La resa Usa in Siria
L’AMERICA IN UN VICOLO CIECO
L’accordo per il cessate il fuoco in Siria, raggiunto lo scorso 9 Settembre tra Stati Uniti e Russia, segnerebbe una resa totale degli Usa in Medio Oriente. Non proprio una vittoria della diplomazia.
A scriverlo è una fonte non sospettabile di parzialità: Debka, sito vicino all’intelligence israeliana.
Secondo gli analisti di Tel Aviv, l’accordo è “una brusca inversione di Washington” rispetto alle posizioni assunte nel vertice tra Obama e Putin a margine del G-20 a Pechino appena tre giorni prima. In quell’occasione il Presidente americano aveva annunciato il fallimento dell’accordo per “mancanza di fiducia”.
Cosa sarebbe avvenuto in pochi giorni perché la Casa Bianca ritrovasse la “fiducia” nei confronti di Mosca?
Secondo gli israeliani una presa di coscienza, da parte americana, di ritrovarsi in un vicolo cieco.
L’ACCORDO SEGRETO RUSSO-TURCO
A Pechino, mentre l’opinione pubblica mondiale era tutta concentrata sull’incontro Putin-Obama, il leader russo in gran segreto chiudeva un accordo con Erdogan “per tracciare i prossimi passi in Medio Oriente”. E così il G-20 “invece di promuovere una nuova fase di comprensione tra USA e Russia, ha dato l’impulso per una nuova partnership russo-turca”.
Questo accordo, secondo le fonti israeliane, prevede la cessione ad Ankara (per ora solo come controllo militare) di un’ampia zona della Siria del nord al confine con la Turchia; circa 4000 kmq che comprenderebbero tra l’altro la città di Jarabulus un’area da sempre ambita da Ankara per la presenza di popolazione turkmena.
Dal canto suo Erdogan ha garantito il ritiro di ogni appoggio militare alle milizie ribelli anti-Assad.
Sulla base di questo accordo, quando pochi giorni dopo russi e americani si sono incontrati a Ginevra, ai secondi non è restato altro che prendere atto della nuova situazione. Così Putin ha fatto capire ad Obama che lui “ora ha in mano l’ultima carta per il controllo del conflitto siriano, mentre Washington è praticamente fuori partita”.
Appare così chiaro il motivo per cui i termini dell’accordo sulla Siria tra Usa e Russia non sono stati resi pubblici: avrebbero rivelato che “i ribelli della zona di Aleppo, e forse in tutta la Siria, sono stati abbandonati al loro destino”.
E forse per questo che la decisione sull’accordo è stata oggetto di profondi contrasti interni alla Casa Bianca da parte di pezzi grossi dell’amministrazione come il Segretario alla Difesa, Ash Carter, e il Direttore del National Intelligence, James Clapper.
IL RUOLO DI AL-NUSRA
Difficile che la tregua siriana possa realmente reggere: troppi attori in campo e troppi che non hanno più nulla da perdere nella ripresa delle ostilità.
Ora per Washington il vero problema è impedire che i famosi “ribelli moderati” che la Cia e il Pentagono hanno armato e addestrato, scivolino definitivamente verso le posizioni più radicali e islamiste compromettendo un eventuale ruolo (loro e quindi di Washington) nella Siria del futuro. Per questo gli Usa hanno dovuto enfatizzare la parte dell’accordo in cui prevedono interventi militari congiunti con Mosca, non solo contro l’Isis, ma anche contro Al-Nusra il gruppo affiliato ad Al Qaeda che cerca di prendere l’egemonia del variegato movimento anti-Assad.
Tanto più che nel luglio scorso Al-Nusra ha annunciato la sua fuoriuscita da Al Qaeda proprio per caratterizzarsi come gruppo leader della ribellione siriana sostituendo i foreign fighters dell’internazionale del terrore, con gli ormai esperti combattenti siriani pronti ad abbracciare la causa jihadista dopo il “tradimento” di Ankara e Washington.
IL PROSSIMO COLPO DI PUTIN
Putin si appresta a sferrare l’ultimo colpo da maestro: organizzare a Mosca il vertice tra israeliani e palestinesi per avviare un nuovo processo di pace; vertice per il quale sia il premier israeliano Netanyahu che il Presidente palestinese Abbas, si sono mostrati d’accordo.
Se dovesse riuscire anche in questo, la Russia diventerebbe il pivot di un nuovo Medio Oriente.
DÉBACLE USA
La débâcle americana non è solo frutto di una migliore visione geopolitica del Cremlino ma sopratutto della folle politica estera portata avanti dalla Casa Bianca negli ultimi otto anni: una miscela esplosiva di guerre umanitarie, cinismo diplomatico e arroganza tardo imperiale che ha collezionato fallimenti in serie: dalla Primavera Araba al pantano iracheno, dal disastro libico alla guerra in Siria alimentata dalla Cia, passando per l’imbarazzante timidezza con cui il Pentagono ha affrontato la nascita dell’Isis e la formazione del Califfato; nonostante la sbandierata coalizione di 13 paesi, si è dovuto aspettare l’intervento russo per assistere alla sconfitta dei tagliagole jihadisti.
Ma è sopratutto con gli storici alleati che gli Stati Uniti hanno mostrato una spietata vocazione al suicidio; uno dopo l’altro gli Usa hanno abbattuto quei regimi a loro fedeli (a partire dall’Egitto di Mubarak), senza essere in grado di sostituirli con alleati altrettanto fedeli.
E così oggi l’America ha sempre meno amici in Medio Oriente; gli rimangono le tirannie saudite (quelle che finanziano con milioni di dollari la Fondazione Clinton) e poco altro.
Ora Washington scopre con terrore che persino Israele guarda con interesse le mosse russe per una nuova pacificazione della regione (noi l’avevamo scritto già tre mesi fa).
D’altro canto è comprensibile: a Tel Aviv pensano che l’asse Russia-Iran-Siria, consenta a Mosca di avere influenza reale sugli unici nemici storici che Israele teme veramente: gli Hezbollah sciiti armati da Teheran e protetti da Damasco.
Insomma il Medio Oriente sta cambiando, ma l’America no; e paradossalmente a Washington solo Trump, nella sua follia, sembra averlo capito.