Del Neo liberismo e di altre illusioni… 1 di 2
“Passano gli anni, la crisi non passa, la povertà aumenta – scrive Virginio Frigieri, direttore responsabile di LombardReport.com – la politica, quando non latita, arranca e non si trova un limite al peggio. In Italia non si riesce manco più a comprare un francobollo in Tabaccheria. L’altro giorno per trovare uno stramaledetto francobollo da un euro e spicci, ho dovuto girare 4 tabaccai. Il primo dice che li ha ordinati ma non glieli hanno ancora consegnati, il secondo li doveva andare a ritirare nel pomeriggio, e dava la colpa alle politiche sbagliate di Poste Italiane, il terzo gestito da cinesi, alla parola francobollo mi ha guardato come un marziano e ha detto che loro non tengono francobolli. Nell’insegna sotto alla T di Tabacchi c’è scritto e Valori Bollati. E’ normale che un tabaccaio non tenga i francobolli? Non lo so ma tant’è. Al quarto tabaccaio finalmente ne ho trovato uno da 1,15 euro (… sono 5 centesimi in più mi ha detto ma mi sono rimasti solo questi … alla mia incredulità, la moglie del tabaccaio ha rincarato la dose dicendomi che ormai non li tengono più nemmeno in molti uffici postali!.
Mentre tornavo a casa incaz…o come un biscia ripensavo a Modena e Mantova (dove ho lavorato per 27 anni). A Modena avevamo i Duca d’Este, a Mantova imperavano i Gonzaga… gente seria che se rompevi i coglioni ti appendevano al muro nel gabbione di ferro (visibile ancora oggi) e ti lasciavano a seccare come i pomodori in estate e ti tiravano giù quando avevi smesso di respirare.. Gente che batteva moneta propria, mica bruscolini e mica dovevano chiederli alla BCE… eppure qualcosa non ha funzionato e di compromesso al ribasso, in compromesso al ribasso, daie oggi e daie domani siamo passati dai Duca d’Este e i Gonzaga, ai Giovanardi, ai Tabacci e tutti gli altri … ma come ca..spiterina è successo? Ma se in questo paese non siamo manco più capaci di far trovare i francobolli dal Tabaccaio, è bene che ce ne andiamo tutti quanti affan…. e chi s’è visto s’è visto!
Chiusa la parentesi francobolli era un po’ di tempo che pensavo di scrivere qualcosa sul neo liberismo – continua Virginio Frigieri, direttore responsabile di LombardReport.com – e tutte le balle che ci hanno propinato in questi decenni; negli anni ’70 eravamo troppo giovani per riuscire a focalizzare il quadro che si andava delineando, ma nonostante la nostra ingenuità intuivamo già allora che qualcosa non quadrava e lo spiego nel prologo. Poi qualche tempo fa su Youtube mi sono imbattuto in una lunga intervista all’economista Marco Bersani che parlava del suo libro “Dacci oggi il nostro debito quotidiano: strategie dell’impoverimento di massa” uscito nel 2017 e ascoltando con attenzione questa video intervista, ho capito che non c’era bisogno di aggiungere nulla. C’è voluto un po’ di tempo a trascriverla, ma mi pare sviluppi in maniera molto articolata quello che è successo e che i più giovani (essendo arrivati dopo) fanno spesso fatica a focalizzare.
