01Ago 11
La coscienza è una lampada accesa…
La coscienza è una lampada accesa.
Se si tengono chiusi gli occhi,
non la si vede.
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La coscienza è una lampada accesa.
Se si tengono chiusi gli occhi,
non la si vede.
Ritengo solo che a volte chiunque di noi sia partecipe della realtà circostante, mentre altre volte si isola da essa. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, la realtà resta dov’è, e prosegue a prescindere da ogni nostro personale intervento. Intendo: possiamo anche restare inerti, immobili a fissarci allo specchio. Vedremo noi stessi e l’idea di noi stessi. Fuori, altrove, via da quello specchio, ci saranno altri che continueranno a muoversi, ad agire nel bene e nel male, nonostante noi. Si può insomma cercare nella vita di dare un buon esempio, o quello che riteniamo personalmente esserlo, ma non si può controllare tutto e nemmeno prevedere ogni elemento che va a costruire un accadimento.
Mi scuso ancora con la Signora Nadia, ma non riesco a capire il suo pensiero. Probabilmente sono confuso. Quando volutamente prendo uno specchio e mi fisso dritto negli occhi, restando così per qualche minuto, pensando alla mia interiorità, al mio sè come anima, alla mia coscienza; sto riflettendo sul mio bilancio giornaliero, ipotesi, del mio mettermi in discussione, dell’analisi del mio comportamento morale. In quei minuti lì, non possono frammettersi fra me e lo specchio elementi causali o giudizi esterni, in quanto, c’è un io, davanti allo specchio e un altro Io nello specchio che mi sta esaminando. Io, come persona, sono la sua Immagine e Somiglianza. Il mio pensiero è tutto concentrato sulla mia povera anima e e su ciò che mi rivelano i pensieri di Quello dello specchio, che sono sempre io, ma trapiantato nella mente Sua. E’ un dialogo difficile, quello dello specchio, è un esame faticoso. Anche perchè sono preso da troppe cose. Quindi, in quell’intimità lì, non esistono altri che me e Lui. Diverse responsabilità non si possono far convergere in quei momenti lì, se possibile. La realtà viene considerata solo in quanto, io sono protagonista della medesima, in quanto la mia vita passa attraverso legami affettivi o relazionali col mio prossimo. Quindi sarò sempre io e la mia libertà a venire messi in discussione sempre, da Quello dello specchio. Saluti.
La coscienza è l’ anima, che non si vede, la morale è l’etica, elemento culturale.
Gentile signor Bianchetti, ho usato semplicemente degli esempi estensibili al caso generale e non riferiti a me personalmente. Perciò, l’uso che lei mi attribuisce del possessivo “mio” non vuole essere da parte , ovviamente mia, perchè sono io che ora le sto scrivendo, autoreferenziale.
Accade di svolgere un lavoro bene per X e male per Y, ma ciò può dipendere non solo dal nostro coscente operato, ma anche da elementi casuali che possono frapporsi e, non ultimo, anche dal giudizio che X e Y danno al nostro lavoro.
Non si dovrebbe uccidere, come non si dovrebbe rubare o, in generale, nuocere al prossimo. Purtroppo, aldilà dei proclami, ci si deve scontrare con la realtà che, si sa, non ci chiede permessi per manifestarsi.
La ringrazio.
Mi scusi la Signora Nadia, ma vorrei sottolinere una osservazione riguardo i differenti livelli di coscienza da lei propsti. Con questo non voglio mettere in dubbio i suoi sentimenti o il suo modo di sentire questo delicato tema. Allora, secondo me, lei usa troppo l’aggettivo possessivo “mio”. (mio figlio, mio padre, mia madre, mio fratello ecc…). Se provasse ad usare: ” loro rumeni o loro albanesi hanno rubato al supermercato i biscotti “, cambierebe livello di coscienza nel giusto tentativo di esprimere un giudizio? O se svolgesse un lavoro bene per il Sig. X e male per il Sig. Y, cambierebbe livello di coscienza, poi, nel giudicare se stessa? Come vede la coscienza è unica, come Dio è unico. La coscienza è come il “comandamento di Dio”, unico. ” Non uccidere”, ha detto Dio, ma sempre. Non è che la regola valga solo per lunedì e martedì posso fare strage. Saluti.
