Donald Trump: "Combatti duro, combatti sempre"

Donald Trump: “Combatti duro, combatti sempre”

Nel mondo della motivazione, della formazione e della crescita personale esistono due macrofiloni.
Da una parte quello spirituale: insegna che la vera felicità non deriva da quello che hai, ma da chi sei. Si parla, quindi, di come raggiungere la serenità; di meditazione; di yoga; di amare il prossimo; di perdonare; di raggiungere l’illuminazione. Illustri esponenti di questa scuola di pensiero sono Eckhart Tolle, Deepak Chopra, Robin Sharma, Wayne Dyer, Louise Hay.
Poi c’è un’altro filone. Quello che mette la crescita spirituale in secondo, o anche in terzo, piano. E punta tutto sulla crescita del conto corrente. Ne fanno parte coloro che insegnano a diventare ricchi. Come Robert Kyosaki, autore del best-seller Padre ricco, padre povero; o come Harv Eker, che ha scritto I segreti della mente milionaria. I loro libri contengono, comunque, qualche spunto interessante di crescita interiore. E come Donald Trump. Che era noto, ben prima di diventare presidente degli Stati Uniti, non solo come costruttore edile ma anche come guru dell’arricchimento. A cominciare dal suo libro How to get rich (2004), in cui lanciò lo slogan Fight hard, fight always (combatti duro, combatti sempre).
Come maestro del fare i soldi, Trump è autorevole. Perché è uno degli uomini più ricchi d’America. Mentre altri, che hanno la pretesa di insegnarti ad arricchirti, sono poveri in canna. E se guadagnano, è solo grazie ai loro costosi seminari in cui spiegano come diventare milionari. Confesso, da motivatore e coach, che questo non è il mio settore: non essendo io ricco, sarei poco credibile se volessi insegnare la ricchezza.  Però so che da lustri Trump è l’illustre capofila di quel filone di pensiero neo-machiavellico per cui il fine giustifica i mezzi. Come spiegava lo stesso Donald nei suoi libri e nei suoi corsi, per scalare il successo non bisogna guardare in faccia a nessuno. E bisogna essere disposti a tutto. Perché il successo arride a chi è disposto a sgomitare, a pestare i piedi e a farsi crescere tanto pelo sullo stomaco.
Con questi principi, The Donald è arrivato al vertice. In campo professionale. E in campo politico. Né il mondo del business, né tantomeno quello della politica sono fatti per le mammolette. Ma per i pugili. E lui, tra tutti i pugili, è quello che si vanta di picchiare più duro. E che non disdegna di tirare colpi sotto la cintura, e calci nei testicoli.
In novembre, negli Usa, si va a votare. E Trump vuole una sola cosa, più di tutte al mondo: essere rieletto. Pertanto combatterà come non mai per farcela. Per sua fortuna ha come avversario Joe Biden, un anziano che sembra più vecchio dei suoi 77 anni, scialbo e poco carismatico: mentre lui di carisma e di testosterone ne ha da vendere. Fino ad agosto Donald sembrava condannato alla sconfitta, a causa della sua gestione catastrofica del Covid e della conseguente crisi economica. Ma non è uomo da scoraggiarsi. E sta già rimontando. Con dei colpi ben piazzati, sopra e sotto la cintura dell’avversario.
Un suo indubbio successo sono gli Accordi di Abramo tra Israele, gli Emirati arabi e il Bahrein: anche i democratici gliel’hanno riconosciuto. Ma Trump sa che i successi in politica estera muovono pochi voti. A meno che non coinvolgano le vite degli americani. Così sta promuovendo un secondo accordo, tra il governo afghano, sostenuto dagli Usa, e i talebani. Motivo: vuole riportare a casa tutti i soldati americani che ancora si trovano in Afghanistan prima delle elezioni. Ci riuscirà, costi quel che costi. Anche a costo di lasciare Kabul in mano ai tagliagola. Perché i talebani, che lui stesso considerava terroristi, non sono cambiati: si mostrano moderati e concilianti solo per conquistare il potere. E poi mostreranno il loro vero volto. Ma a Trump non interessa: i suoi obiettivi non si spingono oltre il 3 novembre, data delle elezioni.
Essendo sgamato, Trump sa benissimo che la paura, le divisioni e l’odio sono sentimenti primordiali che spostano voti. E la fortuna gli corre in aiuto: gli eccessi violenti di alcune frange estremiste del movimento Black lives matter stanno producendo un contraccolpo securitario. Lo slogan Defund the police si è rivelato disastroso: la polizia violenta va riformata, non indebolita. Altrimenti la criminalità cresce. Come infatti sta accadendo, in alcune città. E lui, sagacemente, ribatte con lo slogan specularmente opposto, e di grande presa soprattutto sull’elettorato bianco: Law and order, legge e ordine.
Trump ama i colpi di scena. C’è chi si aspetta un October surprise, una sorpresa di ottobre: un colpaccio a sorpresa, un coniglio tirato fuori dal cilindro a pochi giorni dalle elezioni, che gli dia quella spinta che gli serve per vincere. Potrebbe essere il vaccino per il Covid. Sarà pronto in tempo? L’importante è che l’annuncio sia pronto in tempo. Se non dovesse funzionare, potrebbe sempre giustificarsi: non sono uno scienziato, come potevo saperlo?
Poi ci sono i colpi sotto la cintura. In cui lui è maestro. Alcuni li tira di persona. Altri, i più micidiali, li fa tirare dai suoi supporter. Lui, ufficialmente, non c’entra. Ma ne è l’ispiratore, dietro le quinte. Uno di questi è l’accusa, rivolta a Biden, di essere un pedofilo. A riprova circola in rete una foto in cui lo si vede, occhiali scuri sul naso, mentre sembra che stia baciando morbosamente un bambino. In realtà si tratta di un’immagine ritagliata e completamente fuori contesto. Infatti quello scatto risale al 2015, durante la cerimonia funebre di Beau Biden, suo figlio morto di tumore al cervello. Joe stava consolando il nipotino, rimasto orfano. Alle elezioni del 2016 una bufala simile – la voce che Hillary Clinton e il Partito Demcratico erano a capo di una congrega di pedofili – costò una sparatoria contro la pizzeria indicata come il covo della cricca.

