Cari vescovi, rileggete Tucidide… e Biffi
UNA CHIESA LIQUIDA
Il cattocomunismo è la più incredibile anomalia genetica del cristianesimo; per certi versi peggiore della Teologia della Liberazione la quale aveva velleità più sociali e meno moraliste.
E di fronte al dramma dell’immigrazione il cattocomunismo dà il meglio di sé persino superando la retorica stomachevole del vecchio pacifismo con cui, ai tempi della guerra del Golfo, i preti impegnati riempivano le loro parrocchie di bandierine arcobaleno neanche fossero ad un raduno del Gay Pride. Frasi tipo: “anche Gesù era un migrante” sono addirittura più stupide del “Cristo fu il primo comunista”.
La Chiesa italiana di questo squarcio di nuovo secolo non è più quella di Camillo Ruini, ma quella del card. Bagnasco e di monsignor Galantino; non più una straordinaria presenza forte e discreta, ma quella di un Presidente della Cei che si riduce, in campagna elettorale amministrativa, a difendere gli assessori amici colpiti dagli avvisi di garanzia e un Segretario dei vescovi che combatte a spada tratta il virus diabolico del populismo nel modo più populista possibile: sparando contro la politica.
Una Chiesa liquida e minimale, incapace di leggere la complessità del reale, fedele consigliera dello Spirito del Tempo che ci vuole rigorosamente passivi rispetti ai cataclismi che la storia sta producendo (con il contributo interessato delle elité del potere tecnocratico); spesso complice di chi vuole cancellare il “nomos” a fondamento della civiltà europea che la Chiesa stessa ha contribuito faticosamente a costruire con secoli di testimonianza, annunci ma anche guerre, lacerazioni, progressi, contrapposizioni, conflitti (a partire proprio da quello tra fede e ragione). Un nomos che ha dato vita alle nostre nazioni, al nostro diritto, alle nostre economie, alla nostra concezione della libertà individuale.
LEGGERE TUCIDIDE
Se i vescovi italiani la smettessero di fare i replicanti della Boldrini e di Gino Strada potrebbero trovare il tempo di leggere Tucidide il primo grande realista della storia e recuperare la consapevolezza che la politica estera di uno Stato (quando esso è sovrano) si basa sul principio dell’interesse nazionale.
Questo principio non è un concetto astratto ma la base di sicurezza e stabilità che fonda il rapporto di lealtà tra lo Stato e gli individui che ne fanno parte;
L’interesse nazionale traduce in epoca moderna, il concetto di “utile” che fin dai tempi antichi Tucidide vedeva contrapposto all’idea del “giusto”.
Uno Stato democratico si distingue da uno non democratico perché cercherà di far coincidere il più possibile i due concetti (utilità e giustizia); ma va da sé che se i due concetti non sono conciliabili, inevitabilmente uno Stato deve far prevalere ciò che per sé è utile sacrificando ciò che potrebbe essere giusto.
Non esistono obblighi internazionali (né umanitari) che possano contrastare con il principio fondamentale della propria sicurezza (cioè dell’interesse), pena la necessità di svincolarsi da quell’obbligo. Il principio della sicurezza è alla base dell’esistenza di un ordine sociale, ciò che giustifica l’esistenza di uno Stato e legittima la sovranità di una nazione.
NOSTALGIA DI MONSIGNOR BIFFI
Giacomo Biffi è stato una delle più straordinarie figure del cattolicesimo italiano di questo passaggio di secolo. Grande teologo capace di spiegare la verità dell’Annuncio attraverso la favola di Pinocchio, dove Mastro Ciliegia diventa “il maestro dell’anti-fede (un legno è solo un legno)” e l’intera avventura umana della fuga, del ritorno e della “partecipazione al destino del Padre” racchiuso nella storia di Geppetto, la Fata Turchina e il Gatto e la Volpe.
Il 12 Settembre del 2000 (15 anni fa!), Biffi pubblicò una nota pastorale che creò “scandalo e stoltezza” (come ogni verità irriducibile allo spirito del Tempo). Di fronte all’emergere del problema immigrazione (quando ancora esso non era il dramma epocale che stiamo vivendo) ammoniva sulla necessità di “salvaguardare l’identità della nazione italiana” perché “non tutte le culture sono conciliabili con la nostra”. E ancora, “l’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza una inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto”.
Biffi anticipava il tema attuale dell’islamizzazione dell’Occidente, del rischio reale che i flussi migratori di culture irriducibili alla nostra, alterino la nostra civiltà; e ricordava che se anche il cristianesimo non è più religione ufficiale di Stato, esso rimane la nostra “religione storica”, “fonte precipua di identità e ispirazione determinante delle nostre più autentiche grandezze”.
Il suo apprroccio realistico è lontano anni luce dalla Chiesa virtuale di Galantino e di Bagnasco: un Chiesa, la loro, utopica e perciò etimologicamente senza più luogo.
Monsignor Biffi è morto lo scorso luglio a 87 anni e se ne sente già la mancanza.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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