Per Carlo.
L’avevo capito. Mi sono solo permessa di aggiungere un ulteriore commento.
” dulcis in fundo”…….la mia era un ” rispondi” ad EDDI e non un commento a Roberto….come vedi è facile intendere lo scritto nel modo errato…..Il Cristianesimo ha radice negli ESSENI, e i primi scritti Cristiani risalgono a qualche secolo D.C. ( si parla dal 2° secolo con il vangelo di Matteo, o addirittura al 5° con Marco….) va da se che i primi insegnamenti ( la Buona Novella ) venivano fatti ” vocalmente ” e il “Maestro” trasmetteva il messaggio senza dare spazio ad errate interpretazioni…”verba volant” = il messaggio è compreso nel modo corretto e si può proseguire con l’ insegnamento….con lo scritto………………..regards
Scusa Carlo, ma se leggo il commento che segue qui al tuo, c’è poco da interpretare lo scritto! E non mi riferisco, ovviamente, ad un problema di traduzione…
Comunque, Roberto, pur usando un linguaggio d’importazione, ha indubbiamento espresso la sua opinione.
Per Fernando.
Credo tu abbia introdotto un ulteriore elemento che trovo molto interessante, ossia: da che punto della nostra vita noi iniziamo a sviluppare una coscienza?
Da che età?
Nasciamo tendenzialmente coscienziosi gli uni e tendenzialmente privi di coscienza gli altri?
E se sì, perché?
Sempre su questa parola, coscienza, mi ricordo del babbo che mi diceva; se la verità ti passasse ad un palmo dal tuo naso, tu non te ne accorgeresti. Siamo ogni uno di noi, un universo a parte, siamo prigionieri del nostro Karma, nonostante l´abitudine di leggere buoni libri, sempre ci faremo questa domanda, ma io chi sono?
Secondo P. Ubaldi, la vostra coscienza latente è la vostra anima eterna, quella che preesiste alla nascita e sopravvive alla morte corporea.
La vorta coscienza umana è l´organo esteriore con cui la vostra vera anima eterna e profonda viene a contatto con la realtà esteriore del mondo della materia.
Scusate, se mi permetto di trascrivere un appunto del babbo, un suo pensiero sui primi uomini, nati sulla terra, furono semidei o, adirittura Dei. Pertanto, erano in perfetta sintonia con la Causa. Erano sapienti, coscienti della propria potenza psichica e mentale. Sapevano trattare con gli animali e con le piante e nulla mancava loro per la propria sopravvivenza.
Col passare del tempo e il succedersi delle generazioni, l´attività della mente sollecitata dal mondo esterno, cominciò ad avere consistenza nell´individualità umana. Questo processo mentale andò aumentando fino al punto di diventare dominante nell´individuo a completo detrimento della sapienza che, dallo stato mentale e immanente, divenne latente nell´individuo umano.
Fernando Fancelli.
Per benedetto.
Sono d’accordo sul “mai dire mai”.
Tuttavia, il commettere un dato errore, non ci impedisce talvolta di ripeterlo.
Intendo. non sempre l’esperienza ci aiuta a divenire migliori, anche se “sappiamo”, “sentiamo”, di aver già sbagliato nello stesso modo.
@Nadia Vouch
I moralisti sono intransigenti ma non sono un esempio di virtù, la loro inflessibilità nasconde comportamenti contrari alla morale, cioè la usano come scudo per giustificare le loro azioni immorali. Noi persone semplici ci sforziamo di comportarci a modo, non sempre ci riusciamo, ma ci ripromettiamo di migliorare, non giudichiamo pechè sappiamo che “tra il dire e il fare” c’è differenza, per cui siamo tolleranti, non complici, capiamo la difficoltà, capiamo la nostra natura umana, la nostra fragilità, e spesso scopriamo l’incoerenza del nostro parlare e del nostro agire, quante volte abbiamo detto noi mai, e poi siamo stati coinvolti nell’azione negata. La morale è un monito al nostro agire, bisogna tenerne conto ma rifiutiamo i moralisti.
