Molti nemici poco onore
IL NEMICO DI SE STESSO
“Non credevo mi odiassero così tanto!”. Matteo Renzi si è svegliato bruscamente dal sogno durato 1000 giorni. La sua parabola è tutta in questa frase che le cronache hanno raccolto come uno sfogo amaro e personale ai suoi più stretti collaboratori.
Non c’è peggior nemico per un leader politico che se stesso; e quella sorta di innamoramento fatale che conduce il narcisismo a trasformarsi in potere e in alibi.
La verità è che Renzi sa perfettamente le ragioni di questo “odio”. Le conosce perché le ha generate con i suoi comportamenti: Renzi, in questi 1000 giorni, ha accoltellato alle spalle i suoi amici di partito, ha denigrato i suoi avversari, ha umiliato quelli che non la pensavano come lui; ha mentito, ha tradito, ha fatto del cinismo uno stile di vita, dell’arroganza una qualità morale, della furbizia un comportamento lecito.Ha travolto regole della democrazia e quelle del rispetto.
Ha violato la parola data come fosse un gioco, uno sfizio, fin dall’inizio, dall’atto fondativo della sua ascesa: quella sera in tv quando davanti a milioni di italiani dichiarò con fermezza: “io voglio governare questo Paese passando dalle elezioni e non dagli inciuci di Palazzo”; salvo pochi mesi dopo salire a Palazzo Chigi con il peggiore degli inciuci.
Se la politica è “sangue e merda”, lui quella sera ha tolto il sangue e ha lasciato il resto.
Sarà stata colpa della sua giovane età, dell’ubriacatura di chi senza merito e senza fatica si è trovato improvvisamente Premier spinto dal vento imprevedibile che la storia regala agli audaci… e ai privi di scrupoli.
Renzi, il Rottamatore, che sta in politica da prima di Berlusconi, ha portato con sé quell’idea della democrazia autoritaria nella quale è cresciuto nella sua Toscana rossa: quella delle cooperative rosse, dei magistrati rossi, dei preti rossi, dei banchieri rossi e dei massoni rossi. Quella del più oliato sistema clientelare d’Italia dove, se non sei un amichetto loro, sei escluso dalla competizione sociale.
CASTA E POPOLO
“Non credevo che mi odiassero così tanto”; sempre le cronache raccontano che questa frase lui l’abbia indirizzata alla casta, colpevole della sua sconfitta, ma è l’ennesima allucinazione; l’ennesima menzogna raccontata a se stesso
Renzi è stato cacciato dal popolo non dalla casta e questo a differenza di Berlusconi che fu cacciato dalla casta dopo che il popolo lo aveva votato (e forse lo avrebbe rivotato se Napolitano non avesse deciso di svendere la sovranità popolare ai voleri della tecnocrazia europea).
Certo anche Berlusconi è stato odiato, ma dall’élite: dal mainstream, dagli intellettuali, dal grande capitale, dal sistema industriale, da una magistratura che nei suoi confronti ha scatenato la più terribile caccia all’uomo mai vista in uno Stato di Diritto.
Renzi non ha mai ricevuto questo odio: i grandi giornali lo hanno amabilmente adulato, i banchieri coccolato, i magistrati protetto, i poteri forti adottato.
Semmai sono stati i cittadini a decretarne il fallimento, non per odio, ma per quel naturale disprezzo che sorge di fronte all’arroganza del potere.
Il risultato più eclatante del fallimento del renzismo è nel voto dei giovani, praticamente dei suoi coetanei: quell’80% di 18-34enni che hanno votato per il No rappresentano la vera ecatombe per colui che si era posto giovane tra i giovani, come l’uomo del rinnovamento, l’uomo dei tweet e dei selfie, il premier delle slide e della battuta pronta.
Nel Gennaio scorso ha dichiarato: “se perdo il Referendum lascio la politica”. Ha perso il Referendum e non lascerà la politica e forse neppure il governo. In Gran Bretagna Cameron (che ha perso con meno scarto) lo ha fatto.
Per ora, quello che abbiamo visto è che Renzi ha molti nemici (il 60% degli italiani); aspettiamo di vedere un po’ di onore.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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