Prologo: Anni ‘70
Correva la metà degli anni ’70, eravamo giovani e tutto andava bene. Nel nord Italia chi voleva lavorare, in pochissimo tempo trovava, a prescindere da quale titolo di studio avesse conseguito. Pure i pochi che non avevano fatto le scuole medie superiori se volevano lavorare, trovavano col diploma di terza media. Se poi come nel caso mio e di altri ragazzi come me avevi frequentato l’Istituto Tecnico Industriale Provinciale E.Fermi a Modena, non dovevi nemmeno perdere tempo a scrivere curriculum, perché erano le aziende stesse a richiedere il numero di telefono e l’indirizzo in segreteria e ti venivano a cercare a casa o ti telefonano per sapere se avevi fatto il servizio militare se pensavi di fare l’università o se volevi andare a lavorare da loro … Una bella differenza rispetto ad oggi!. Erano gli anni dove cominciavano ad imporsi in Italia i prodotti di meccanica ed elettronica Giapponesi (soprattutto moto, macchine fotografiche e apparecchi HI-FI. E il modello giapponese dettava scuola e tutti si riempivano la bocca col “just in time” da non confondere con un famoso pezzo rock dei Deep Purple che era “Child in time”. Erano gli anni in cui si cominciava a vedere nelle aziende grosse l’introduzione di sistemi di automazione ed efficientizzazione dei processi produttivi. Erano gli anni dei primi computer, ingombranti quanto costosi (i primi PC sarebbero arrivati solo 10 anni dopo a metà degli anni ’80). A Modena – continua Virginio Frigieri, direttore responsabile di LombardReport.com – c’era la Fiat Trattori e ricordo ancora con emozione i primi bracci meccanici robotizzati per la saldatura di parti metalliche e per la verniciatura dei parafanghi e dei cofani motore. Prima passavi e vedevi degli operai con occhiali e mascherina dentro a questi tunnel che spruzzavano la vernice con pistole a mano mentre dopo tutto andava in automatico. Poco lontano c’era la Panini (si quella delle figurine) dove lavorava il mio amico Marco. Anche lui mi raccontava di nuovi macchinari tedeschi per la stampa e di fustellatrici che sostituivano il lavoro di parecchie persone. Ovunque ti girassi, in quegli anni non c’era settore dell’industria che non fosse in grande fermento di innovazione tecnologica, Accadeva nelle ceramiche di Sassuolo, come nel settore della maglieria di Carpi e nell’industria tessile in generale, nell’industria alimentare come nei settori del packaging e nei trasporti. I nostri nonni e i nostri genitori molti dei quali venivano dalla campagna e dall’agricoltura si chiedevano, se le aziende avessero continuato ad assumere diplomati e laureati, chi avrebbe fatto il loro lavoro poiché non sarebbe stato possibile dare a tutti un posto in ufficio dietro a una scrivania. Io e Marco abitavamo a 200 metri di distanza e soprattutto nelle calde notti estive prima di ritirarsi per andare a dormire, ci fermavamo a fumare un paio di sigarette e ad immaginare il nostro futuro dietro l’onda di tutti quei cambiamenti. Fantasticavamo su macchine che avrebbero prodotto altre macchine senza intervento umano e altre cose, ma ogni volta, così come nel Monopoli ad ogni giro si ripassa da Vicolo Corto e Vicolo stretto, noi finivamo sempre nel vicolo cieco! E la domanda a cui non si trovava risposta era sempre la stessa. Se fino ad ieri per costruire una lavatrice servivano supponiamo 5 persone ed oggi con tutta la moderna tecnologia e i giapponesi che spingono (fermate quei gialli!) si riesce a fare la stessa lavatrice con solo tre persone e proseguendo di questo passo magari tra venti o trentanni basterà una persona sola che controlla il lavoro di macchine, (virgola) COME FARANNO QUEI QUATTRO POVERACCI CHE NON HANNO PIÙ’ IL LAVORO A COMPRARSI LA LAVATRICE???
Subito dopo veniva l’atroce dubbio: si perché la mia generazione (io sono del ‘55) non è quella che fatto il ’68 ma quella subito successiva sfiorata dal ’68. La generazione del ’68 è quella nata dal dopoguerra – ricorda Virginio Frigieri, direttore responsabile di LombardReport.com – fino ai primi anni ’50 che nel sessantotto aveva tra i 18 e i 25 anni. Anche loro sono stati fortunati come noi più dei nostri genitori e dei nostri nonni, che hanno conosciuto la guerra, ma loro, a differenza nostra, sono stati giovani con pochi soldi in tasca. Noi siamo stati giovani con buoni posti di lavoro e soldi in tasca sicuramente oltre quello che ci serviva. Quando racconto ai miei nipoti cosa si riusciva a fare con 50-60 mila lire al mese (25-30 euro odierni) (che erano meno di un sesto del mio stipendio da neo diplomato) quando avevo 20-22 anni, faticano a credermi perché oggi neanche con 250-300 euro al mese faresti le stesse cose …
E allora il dubbio che ci angosciava era quello di essere … capitati al momento giusto; che noi saremmo stati probabilmente la generazione più fortunata almeno per i successivi 50-60 anni e che i nostri figli e i nostri nipoti avrebbero dovuto tornare indietro e tornare a vivere come i nostri genitori se non come i nostri nonni.
