Trendline: cosa sono e come tirarle
Trendline: un vecchio concetto con un nuovo vestito
Le trendline sono uno dei primi strumenti di analisi grafica che i neofiti del trading imparano ad usare. Servono a descrivere l’andamento del prezzo, o almeno così ci viene insegnato. Ma il problema è che le trendline permettono di descrivere le dinamiche dei prezzi in modo corretto soltanto a posteriori, quando si guardano i grafici sul passato e si cerca di capire perché i prezzi si siano mossi in un certo modo in un certo lasso di tempo.
Trendline: i limiti dell’approccio tradizionale
Uno dei principali limiti delle trendline “tradizionali” (perché ho aggiunto questo suffisso vi sarà chiaro proseguendo nella lettura) è che non sono univoche, nel senso che su uno stesso grafico è possibile disegnarne moltissime, a seconda di ciò che si vuole vedere e/o dimostrare. Un esempio molto calzante lo potete vedere nella figura qui sotto, riferita ad un titolo azionario italiano in tempi recenti:
Non importa a quale titolo sia riferito il grafico: ciò che importa è che in un arco temporale di sei mesi è possibile tracciare almeno dieci diverse trendline su quel grafico. E il fatto è che nessuna di quelle trendline è migliore di un’altra in generale: ciascuna di esse descrive bene il movimento di prezzo in un determinato lasso temporale; qualcuna per il breve termine, qualcuna per il medio; qualcuna per il trend rialzista, qualcuna per quello ribassista.
A posteriori è facile dire quale trendline avrebbe risposto meglio all’andamento del prezzo: è fare analisi di trend a priori che è difficile, quando la parte destra del grafico deve ancora compiersi.
C’è chi preferisce tracciare le trendline sui grafici a linea, perché, alcui sostengono, il prezzo di chiusura è più importante dei picchi di minimo e massimo, specialmente se il titolo in oggetto è poco liquido e quindi soggetto a frequenti spike in un senso e nell’altro. In effetti non sarebbe sbagliato in simili casi evitare di tracciare trendline che toccano punti di prezzo toccati soltanto da rari scambi di modesta entità.
Trendline: il problema principale è come usarle
Ad ogni modo il problema principale delle trendline tradizionali è l’utilizzo che se ne può fare. I casi sono due: o si cerca di sfruttarle come punti di entrata in accordo con la direzione primaria del trend, oppure si cerca di sfruttarle per identificare possibili punti di breakout, così da poter entrare in quei momenti nei quali si ritiene possibile che il trend stia cambiando direzione.
Se l’utilizzo che si fa delle trendline è di tipo trend following, allora ci sono alcune problematiche da affrontare: innanzitutto è piuttosto difficile identificare trendline che vengono toccate con precisione svizzera al di là dei due punti che servono a tracciarle; la maggior parte delle volte in cui il prezzo ritorna verso la trendline, infatti, può riprendere il trend senza toccarla, oppure può perforarla di poco e poi ritornare sui propri passi. Si osservi la figura seguente, che riporta il grafico giornaliero di un altro titolo azionario italiano in tempi recenti:
Applicando al grafico soprastante la logica dell’acquisto sul test della trendline si sarebbe potuto acquistare in uno dei due punti indicati dalle frecce blu. La logica sarebbe stata corretta, in fondo: identifico un trend rialzista mediante una trendline che unisce due minimi crescenti, quindi aspetto che il prezzo torni a testare la trendline e quando lo fa compro sotto l’aspettativa che il prezzo rimbalzerà; perché è questo che fanno le trendline di supporto: spingono di nuovo verso l’alto il prezzo quando vengono testate. Il problema è che se si guardasse bene il grafico si scoprirebbe che le trendline (clicca qui per saperne di più http://www.emiliotomasini.it/trendline/ ) in figura non sono state avvicinate come sembra dal prezzo, perché se tracciate in modo da passare esattamente per i primi due punti passerebbero piuttosto lontane dal terzo, in entrambi i casi. Quindi saremmo costretti a definire un criterio di prossimità: in sostanza dovremmo concedere al prezzo una certa tolleranza riguardo al suo avvicinamento alla trendline, o anche alla sua perforazione (perché il prezzo potrebbe violare di poco la trendline e poi rimbalzare lo stesso); quanto deve avvicinarsi alla trendline (o perforare la trendline stessa), allora, il prezzo, per poterci spingere ragionevolmente a comprare? Questo concetto complica non poco la lettura del grafico e la codifica del comportamento operativo corretto.
Trendline: il problema della prossimità non è l’unico
E come se non bastasse i problemi non sono finiti. In effetti una volta entrati in posizione dovremmo avere ben chiari in mente altri due elementi fondamentali di ogni strategia di trading: quale stop loss adottare per una corretta gestione del rischio, e a quale target prendere profitto, per una corretta gestione del rendimento. Potremmo basare queste scelte sulla semplice trendline che abbiamo utilizzato per il setup operativo? Qui il discorso si complica ulteriormente.
L’alternativa consiste nell’utilizzare le trendline non come punti di possibile ripresa del trend originario, bensì come possibili punti di svolta, cioè di cambiamento della direzione. In questo senso le trendline devono essere utilizzate in modo completamente diverso: se cerco un punto di acquisto devo identificare una trendline discendente, ossia una resistenza, originata da due massimi discendenti, alla cui rottura rialzista posso attendermi un cambio di direzione del prezzo, quindi un segnale che mi dica di acquistare.
Si osservi la figura seguente per capire il meccanismo:
La trendline richiede due massimi discendenti per poter essere tracciata. Una volta identificata si attende che il prezzo la violi al rialzo, e quando questo succede si compra.
Trendline: anche l’acquisto sui breakout presenta alcune problematiche
Anche questo comportamento a prima vista può apparire assolutamente corretto, ma reca con sé tanti problemi quanti l’altro: dove si mette lo stop loss e dove si prende profitto, per citarne due già visti in precedenza, ma non solo. Un problema di ben altra portata: siamo sicuri che se fossimo stati lì davanti in quel periodo avremmo tracciato proprio quella trendline? In fondo in mezzo ai due massimi utilizzati per disegnarla, e tra il secondo massimo e il punto di breakout ci sono stati altri punti di massimo che avrebbero potuto essere uniti a formare altre trendline. E la domanda quindi torna a tuonare: siamo sicuri che avremmo disegnato proprio quella trendline in quel preciso momento? A posteriori è facile dirlo, ma in tempo reale è molto più complicato.
C’è anche un’altra domanda interessante: se non avessimo saputo cosa è successo dopo, come avremmo gestito lo stress di quelle dodici giornate in cui il breakout non ha prodotto una inversione di trend, quanto piuttosto una fase laterale estenuante?
Sono tutti problemi che devono essere affrontati prima di operare, così da sapere sempre gestire qualsiasi situazione nel miglior modo possibile. Il fatto è che le trendline tradizionali non sono tanto semplici da maneggiare, per tutti i problemi discussi in precedenza.
Trendline: la soluzione esiste
Ed è proprio in questo contesto che si fa strada un modo veramente innovativo di utilizzare le trendline: una tecnica che a dire il vero è nata negli anni Ottanta del secolo scorso, ma che in Italia ha cominciato a diffondersi soltanto da pochi anni. Sto parlando delle trendline di Thomas De Mark, il primo trader al mondo ad aver codificato un modo univoco di disegnare e sfruttare le trendline, con indicazioni precise in materia di gestione delle posizioni aperte. Potete trovare la descrizione della tecnica delle trendline di De Mark in questo articolo http://www.emiliotomasini.it/trendline/