L’unico commento che mi viene in mente e che ben si adatta alla frase “La coscienza è una lampada accesa. Se si tengono chiusi gli occhi, non la si vede” è una definizione in Inglese (Americano): “It’s a total, utter bullshit”.
” Verba Volant, Scripta Manent” ( repetita iuvant, tradotta letteralmente, significa “le cose ripetute aiutano”.)
Ecco un caso a dimostrazione che uno scritto può essere interpretato a piacimento a seconda del Soggetto che lo legge ( Scripta Manent = si rimane nel dubbio di una esatta comprensione del messaggio)
Personalmente opto per ” ….facoltà cui compete il giudizio sul moralmente buono e retto in sé…”
regards.
Credo che ciascuna di noi riponga delle aspettative nel mondo esterno.
Per fare ciò dobbiamo avere una percezione di noi stessi rispetto all’esterno.
Ho notato, per esempio, che più a volte una persona è rigida ed inflessibile nei suoi giudizi, più si appella alla coscienza con un significato anch’esso restrittivo.
sin dai tempi più antichi ci si è tuttavia chiesti se, aldilà delle regole imposte dall’essere umano per tenere coesa una qualche forma di società, esistano delle regole insite nella natura umana e valide di per se stesse.
Insomma, è un po’ come dire la contrapposizione tra diritto naturale e diritto positivo.
“Coscienza” come “percezione di sé”?
Oppure facoltà cui compete il giudizio sul moralmente buono e retto in sé?
O essa va letta quale incitamento nei confronti della volontà?
O, ridimensionandola, è il c.d. Super Io, facendone così un problema di natura esclusivamente psicologica?
Sono queste alcune tra le domande che mi sono posto.
Comunemente, con la frase “Tizio non ha coscienza” si intende che si comporta irresponsabilmente, oppure che è sleale col prossimo suo; o, ancora, che è disonesto.
Vista come “lampada”, potrebbe voler dire che essa consiste nel percepire il mondo che ci circonda, indursi a non ignorarlo mai.
C’è materia di dibattito, insomma.
Grazie a Voi, Redazione, Benedetto e Fernando.
Per risponderVi con un mio commento attenderei ancora qualche altro intervento.
Mi permetterei di fare una considerazione: perchè, invece di limitarsi a premere il tasto con il dito verso il basso, chi lo fa non lascia anche due parole di un suo commento?
Non mi dispiace essere criticata, ma se non so su che cosa, è come parlare da soli davanti a uno specchio.
Mi farebbe piacere conoscere anche le critiche negative, perchè siamo qui per confrontarci e non per giudicarci a vicenda. Grazie.
UN´ALTRA DIMENTICANZA, GRAZIE NADIA VOUCH, PER IL TUO APPREZZAMENTO DELLA PREGHIERA DEL VIANDANTE. L´autore Pietro Ubaldi,( Umbro).
Fernando fancelli.
Scusate, mi sono dimenticato di un grande pensatore, che leggendo i suoi libri mi ha dato un pò di coscienza di quanto ancora dobbiamo imparare, KRISNAMURTI.
Fernando FANCELLI.