In 40 anni in cui sono stato informatico non ho mai visto firmare un progetto di sviluppo senza che vi fosse un congruo beneficio in termini di gg.uomo/anno risparmiati.
2017
Dacci oggi il nostro debito quotidiano: strategie dell’impoverimento di massa
E’ il titolo del libro raffigurato sotto che vi consiglio di leggere. Se non fornisce tutte le risposte, quantomeno conferma molti di quelli che in gioventù erano i nostri dubbi.
Circa un anno fa l’economista Marco Bersani, in una lunga intervista racconta con parole comprensibili a chiunque, come da quegli anni ’70 ricchi di speranze e di benessere si sia arrivati alla situazione attuale.
Di seguito, come annunciato sopra, riporto l’intera intervista rilasciata da Marco Bersani a BYOBLU.
D: Marco Bersani fondatore di Attac Italia: fino a pochi anni fa vivevamo nella favola neo liberista ed oggi ci troviamo tra le mani un libro dal titolo dacci oggi il nostro debito quotidiano” strategia dell’impoverimento di massa. Cosa è successo?
R: Beh, per spiegare cos’è successo dovremo partire esattamente da che cos’è la favola neoliberista e quindi dobbiamo tornare indietro agli anni settanta del secolo scorso. In quegli anni avvengono alcune innovazioni tecnologiche senza precedenti, per esempio nel campo dei trasporti, nel campo della comunicazione, nel campo dell’informatizzazione e sono innovazioni che modificano radicalmente il modello produttivo;
in particolare separano la produzione economica dai confini nazionali. Fino ad allora l’economia italiana era quello che si produceva in Italia, l’economia francese ciò che si produceva in Francia etc … e poi c’era il commercio estero fra i vari paesi . Queste innovazioni tecnologiche rendono possibile una produzione sganciata dai confini nazionali: per fare un esempio oggi una macchina Fiat è prodotta in 25 paesi e tra l’altro, paradossalmente, non è prodotta in Italia!!. Questa enorme possibilità creata da queste innovazioni tecnologiche ha permesso l’avvento della cosiddetta dottrina neo liberale e cioè sostanzialmente qualcuno su queste innovazioni tecnologiche reali ha innescato la favola liberista che sostanzialmente suonava così:
bene, grazie a queste innovazioni tecnologiche possiamo trasformare l’intero pianeta in un unico grande mercato e anzi, se eliminiamo tutti i vincoli sociali e ambientali, tutti i diritti, e permettiamo al mercato di essere l’unico regolatore sociale, tutto questo produrrà un enorme ricchezza che a cascata, senza eliminare le disuguaglianze sociali, ma a cascata, la ricchezza prodotta sarà talmente alta che produrrà benessere per tutti.
Questa è la favola liberista iniziata negli anni ‘70 che non é entrata in crisi oggi, ma era in crisi già nella seconda metà degli anni ’80. Perché? Perché di quella favola si è realizzato tutto tranne l’ultima parte.
Si è effettivamente prodotto un’enorme quantità di beni e di merci (per esempio la natura se n’è accorta e la contraddizione ecologica non è mai stata così drammatica come in questi anni) ma non c’è stata alcuna redistribuzione sociale; anzi il pianeta già alla fine degli anni ’80 si é trovato diviso drasticamente in due parti: una parte maggioritaria composta da persone talmente impoverite da non poter comprare alcuno dei beni prodotti e una parte minoritaria, quella cui il nostro mondo appartiene (l’occidente appartiene) che nell’arco di due decenni aveva sostanzialmente comprato tutto. Perché?
