La situazione è molto più pericolosa di quanto il mondo degli investimenti non metta in evidenza – spiega Lorenzo Raffo su LombardReport.com – anche perché la pervicacia con cui la Bce rifiuta di normalizzare la politica monetaria rischia di aggravare una realtà già molto condizionante per i piccoli e medi risparmiatori. Cosa accade? Che essere investiti oggi su Btp e Bund, ma non solo, significa una perdita secca in termini di rendimenti reali. Negli ultimi due anni invece la forbice era nettamente minore, poiché a yield ridottissimi si contrapponeva un’inflazione a zero.

I numeri sono semplici da spiegare. Il tasso medio in emissione di Btp e Bund è molto basso: 0,73% (a fine settembre) per i primi e poco sopra lo zero per i secondi. L’inflazione però sta salendo: quella ufficiale è in Italia all’1,1% (dato di settembre), ma era già all’1,9% ad aprile, mentre in Germania si assesta all’1,6%. Ciò significa che il divario fra il primo dato, cioè il tasso medio all’emissione, e quello del costo della vita si allarga comportando una perdita relativamente allo yield depurato appunto della svalutazione. Certo c’è chi ha in portafoglio Btp e Bund acquistati a condizioni molto più favorevoli rispetto alle quotazioni di oggi e ai valori delle nuove proposte del Tesoro, ma il peso sull’insieme di coloro che si trova in tale status si riduce sempre più.

La comitiva è vasta  – chiosa Lorenzo Raffo su LombardReport.com – sia chiaro! Tutta l’area Ue vive naturalmente questa nuova realtà, venuta a galla negli ultimi mesi, proprio a causa del rialzo dell’inflazione. Con noi ci sono anche Gran Bretagna, Stati Uniti, Polonia e altri Paesi dell’est Europa, che non hanno adottato l’euro. Ma siccome Btp e Bund risultano quelli più massicciamente presenti nei patrimoni degli italiani, è a loro si deve guardare. Sulla curva dei rendimenti per superare l’1,1% dell’inflazione italiana occorre posizionarsi almeno su un Btp a 7 anni, ma il 10 anni è solo di poco sopra, senza tenere conto poi di oneri fiscali e commissioni di intermediazione. Su quella tedesca la situazione è ancora peggiore: l’1,6% non si ottiene nemmeno con il trentennale!

Il quadro potrebbe addirittura aggravarsi nel 2018, rendendo Btp e Bund ancora meno interessanti, perché il rialzo dei tassi avverrà (se avverrà) nel 2019, mentre l’inflazione non è certo destinata a ridursi. E allora che fare? Analisi di Lombard Report dimostrano che il prossimo anno solo alcuni Paesi emergenti riusciranno probabilmente a riconoscere yield positivi: in particolare si tratterà di Argentina (circa il 9% di saldo attivo), Russia (5,5%), Brasile (5%), Messico (3,5%) e Sud Africa (3%). Attenzione però: la stima si riferisce a titoli di Stato nelle valute locali e non in dollari, questi ultimi i soli presenti sulle piattaforme di casa nostra. Gli altri sono quasi soltanto acquistabili sui mercati “Otc”, mettendo non pochi risparmiatori nella condizione di dover dire “bye bye”.

In sostanza – conclude Lorenzo Raffo su LombardReport.com – oggi investire o restare investiti (salvo situazioni molto favorevoli di prezzi di carico bassi, eredità soprattutto della crisi del debito sovrano del 2011) su Btp e Bund ha davvero poco senso, sebbene i media generalisti – e perfino quelli finanziari – non lo dicano. Solo quando la situazione dei tassi si sarà ristabilita i governativi europei potranno tornare d’attualità. Ma di tempo ce ne vorrà tanto, sempre che nel frattempo non intervenga qualche altra stramaledetta crisi, che né i politici né la Bce sapranno adeguatamente anticipare.

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