È UN TEMA MOLTO COMPLESSO, PARLARE DI COSCIENZA. TUTTO QUELLO CHE CI ATTIRA OGGI E DA SEMPRE, SONO IMMENSAMENTE LE COSE ESTERIORI, E POCHISSIMO QUELLE INTERIORI DEL NOSTRO INCONSCIO. SI CI SONO VARI GRADI DI COSCIENZA NELL´UOMO, L´INCOSCIENZA LA COSCIENZA E LA SUPER COSCIENZA; L´INCOSCIENZA É QUELLA CHE FA DA PADRONE, BASTA VEDERSI INTORNO OGGI E CHI NON CI CREDE, È UNO CHE INGANNA SÉ STESSO, LA COSCIENZA, APPENA LA COSCIENZA, CHE SAREBBE L´AGO DELLA BILANCIA POCO CI DIAMO IMPORTANZA, NEL SENSO OGGETTIVO E PRATICO, LA SUPER COSCIENZA, INVECE È DI POCHI ILLUMINATI COME ,JESÙ GANDI, MARIA TERESA DI CALCUTTÁ, ALBERT EINSEIN, DANTE ALIGHIERI ECC. Partendo dal principio filosofico che dice, più só, meno so, viene immediatamente l´idea di che il male di tutti i mali è l´ignoranza, e questo èpur coscienza, coscienza`”pura”. Come possiamo parlare di coscienza, sapendo che siamo ancora molto ignoranti, e estranei ai misteri che esistono nel nostro inconscio? Siamo amanti del risultato, un arrivismo smisurato che ci porta ad un caos della mente. Diceva un grande filosofo Huberto Rhoden, la mente, mente., e credo che abbia proprio ragione, se vogliamo cominciamo a fare i primi errori gia da quando bambini che si comincia a prendere coscienza sempre di più si sbaglia, appunto perché interviene la mente, e li entra il caos.
Fernando Fancelli.
@Nadia Vouch
Raccolgo l’invito che interessa casi limiti del vivere che comunque si prestano ad interpretazioni che non riguardano la coscienza di chi compie quelle azioni , discutibili sul piano etico, ma comprensibili se ci riferiamo ad una condizione psicologica di coercizione morale oppure in virtù di una dipendenza, è chiaro che le condizioni che tu hai posto non implicano una libera scelta di coscienza, ma un obbligo in stato di costrizione che in alcuni casi mette in discussione la vita.
per cui come giudicare nel merito tali azioni non tenedo conto delle particolarità che esse presentano. La coscienza intesa come censore di certi comportamenti in questi casi è sopraffatta da questioni che difficilmente si possono contrastare con il libero arbitrio.
A volte, per assecondare l’idea di un benessere si chiudono gli occhi.
Grazie Nadia per il tuo quesito..
Lancio a Voi tutti un quesito. Mettiamo il caso, fra l’altro frequente in cronaca, che una persona venga obbligata, a causa della sua appartenenza ad una certa condizione sociale, a rubare.
Accade per esempio con i ragazzini, costretti a fare i ladri dagli adulti.
Questi ragazzini sentono che è sbagliato rubare, ma non hanno altra scelta.
Possiamo dunque affermare che questi stessi ragazzini sono senza coscienza?
Lo stesso discorso potrebbe applicarsi anche per chi viene da altri obbligato a prostituirsi.
Lo stesso ancora per chi, ormai schiavo della droga, è costretto a propria volta a spacciare.
Ecco: possiamo affermare in serenità che tutte queste persone sono senza coscienza o con una coscienza difettosa?
Una fiammella che brilla in lontananza… ce la descrive Buzzati nel “Deserto dei Tartari”. Emerge dalle tenebre dell’inconscio, dove tutto è indistinto. Spenta, ci consegna a Follia e al caos istintuale.