Perché io posso con miliardi di pubblicità convincere qualsiasi persona che la sua automobile va cambiato ogni due anni ma nessuna persona comprerà dieci automobili a testa … io posso convincere con miliardi di pubblicità che l’l-pad che uno ha in tasca in questo momento, il mese prossimo sarà obsoleto perché esce un nuovo modello ma nessuno comprerà 10 I-pad a testa … cioè c’è un limite di saturazione, raggiunto il quale o io trovo nuovi acquirenti per queste merci, oppure mi trovo in un’ impasse economico. Questo è esattamente l’impasse che questo modello ha riscontrato già a metà degli anni ’80. Come si è provato a superare questo impasse? Attraverso lo spalancare le porte alla cosiddetta finanziarizzazione dell’economia! Cioè è come se il modello avesse deciso, non potendo più fare profitti adeguati vendendo merci, di fare profitti adeguati semplicemente scambiando denaro e quindi si sono aperte le porte la cosiddetta economia virtuale, finanziaria che oggi ha raggiunto dimensioni da follia … solo un paio di dati perché sia chiaro a tutti. Oggi il commercio estero di beni fra stati è pari a ventimila miliardi di dollari. Commercio estero dei beni fra stati vuol dire che l’Italia produce penne e le vende alla Francia, la Francia produce agende e le vende all’Italia: tutto questo insieme sono ventimila miliardi di dollari l’anno. Sui mercati finanziari ventimila miliardi di dollari si scambiano in cinque giorni.
Questo vuol dire:
- da una parte che la dimensione dei mercati finanziari supera di gran lunga i numeri dell’economia reale
- e dall’altra, vuol dire anche che sui mercati finanziari per 360 giorni all’anno si fanno transazioni finanziarie, cioè scommesse su beni, servizi, e asset che non hanno alcun collegamento con l’economia reale.
Anche qui per fare un esempio: su cento transazioni finanziarie relative al prezzo del grano, una è fatta da qualcuno che produce distribuisce o commercia il grano, le altre 99 sono fatte da fondi di investimento che non sanno nemmeno cos’è il grano ma tutti i giorni scommettono sul prezzo del grano e lo determinano.
Per dare un’altra cifra della dimensione dei mercati finanziari potremmo dire che mentre il valore della produzione della ricchezza mondiale cioè il PIL del pianeta é pari a 75.000 miliardi di dollari l’anno, nei mercati finanziari senza alcun controllo quindi diciamo nel cosiddetto settore della finanza ombra cioè quella che non passa per le borse transitano dodici volte il valore del PIL mondiale (ndr: 12 ai tempi dell’intervista, oggi si stimano oltre 30 volte). Ad oggi, quindi siamo di fronte a una bolla gigantesca che da una parte ha permesso la prosecuzione di profitti giganteschi per 25 anni, ma che porta con sé alcuni problemi, per esempio il fatto che le bolle diventano un circolo vizioso. Anche qui per dare una dimensione storica, se per tutto il novecento le crisi finanziarie di un certo livello avevano una periodicità decennale cioè c’era una crisi finanziaria tra virgolette sistemica, ogni dieci anni, negli ultimi vent’anni anni queste crisi finanziarie sistemiche sono diventate prima con una periodicità biennale poi annuale fino al 2007/2008 in cui è esplosa la crisi economico finanziaria globale nella quale siamo ancora immersi.
Allora per poter superare questa diciamo “costruzione di bolle che preparano bolle successive” almeno una parte dell’enorme massa di denaro acquisita sui mercati finanziari deve essere reinvestita in qualcosa di reale. Qui però il sistema si trova con lo stesso problema che avevamo negli anni ’80, perché la parte impoverita del pianeta è stata ancora di più depredata e non può più comprare nulla, mentre la parte che ha una capacità d’acquisto a cui noi apparteniamo, anche se questa capacità di acquisto si è ridotta ha però già comprato tutti i beni possibili e quindi il modello deve sostanzialmente trovare beni da far acquistare a questa parte di popolazione che prima non acquistava.
Allora quali possono essere questi beni?
beh se io comincio a dire che l’istruzione non è un bene comune ma un bene economico vuol dire che una parte della popolazione smetterà di studiare ma chi se lo può permettere pagherà per essere istruito.
