Paranoie sinistre degli anti-Trump
I NIPOTINI DI SOROS
Una signora attempata sfila in corteo per una via di New York innalzando un cartello: “Hillary the people’s President”; peccato che “the people” quel Presidente non l’abbia voluto.
A Portland un gruppo di femministe vomitate da una caricatura degli anni ‘70, espone una bimba nera di 6-7 anni con un cartello: “Tell me how it’s ok to grab my pussy?”; per giudicare l’indecenza e l’idiozia ideologica di queste cianfrusaglie travestite da donne non serve il moralismo quacchero, basta una laica consapevolezza di sé.
A Chicago due fanciullette bianche innalzano cartelli in cui si dicono “sconvolte e spaventate”.
A Los Angeles gli studenti californiani chiedono “Power to the People”, come se Trump non fosse stato eletto dal popolo e fosse un Matteo Renzi qualsiasi.
Le immagini si moltiplicano e mostrano i volti delle proteste con cui la sinistra liberal Usa cerca di allontanare da sé il demone di una sconfitta inaspettata: bandiere americane bruciate, vetrine e auto distrutte, simboli fallici con la faccia di Trump e striscioni con la scritta “Fuck Trump”, giusto per esorcizzare il fatto che è stato Trump a fottere loro.
La paranoia dei liberal si sta consumando con vampate di violenza e retorica elitaria; i nipotini di Soros, scesi in piazza a 10$ al giorno per contestare l’esito di un voto democratico, fanno parte del rito apotropaico universale con cui la sinistra prova ad espiare la colpa della propria stupidità e la rabbia quando la Storia non risponde ai suoi desideri.
Per questo, quando la polizia di Portland ha diramato la notizia che il 70% dei giovincelli arrestati per le violenze che hanno scatenato perché “Trump is not my President” è gente che nemmeno è andata a votare, non ci siamo sorpresi più di tanto.
NELLE SCUOLE DEI FIGHETTI
Alla Cornell University di Ithaca, ottocentesca istituzione dello Stato di NY, studenti e professori hanno indetto la giornata del “Cry with Us”, la lamentela collettiva, una sorta di lagna condivisa con cui elaborare il lutto della vittoria di Trump; e così, in una giornata plumbea falciati dal vento freddo della nuova America reazionaria i docenti e i loro discenti si sono accampati a piangere per l’elezione del nuovo Presidente ed esprimere la loro preoccupazione per le sorti progressive dell’umanità.
Un video postato sulla pagina Facebook del Cornell Daily Sun (lo storico giornale universitario) mostra un’anziana professoressa sessantottarda spiegare le ragioni della sua presenza: “i risultati spezzano il cuore (…) sono un ceffone in faccia a tanti cittadini americani … ci sono tante persone che soffrono e che pensano che Trump darà loro risposte.… Non penso che capiscano…”. Questa frase condensa tutta l’arroganza di chi si crede sempre dalla parte giusta della storia.
Nelle scuole dei fighetti radical-chic, dove i giovani vengono formati ai valori di “pace, democrazia, solidarietà, uguaglianza, amore” e arcobaleni vari, lo psicodramma tocca livelli di ridicolo lirismo. Hamilton Clark è il Direttore della Avenue World School di Chelsea, la scuola per intenderci dove Tom Cruise e Kate Holmes hanno mandato la piccola Suri.
Il giorno dopo le elezioni Mr. Clark ha inviato una lettera ai genitori degli studenti rassicurandoli che la scuola s’impegnerà con ogni sforzo per affrontare “il disorientamento, l’emozione e l’ansia dei ragazzi” di fronte all’evento incredibile della vittoria di Trump.
Dopo aver ammesso che il risultato elettorale “ha deluso la scuola” ha però affermato che i docenti sono eroici per aver passato la notte delle elezioni al Javits Center (il QG del Comitato Clinton) ma “la mattina dopo hanno messo la loro faccia e sono venuti a scuola pronti per i loro studenti” ai quali “stanno facendo ascolto ed accoglienza” per mitigare i contraccolpi piscologici della bastonata. Come direbbe Obelix: “Sono pazzi questi Liberal!”.
Ma c’è chi non ha reagito in maniera così composta: il prof. Kevin Allred insegna gender studies alla Rutgers University: il suo corso di studio è: “Prospettive femministe: politicizzando Beyoncé”.
Qualche giorno fa la polizia lo ha prelevato da casa e portato in ospedale per un esame psichiatrico. Il motivo è che, secondo alcuni suoi studenti, il Prof si sarebbe abbandonato in classe e su Twitter a commenti violenti in cui invitava a bruciare bandiere americane e a sperimentare il Secondo Emendamento ammazzando cittadini bianchi.
Ovviamente il giovane professore non è matto e probabilmente il suo odio per Trump è stato frainteso ma per lui tutto questo è la dimostrazione che “il giro di vite di Trump sulla libertà di parola è cominciato”.
IL DELIRIO DELL’ÉLITE
Colpisce che questi deliri provengano da scheggie impazzite dell’alta società americana, non quella degli “ignoranti” che hanno votato Trump.
Matt Harrigan non è un disoccupato di Detroit ma il Ceo di un’importante azienda di San Diego, la PacketSled, specializzata in Big Data e Cyber Security; o meglio era il Ceo, perché è stato licenziato dopo che su Facebook, la notte dei risultati elettorali, ha scritto diversi post in cui annunciava che avrebbe ammazzato Trump: “mi procuro un fucile da cecchino e mi apposto dove è meglio (…) in un stanza della Casa Bianca. Sul serio. Fottiti!”. Intervistato sulla Abc, l’ex manager (padre di due figli) si è scusato e pentito, dicendo che era ubriaco.
In molte città americane si sono registrati episodi di violenza contro sostenitori di Donald Trump: minacce, aggressioni e pestaggi. Eppure colpisce il fatto che né la Clinton né Obama abbiano ancora condannato questi episodi; anzi entrambi fanno di tutto per alimentarli: Obama invitando i manifestanti anti-Trump a non tacere e la Clinton sbandierando congiure ai suoi danni (dall’FBI a Putin) come ragione della sua disfatta.
La sinistra sta perdendo la testa; i suoi leader sono ormai privi di freni inibitori e questo non è un bene per la democrazia americana.
Per fortuna, ogni tanto, qualcuno da quelle parti ha il coraggio di spiegarlo: Jon Stewart, poliedrico intellettuale della tv americana, mitico conduttore di The Daily Show (uno dei programmi satirici più seguiti) e da sempre liberal, ha denunciato l’ipocrisia della sinistra americana: “L’America che ha votato Trump è quella che votò Obama”. Dovrebbe essere un concetto facile da capire ed accettare, perché si chiama “democrazia”; ma è proprio ciò che la paranoica sinistra in America e in altre parti del mondo non sopporta.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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