante la quantità impressionante di denaro creato dal nulla dalla Bce e generosamente elargito a loro, le banche italiane si comportano come se quel denaro fosse di loro proprietà e non del mercato (cittadini, famiglie e imprese). Anche a Giugno, Bankitalia ha evidenziato che “i prestiti al settore privato, hanno registrato una contrazione su base annua dell’1%”; quelli alle famiglie sono aumentati solo dello 0,1% (con un aumento però del costo medio dei mutui) mentre i prestiti alle imprese non finanziarie sono diminuiti dell’1,6% (ma i banchieri hanno fatto squillare le trombe perché a maggio erano a -1,9%).

I DATI DI IMPRESA LAVORO
Se si alza lo sguardo sull’ultimo decennio, lo scenario è ancora più drammatico e spiega la responsabilità del sistema bancario italiano in questa crisi.
Un recente report pubblicato dal Centro Studi Impresa Lavoro (il think tank liberale fondato dall’imprenditore Massimo Blasoni) è implacabile sui dati.
Nel decennio 2005-2015 le banche italiane hanno visto i propri depositi crescere del 96%, per un controvalore di circa 1.160 miliardi di euro ma di questi meno della metà (530 miliardi) è servita a finanziare famiglie e imprese (+47% nello stesso periodo), mentre la restante parte è stata utilizzata per triplicare l’esposizione in titoli (cresciuta del +189% oppure 559 miliardi)”.
Negli ultimi 10 anni, solo le banche maltesi e finlandesi hanno raccolto più di quelle italiane ma al contrario delle nostre, hanno aumentato i crediti a famiglie e imprese rispettivamente del 116 e del 102%)
Le banche italiane sono tra le prime e prendere e tra le ultime a dare.

ABBATTERE LA DITTATURA BANCARIA 
Per rilanciare l’economia occorrerebbe strappare il denaro dalle mani del sistema finanziario; come fare lo spiegammo in questo editoriale di qualche mese fa che suscitò scandalo e derisione persino tra amici liberali infarciti di socialismo finanziario. Eppure sempre più economisti immaginano che l’unica soluzione sia il “Quantitative easing for the people”, vale a dire immettere denaro nel sistema senza passare dalle banche ma dandolo direttamente a famiglie e imprese che potranno così rimettere in moto consumi e produzione, abbassare esposizioni debitorie e aumentare investimenti.

Nel tempo del denaro creato dal nulla, liberare la moneta dalla dittatura bancaria è un atto rivoluzionario e libertario; forse l’unico modo per riaccendere il motore dell’economia.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

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