Se io comincio a dire che la salute non è un diritto ma è un bene economico vuol dire che una parte della popolazione morirà perché si curerà in ritardo, ma chi se lo può permettere pagherà per aver la salute.
Se io dico che l’acqua non è un bene comune ma un bene economico ho fatto bingo perché per fare acquistare automobili, I-pad eccetera devo spendere miliardi in pubblicità, mentre non ho nessun bisogno di pubblicità per far consumare acqua, visto che le persone sono necessitate a consumare acqua tutti i giorni per sempre, e se quell’acqua è mia, io ho un mercato garantito.
Cosa voglio dire con questo? che l’attacco ai beni comuni ai diritti a tutto quello che finora era considerato sostanzialmente lo stato sociale è necessario a questo modello per poter superare la propria crisi sistemica; questo per esempio significa che non è più possibile un liberismo temperato come qualcuno in passato aveva creduto. Perché?
Perché è esattamente la parte di compromesso fra i profitti e i diritti che era sostanziata dallo stato sociale, oggi è esattamente la parte che è sotto attacco. Ovviamente se io devo attaccare i diritti, i beni comuni, la democrazia non posso più raccontare la favola liberista …
cioè devo trasformare la favola liberista in un incubo in qualcosa che desti paura perché se io andassi da una comunità e dicessi: buongiorno da questo momento noi dobbiamo privatizzare la salute privatizzare l’istruzione, privatizzare l’acqua i beni comuni e togliervi i diritti del lavoro e togliere la democrazia siete d’accordo?? E’ chiaro che questa comunità si esprimerebbe in maniera contraria, ma se io spavento questa comunità quindi dico: attenzione siamo vicini al default! attenzione siamo in un’emergenza, attenzione siamo vicini al burrone, attenzione la crisi è spaventosa, questa comunità continua a non pensarla come vorrebbe il modello dominante ma intanto si spaventa … si spaventa e comincia a dire che forse bisogna seguire quello che ci stanno dicendo perché la situazione è diventata di emergenza. La trappola del debito pubblico serve esattamente a questo passaggio.
Io ricordo che Milton Friedman uno dei teorici del modello neo liberista diceva una frase che andrebbe scritta in tutte le scuole di ogni ordine e grado: “Lo Shock serve a far diventare politicamente inevitabile quello che è socialmente inaccettabile”. Allora la trappola del debito ha esattamente questo scopo!.
Io attraverso l’enfatizzazione del problema del debito pubblico spavento una comunità, per esempio l’Italia, per chiedere la rassegnazione di questa comunità alla prosecuzione delle politiche liberiste di privatizzazione di esportazione di beni comuni e della democrazia. E questo é esattamente quello che é avvenuto con la crisi del debito, in particolare in Italia quando nell’agosto del 2011 l’unione europea ha mandato la famosa lettera all’allora governo Berlusconi con i 26 punti di azione che avrebbe dovuto mettere in campo il governo per poter rispondere alla necessità di una maggiore stabilità finanziaria: il governo Berlusconi si è rivelato incapace di eseguire questo mandato e questo è il motivo per cui tutta la seconda parte del semestre, la cena degli italiani è stata disturbata dai telegiornali che ogni momento raccontavano questa famosa parola dello” spread”, cioè della differenza fra i tassi d’interesse pagati dalla Germania sui propri bond cioè sulla emissione dei titoli e i tassi di interesse pagati dall’Italia; ci hanno terrorizzato per sei mesi con questa parola finché hanno catapultato Monti al governo del paese, e improvvisamente questa parola è sparita perché da quel momento è arrivato un governo che era in grado di poter rendere operative le politiche di vincolo finanziario dell’unione europea.
