I sauditi dietro il golpe turco
I SAUDITI SAPEVANO
La fonte è Mujtahidd (@mujtahidd), un account twitter dietro il quale si cela un informatore saudita ben inserito nei meandri dei palazzi di Abu Dhabi e Ryad e con forti connessioni con le famiglie reali del Golfo; è lui a svelare che il colpo di Stato ad Ankara vedrebbe il coinvolgimento degli Emirati Arabi e dell’Arabia Saudita.
In modo particolare, emergono le figure dei due ministri della Difesa: Mohammed bin Zayed Al Nahyan (principe ereditario di Abu Dhabi) e il giovane Moḥammad bin Salmān membro della famiglia Saudi e anche vice Primo Ministro Saudita che avrebbero saputo in anticipo del colpo di Stato.
Quest’ultimo, secondo la fonte, starebbe ora cercando di coprire “lo scandalo” pagando profumatamente i turchi per il loro silenzio.
Il coinvolgimento delle monarchie del Golfo è confermato anche da fonti iraniane: secondo l’agenzia Fars il ministro degli esteri di Teheran, Mohammad Javad Zarif, in una riunione a porte chiuse avrebbe espresso il suo rammarico per il fatto che “alcuni paesi come Arabia e Qatar si siano interessati alla vittoria dei golpisti contro un governo legalmente eletto”.
Anche a Gerusalemme sono convinti che il golpe turco abbia un’origine saudita. Lo confermano fonti dell’intelligence israeliana citate da Aaron Klein.
Ma perché i regnanti sauditi (o esponenti di quei regimi) avrebbero cercato di abbattere il governo di Erdogan? Non certo per impedire una svolta islamista della Turchia (leitmotiv dei media occidentali), considerando che i paesi del Golfo rappresentano il volto più oscurantista, intollerante e integralista dell’Islam.
La ragione va probabilmente cercata all’interno della crisi siriana e della decisione della Turchia di ripristinare le relazioni con la Russia di Putin e accettare i piani di pace che prevedono il mantenimento del regime di Assad all’interno di una nuova cornice del Medio Oriente.
LA SIRIA IN PILLOLE
La guerra in Siria, al di là della retorica democratica con cui è stata infarcita dalla manipolazione occidentale, è in realtà l’ultimo tassello di un progetto complessivo di stravolgimento del Medio Oriente orchestrato dagli Usa e dai loro alleati sauditi. L’obiettivo non era quello di “liberare l’oppresso popolo siriano” da una dittatura che era comunque più tollerante di molte di quelle in Medio Oriente, ma abbattere il regime di Assad (sciita-alawita e filo iraniano), inventando l’ennesima “guerra civile di laboratorio” (come per la Libia) travestendo da ribelli moderati le bande di Al Qaeda finanziate e armate dall’Occidente; e mentre i ribelli moderati agivano dall’interno, dall’esterno avanzava la minaccia islamista dell’Isis, in una manovra a tenaglia con l’obiettivo di far deflagrare la Siria.
Sono state le monarchie saudite ad aver finanziato l’Isis (con l’aiuto dell’intelligence americana) e ad aver appoggiato il progetto di un Califfato (entità di matrice ideologica wahabita) garanzia della loro espansione nel Mediterraneo.
Progetto che si è interrotto solo con l’intervento militare russo (al fianco dell’alleato siriano) che ha cambiato lo scenario di guerra causando l’inizio della sconfitta del Califfato e costringendo a quel punto l’Occidente ad iniziare sul serio la guerra alle bande di mercenari jihadisti fino ad allora tollerate.
D’altro canto, il ruolo dell’Arabia Saudita come dispensatore di terrorismo islamico (da Al Qaeda all’Isis) e diffusore di integralismo nelle comunità mussulmane europee, l’abbiamo già spiegato in questo articolo.
IL RUOLO DEGLI USA?
Washington non ha avuto un ruolo attivo nel tentato Golpe ma è probabile che ambienti dell’amministrazione americana fossero a conoscenza di ciò che stava accadendo e, semplicemente, abbiano aspettato di capire come sarebbe andata a finire. Il ritardo con cui Obama ha condannato il colpo di Stato (praticamente a fallimento compiuto), ne potrebbe essere una prova.
Inoltre è ormai assodato che una funzione importante nel golpe l’abbia svolta l’aviazione turca di stanza nella base Nato di Inçirlik; è impossibile pensare che i vertici dell’Alleanza Atlantica (e quindi Washington) non sapessero di quello che avveniva in una della basi più strategiche che la Nato ha nel mondo (la base ospita una dozzina di US-B61 bombe a nucleari all’idrogeno). Non a caso la base di Inçirlik (al pari di quella di Aviano in Italia) è una base difesa direttamente dalle forze di sicurezza americane e non da quelle del paese ospitante.
Da non tralasciare un altro fatto, stranamente profetico: nel marzo scorso l’American Enterprise Institute, il più influente think tank americano, espressione delle politica estera Usa, pubblicava una articolo di Michael Rubin, uno dei migliori esperti di Medio Oriente, dal titolo emblematico: “Potrebbe esserci un colpo di Stato in Turchia?” in cui immaginava tra l’altro un rovesciamento di regime grazie ad un golpe militare con il sostanziale e tacito accordo americano.
NON FU UN AUTOGOL(PE)
Il Golpe turco non è stato un autoGol(pe) di Erdogan. Esso s’inserisce all’interno delle convulsioni del Medio Oriente, generate dalle Primavere Arabe e dalle guerre umanitarie condotte dall’Occidente che hanno scardinato l’assetto precedente e ora dalla crisi siriana.
L’ambiguità turca, l’aggressività mai celata dei signori dei petrodollari, il dilagare dell’integralismo e la disgregazione di interi assetti statali, l’incognita di Israele, l’esodo migratorio in Europa, rendono questa regione sempre più polveriera del mondo.
Ciò che emerge è la sensazione che gli Stati Uniti non abbiano la minima capacità di definire il loro ruolo in questa fase e con queste leadership. Forse per l’Europa è il tempo di individuare nuovi equilibri e nuove alleanze a difesa dei propri interessi strategici se non vuole essere travolta dalla storia.
Su Twitter: @GiampaoloRossi
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