Joe e la puttana
Un altro meme molto diffuso in queste settimane è Joe and Hoe: Joe (Biden) e la puttana. Dove la donna di facili costumi è la sua vice, Kamala Harris. Colpevole di avere avuto, quando era single, una relazione con un politico divorziato.
E’ singolare che Trump, noto fedifrago, cliente di pornostar poi pagate per tacere e accusato di violenza sessuale da 26 donne, si erga a moralista. Proprio lui, che quattro anni fa venne ascoltato in una registrazione in cui diceva, spavaldo, che se sei un vip come lui puoi afferrare le donne per la fi… Ma il bello di Donald è che a lui tutto è consentito: “Potrei sparare ai passanti nella Quinta Avenue di New York e non perderei neanche un voto” ha detto, soddisfatto.
Ha ragione. Molti tra i suoi fan sfegatati (compresi i miei affezionati lettori del Giornale) sono affetti da bias cognitivo: credono solo a ciò che va a favore del loro idolo, e rifiutano di credere al contrario. Ciò che non vogliono vedere, e ascoltare, non può che essere frutto di un complotto. Dei poteri forti. Come se il presidente degli Stati Uniti fosse un potere deboluccio. E le testimonianze dei suoi numerosi ex collaboratori e della nipote psicologa, che lo dipingono come un uomo bugiardo, ipernarcisista e instabile? Servono solo a convincere chi è già convinto che lui sia inadatto a governare. Ma non spostano un voto dall’altra parte.
Trump vincerà le elezioni. Magari, come contro la Clinton, prenderà meno voti: ma cosa importa, quando ciò che conta è portare a casa i delegati negli stati in bilico? E se anche non dovesse vincere, dirà comunque che ha vinto. Anzi, che ha trionfato. Che il voto postale era falso, e che i democratici hanno truccato le elezioni. Infatti Donald non ammette la sconfitta. Anche perché in caso di sconfitta potrebbe trovarsi in tribunale, a rispondere delle sue azioni: dall’evasione fiscale alla corruzione.
Cosa farà dopo avere vinto per la seconda volta, di riffa o di raffa? Sarà ancora più estremista. Ricordate che quattro anni fa, dopo la sua prima vittoria presidenziale, illustri commentatori previdero che si sarebbe dato una calmata, perché ormai la campagna elettorale era finita? Non è stato così. E dal momento che non è previsto un terzo mandato (a meno che non arrivi a cambiare la Costituzione), si sentirà svincolato da qualunque remora o scrupolo: non dovrà più rendere conto di nulla agli elettori.
Gli Stati Uniti saranno ancora più isolazionisti: unica eccezione, il sostegno a Israele. Dopo avere ritirato gli Usa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità potrebbe ritirarli dalla Nato e da altri organismi internazionali: Trump non ama gli organismi multilaterali, preferisce il braccio di ferro con Paesi affrontati uno alla volta. Perché sa di vincere. Per questo cercherà di sgretolare l’Unione Europea. E lascerà spazio libero ad altre potenze, con mire di espansione globale: la Russia, la Turchia, e soprattutto la Cina. Trump la attacca commercialmente, ma la favorisce politicamente. Gli Stati Uniti accelereranno la loro perdita d’influenza nel mondo, mentre i suoi avversari ne approfitteranno.
Ma c’è una cosa cui, sotto sotto, Trump ambisce per completare il suo trionfo: dare vita ad una dinastia di presidenti. Ci hanno provato i Kennedy e i Clinton. Ci sono riusciti i Bush. Perché non dovrebbe riuscirci anche lui? La sua figlia prediletta, Ivanka, è la pedina su cui punta. Chissà, forse sarà lei la prima donna presidente degli Stati Uniti…

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