We the People
WE THE PEOPLE
“Noi il popolo”; così inizia la più bella Costituzione del mondo, quella che i Padri Fondatori della nazione americana vollero scrivere per fondare l’atto di leale sovranità e “fissare i benefici della libertà a noi stessi e ai nostri posteri”.
Mai, come in queste ore, quel “We the People” è attuale, perché il popolo (americano) ha saputo sconfiggere l’élite che si era impossessata dell’America, i manipolatori della verità che abitano i media, i lupi di Wall Street, gli intellettuali ipocriti, l’arroganza spocchiosa di una minoranza storica che si crede da sempre “antropologicamente superiore”, il sarcasmo degli imbelli pieni d’intolleranza, il politically correct stomachevole che costruisce la cultura del vittimismo della minoranza. Prima ancora che Trump, ha vinto la volontà popolare, quell’America profonda che ha fatto sprofondare l’America di cristallo; “the shy Trump voter”, l’elettore timido di Trump, un fantasma per sondaggisti e intellettuali, ma alla fine più vero di loro.
“The Silent Majority” è scritto sui cartelli che alzano i sostenitori di Trump. Come a dire: voi state sopra i vostri troni di parole, di slogan, di teoremi, di vuoto, di salotti esclusivi ed escludenti. Noi siamo nella vita di tutti i giorni, nella crisi dell’America, nella povertà che cresce, nella middle class che scompare, nei conflitti sociali, nella paura per quel domani che voi ci avete scippato. Voi state nel vostro mondo virtuale, noi stiamo in quello reale perché… “we the people”, noi siamo il popolo!
THANK YOU CLINT EASTWOOD
“Grazie America, io non ho molto da vivere ma so che questi ultimi anni saranno grandi; non posso ringraziarti abbastanza Presidente Trump”. Così ha scritto su Twitter, l’85enne Clint Eastwood uno dei più straordinari testimoni del nostro tempo. Libertario anarchico, da sempre schierato a destra contro il conformismo di Hollywood e dello star system, Eastwood non ha avuto paura di sfidare il disprezzo dei suoi colleghi, la volgarità isterica di quel mondo finto e corrotto, i “pompini” di Madonna, la violenza verbale di Robert De Niro, il razzismo (quello vero!) che trasuda nella parole e nei comportamenti dell’intellighenzia impegnata, del circo Barnum degli artisti miliardari con il cuore a sinistra e il portafoglio rigorosamente a destra.
Il giorno prima delle elezioni il cuore impavido di Eastwood ha scritto: “Dal mio ranch, io riesco a sentire l’esercito di Trump marciare verso le urne. Suoni vittoriosi!” Preveggente. Thank you Clint.
DEPLORABLES
Dite a Matteo Renzi di tradurre ad Hillary la parola “Ciaone”, da parte nostra; perché ad ogni vincitore si contrappone uno sconfitto, e questa volta il peso devastante della sconfitta clintoniana lascerà il segno nella storia americana. È la fine di una dinastia politica, quella dei Clinton, con poche luci e molte, troppe ombre; perché con lei ha perso l’arroganza cinica di un potere che si credeva imbattibile, un sistema corrotto e criminale che l’America ha rigettato.
Su questo blog per mesi abbiamo spiegato quale pericolo avrebbe rappresentato per l’America e per il mondo, la Clinton Presidente. Abbiamo raccontato le sue responsabilità nella guerra in Libia e nel conflitto ucraino; le sue complicità criminali quando è stata Segretario di Stato; i suoi rapporti ambigui con la Cia, la sua politica estera guerrafondaia. Abbiamo raccontato il sistema di potere (e di ricchezza) costruito con suo marito Bill, i rapporti torbidi con il sistema finanziario e con i regimi tirannici del Golfo che appoggiano il terrorismo internazionale e finanziano la sua Fondazione.
La signora Clinton esce di scena con giusto disonore; quel “branco di miserabili (deplorables)”, come lei ha chiamato i sostenitori di Donald Trump, l’hanno costretta alla resa e alla fuga. Quei miserabili rappresentano la parte del popolo americano che i Clinton non hanno mai capito e sempre disprezzato. Thank you deplorables.
AGAIN GREAT?
E ora parliamo di lui, del vincitore contro tutto e tutti: Donald Trump è di fronte alla prova della storia e dovrà dimostrare se è solo un fenomeno passeggero o un degno Presidente degli Stati Uniti d’America.
Lui eredita un’America in piena crisi, nonostante le fanfare narrative del mainstream. Obama, il premio Nobel della Pace, ha trascinato gli Usa in guerre impossibili, screditando prestigio internazionale, credibilità e seminando di bombe umanitarie le speranze di popoli e nazioni, aiutando il terorrismo a crescere invece che sconfiggerlo (come abbiamo dimostrato, numeri alla mano, qui).
Il primo Presidente nero lascia un paese in cui sono esplosi conflitti razziali che non si vedevano da 40 anni, divisioni sociali, con un debito pubblico di 20 miliardi di dollari, oltre il 100% del Pil (era meno della metà quello lasciato da Bush).
“Make America Great Again”, facciamo di nuovo grande l’America, ha urlato Trump. In lui echeggia la tradizione realista del conservatorismo americano anche se di conservatore lui non ha nulla. L’America non può essere faro del mondo se prima non torna ad essere faro per se stessa. In fondo è questa la sua visione. Basta pensarsi gendarmi del mondo se non si ha più la forza economica per farlo; basta continuare ad alimentare crisi internazionali e guerre se poi non si è capaci di costruire la pace. Chissà se sarà il più improbabile Presidente americano a cambiare dal profondo l’America.
Certo è che la sua vittoria è la vittoria del “We the People” contro ogni élite; una lezione per gli europei. Per questo “Thank you America”.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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