Secondo me, la coscienza ha bisogno del pensiero, di sentimenti e di un essere vivente in cui abitare ed essere, talvolta, interpellata. Non solo, siccome essa è voce dell’Eterno, preferisce il deserto e il vuoto interiori. Un pensiero che non sforni oggetti, immagini o cose a nastro; ma un pensiero che si occupa del non tangibile, del non palpabile, dell’invisibile. L’interiorità, la spiritualità, la pietà e la riconoscenza al Creatore. Per raggiungere la coscienza è necessario mettersi in discussione, entrare in crisi (cioè mettersi in giudizio) e talvolta dubitare del nostro operare. Non è solo quell’esame che di tanto in tanto, o ogni sera , si dovrebbe presentare al nostro sentire profondo. Non è neanche la conta precisa delle nostre miserie temporali. Neppure ciò che ci manca a completare le poche opere buone, messe in agenda per chissà quando. La coscienza è l’Oltre e ci conduce verso l’Oltre. Non ha confini, non ha termini nè di tempo nè di spazio. La sua luce si alimenta del nostro sentimento e della nostra fede. Tenere gli occhi chiusi o aperti porta differenza solo nel modo, solo nella presentazione esteriore. Ciò che conta è un certo dialogo interiore, non importa la scaletta delle domande o la loro classificazione in base a certe consuetudini esteriori, con Dio si parla a braccio, così come viene, anche con le lacrime, basta solo avere coraggio di passare di lì. Saluti.
E’ proprio chiuendo gli occhi che oggi la si vede , staccando dal frastuono che in ogni occasione siamo costretti a vivere, per sentire il pulsare della vita e della nostra fragile energia che ci dice cosa dobbiamo realmente fare.
Quindi un cieco non “vedrebbe” coscienza. Mi spiace, m vedendo ciechi che conosco direi che l´autore di questo aforisma si sbaglia di grosso…
Sono d’accordo con Sergio Stagnaro perchè penso che una cosa sia la coscienza come la percepiamo noi intimamente, ossia da me verso me, interiormente; un’altra cosa sia invece il necessario, continuo e inevitabile adeguarci a degli schemi sociali.
Dire per esempio:”Ho svolto un lavoro con coscienza” può implicare in noi un sentimento diverso dal dire:”mi sono comportato con mio figlio (mio padre, mia madre, mio fratello, etc) con coscienza”.
Intendo: noi abbiamo secondo me più livelli di coscienza che dipendono direttamente dal valore che diamo a un qualcosa.
Se si ritiene più importante il lavoro oppure gli affetti, per esempio.
O viceversa.
La coscienza è una lampada accesa. Se si tengono chiusi gli occhi, non la si vede.
Questa allegoria si riferisce al nostro comportamento etico ormai assuefatto alle storture di tutti i giorni fino a diventare insensibile e scostanti di fronte a certe realtà che si presentano bisognose di aiuto, siamo diventati duri e ci nascondiamo dietro mille motivazioni pur di non partecipare alla soluzione del problema, scarichiamo la colpa addosso agli altri per lavarcene le mani, siamo bravi ad individuare le responsabilità altrui per nascondere le nostre manchevolezze, questo è tenere gli occhi chiusi, ostinatamente chiusi mentre la coscienza ci ricorda che dovremmo fare la nostra parte, che un giorno potremmo avere bisogno anche noi, che quello che accade agli altri , potrebbe accadere a noi, quindi sarebbe opportuno iniziare ad aprire gli occhi ed il cuore.
Come alimentarla? S.Teresa D’Avila ci invita a non tralasciare l’orazione mentale unico modo per non spegnere la luce che è in noi.
…nel momento storico come il nostro, dove l’ essere come il ” Daniele Bibblico ” è un’ utopia, assistiamo quotidianamente l’ operato di alcuni ( giudici e giornalisti ….ecc. ), spudoratamente di parte, che condannano l’ avversario e chiudono gli occhi per amici trovando motivo di difesa-giustificazione , dimostrano di possedere una coscienza bifronte : una con gli occhi chiusi e una con gli occho molto aperti…….
…solo che a non guardala la fiamma della lampada si spegne……..
Secondo me, bisogna fare la distinzione tra coscienza morale (Lampada) e coscienza noetica (Voce; la coscienza NON ha voce, ma è voce dell’Eterno), altrimenti nascono molte confusioni e nel nostro mondo non c’è bisogno di altre confusioni. Queste coscienze sono le due perfette emisfere empedoclee, destinate a unirsi per formare una struttura sferica di meravigliosa perfezione. Purtoppo, il risultato non è sempre così.