Questo è il motivo per cui si è passati dalla narrazione della favola liberista che dice fate fare a noi che ci sarà benessere per tutti, all’incubo liberista che dice attenzione questo modello per stare in piedi deve andare avanti in questa direzione sia che voi siate consapevoli sia che voi siate consenzienti sia che non lo siate. Tanto per capirci se non credete più che privato è bello sappiate che privato è obbligatorio, ineluttabile e quindi potete non essere più d’accordo con noi, ma l’importante è che accettiate che questa sia la direzione che viene intrapresa in questo senso il modello in questa fase sembra più feroce perché si esprime direttamente attacca direttamente i diritti ma in realtà un elemento di gigantesca debolezza : se ci pensiamo il modello è più forte quando ha il consenso delle persone quando invece ottiene solo la rassegnazione delle persone è chiaro che un modello che resiste finché dura la rassegnazione delle persone: il giorno che le persone smettono di rassegnarsi e cominciano a ribellarsi non c’è più alcun altro elemento che li tiene legati alla catena d’altronde le difficoltà di questo modello si vedono anche per esempio nella comunicazione..
una comunicazione che potremmo dire schizofrenica. Se uno guarda i telegiornali, talk show o diciamo le trasmissioni di opinione, l’immagine che viene veicolata è quasi sempre quella dell’uomo indebitato, colpevole del proprio debito perché ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, perché lavoriamo troppo poco, perché andiamo in pensione troppo presto etc.. c’è l’idea dell’uomo colpevole del suo debito che quindi deve ripagarlo. Poi però c’è la pausa pubblicitaria e improvvisamente l’immagine che viene veicolata è quella dell’uomo innocente nel consumo; dell’uomo che deve essere immerso nel paradiso delle merci che deve poterle pretendere tutte che ne ha diritto che deve essere orgoglioso di comprare … termina la pausa pubblicitaria e ritorna l’immagine dell’uomo colpevole del debito. E’ chiaro che un modello che instaura una comunicazione così schizofrenica perché da una parte deve colpevolizzare ma dall’altra ha bisogno delle persone che continuano a comprare e quindi deve stimolare questa idea che il consumo è un diritto, è un modello che è in chiara difficoltà e in contraddizione pesante. Quindi diciamo che noi siamo in presenza di un modello che ha inasprito il proprio modo di esprimersi perché ha una maggiore debolezza di prima, perché mentre prima questo modello si fondava su un certo consenso, oggi si fonda semplicemente sul fatto che le persone sono impaurite e spaventate e quindi si comportano, come ogni psicologia di massa ci insegna quando una comunità è impaurita e spaventata. Da una parte si crea una frammentazione sociale quindi un isolamento di ciascuna persona e dall’altra si crea l’adesione alla narrazione dominante perché se io mi identificativo con chi è forte, io penso che in qualche modo posso cavarmela.. questa è la situazione in cui noi siamo adesso ed è legata all’idea ideologica con cui è stata raccontata questa crisi..
Già il fatto stesso che viene chiamata crisi senza alcun aggettivo aggiunto al sostantivo ci dice che:
- uno ci stanno raccontando che una crisi di tutti e invece non è vero perché chi faceva profitti prima ha continuato a farne e addirittura ha incrementato i propri profitti quindi non é vero che siamo tutti sulla stessa barca .. esistono alcuni settori della società molto ben limitati che su questa crisi continuano ad arricchirsi ed esiste invece una grande maggioranza sociale che si sta impoverendo
- dall’altra il fatto che io chiamo questo questa situazione crisi e basta è perché voglio trasmettere la transitorietà della crisi stessa… se io dico che un mio amico in crisi significa che il suo equilibrio finora raggiunto è entrato in difficoltà che prima o poi troverà un nuovo equilibrio o un disagio conclamato ma la fase intermedia è una fase temporanea tant’è vero che ci raccontano ogni anno che all’inizio dell’anno prossimo si intravede la ripresina e siamo dal 2007 che ogni anno ci raccontano che l’anno successivo sarà quello della ripresa.. in realtà questa non è una crisi temporanea è una crisi sistemica, cioè del sistema e il sistema ha pensato che, per poter superare la propria crisi deve mettere sul mercato tutto quello che prima era fuori mercato. Ai cittadini e alla comunità resta il problema di capire se quella direzione è quella che soddisfa i bisogni e diritti di tutti o se forse è meglio superare questo modello e intraprendere una strada nuova.”
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