L’altro 11 Settembre e la “nebbia” di Bengasi
C’è un altro 11 Settembre che ha ferito l’America; quello del 2012, quando a Bengasi, in Libia, un attacco jihadista alla rappresentanza Usa, portò alla morte di quattro americani tra cui l’ambasciatore Christopher Stevens, uno dei migliori diplomatici in Medio Oriente dell’amministrazione Obama.
Un atto di guerra che aprì gli occhi in Occidente sulla vera natura della guerra in Libia e su come, i famosi racconti di nuova nazione democratica e pacificata grazie alle bombe Nato, erano solo menzogne: la Libia stava precipitando in un caos di cui questo era il segnale.
L’ATTACCO DEI “RIBELLI MODERATI”
Quella sera, quasi 200 miliziani armati di Ak-47 ma anche di FN2000 (fucili di fabbricazione belga e calibro Nato presi dagli arsenali libici), coperti da un fitto fuoco di mortai, mitragliatrici pesanti e persino lanciarazzi RPG, presero d’assalto il compound dove in quel momento si trovava la delegazione americana.
L’attacco fu opera di membri di Ansar al-Sharia, organizzazione salafita legata ad Al Qaeda, che aveva partecipato alla guerra civile tra le file dei famosi “ribelli moderati” e che svolgeva attività di sicurezza per conto del nuovo governo libico. Insomma i “ribelli moderati” svelavano il loro volto.
L’ambasciatore Stevens fu ritrovato agonizzante da soccorritori libici in una delle stanze incendiate dagli assalitori. Il suo collaboratore invece portato via dagli agenti di sicurezza non riuscì a sopravvivere.
L’attacco si protrasse per diverse ore e coinvolse anche un secondo compound della Cia (distante un chilometro e mezzo) dove trovarono la morte due agenti speciali, uno dei quali, Glen Doherty, era giunto appositamente da Tripoli con un nucleo del JSOC di supporto alla difesa e per l’evacuazione di tutto il personale. I due caddero armi in pugno affrontando un nemico di gran lunga superiore; una morte onorevole per due ex Navy Seals.
Meno onorevole fu lo strascico di polemiche che accompagnarono i mesi successivi, trascinandosi persino nella campagna elettorale per la rielezione di Obama e coinvolgendo Hillary Clinton, allora Segretario di Stato.
LE POLEMICHE
Le polemiche hanno riguardato due aspetti:
1) SOTTOVALUTAZIONE RISCHI
La Casa Bianca avrebbe sottovalutato i rischi di un attacco preannunciato di Al Qaeda. Diversi report d’intelligence da quasi un anno rivelavano che la situazione stava precipitando e che le attività delle milizie si facevano sempre più insistenti.
Le richieste di maggiore sicurezza erano state negate dal Dipartimento di Stato per mantenere un “profilo basso” alla missione. Eppure, com’è scritto nella relazione della Commissione sulla Sicurezza Nazionale del Senato, già dal giugno del 2011, l’intelligence aveva “compilato una lista di 234 incidenti, di cui 50 a Benghazi”.
2) DEPISTAGGIO
La Casa Bianca avrebbe volutamente depistato l’informazione, mascherando l’attacco, non come un’operazione militare vera e propria, ma come una rivolta di piazza degenerata a causa della diffusione su You Tube di un video ritenuto blasfemo nei confronti dell’Islam, intitolato “Innocence of Islam” e che aveva già generato proteste in Egitto.
L’obiettivo di Washington era impedire che la campagna elettorale di Obama potesse essere condizionata da accuse d’inefficienza ed errori per l’attacco e per la morte dell’ambasciatore. Molto più facile attribuire ad una protesta imprevista per un video, quello che era stata una falla incredibile nel sistema di sicurezza nazionale americano.
LE NUOVE RIVELAZIONI E LA “NEBBIA” DELLA CLINTON
In questi ultimi giorni sono emersi nuovi elementi clamorosi:
- IL VIDEO
Judicial Watch, una Ong di area repubblicana, specializzata in cause legali per la trasparenza politica, ha ottenuto dal Bureau of Diplomatic Security l’accesso a documenti del Dipartimento di Stato che svelano come nelle ore immediatamente successive all’attacco, il Dipartimento di Stato abbia contattato You Tube allo scopo di attribuire le violenze alla circolazione in rete del video blasfemo; solo che il video in questione era quello sbagliato: nei documenti si fa riferimento ad un tale “Pastor Jon” fanatico predicatore cristiano ed autore di un video (“God vs Allah”) la cui circolazione era così limitata da non giustificare nulla di ciò che era accaduto.
Questo dimostrerebbe che alla Casa Bianca non avevano prove concrete di ciò che affermavano ma solo l’urgenza di costruire una verità che nascondesse anche gli errori nella gestione dell’emergenza (a partire dal fatto che il Segretario della Difesa, Leon Panetta, fu avvertito dell’attacco solo un’ora dopo che era iniziato) - MAIL DA TRIPOLI
Inoltre la Commissione parlamentare su Benghazi ha reso pubblico un documento dell’ambasciata Usa a Tripoli inviato al Dipartimento di Stato due giorni dopo; nel documento si conferma che il video su You Tube non aveva nulla a che fare con l’attacco e di non usarlo come scusa perché non avrebbe retto ad un’indagine più attenta. Nonostante questo, nei giorni successivi, la Clinton e altri importanti diplomatici hanno continuato a giustificare l’attacco come imprevedibile perché causato dalla protesta per il video. - LE MAIL DELLA CLINTON
Tre mail inviate da Hillary Clinton la sera stessa (di cui una a sua figlia Chelsea) ed il giorno dopo (al Primo Ministro egiziano) rivelano come lei fosse a conoscenza che l’attacco non era improvviso ma era stato organizzato e pianificato da Al Qaeda; attacco che come emergerà in seguito fu una risposta all’uccisione nel Giugno del 2012, del capo libico Abu Yaha al-Libi, da parte di un drone americano.
Lo scorso 22 Ottobre, durante la sua audizione alla Commissione parlamentare, la signora Clinton ha citato la “nebbia di guerra” che si genera dopo eventi come quello di Bengasi. Per ora, l’unica nebbia, è quella calata sulla verità di quest’altro 11 Settembre.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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