Renzi e il rebus Torino
I riflettori sono da tempo puntati sull’asse Milano-Roma. Eppure, l’ago della bilancia dei ballottaggi di domenica potrebbe essere un altro. A sorpresa, infatti, la partita di Torino pare essere molto più aperta di quanto ci si poteva immaginare solo qualche settimana fa, con Piero Fassino e Chiara Appendino che sarebbero divisi da un pugno di voti. Ne è sicuro Osvaldo Napoli, candidato sindaco al primo turno che grazie al suo 5,3% siederà nel prossimo Consiglio comunale come capogruppo di Forza Italia. In mezzo al Transatlantico, incrociando l’ex viceministro dell’Economia Gianfranco Micchiché, Napoli parla della sfida torinese e racconta di un sandaggio che a cinque giorni dal voto dà Fassino al 51% e Appendino al 49%. Il primo forte soprattutto tra la borghesia e in parte nella classe media, la seconda più popolare tra i giovani. Insomma, se l’esponente dei Cinque stelle riuscirà a portare in massa alle urne il suo elettorato di riferimento il colpaccio le potrebbe riuscire davvero.
Il che, inutile dirlo, avrebbe un contraccolpo d’immagine pesantissimo per il Pd e – inevitabilmente – per Matteo Renzi. Non solo perché Torino è storicamente una roccaforte della sinistra, ma anche perché Fassino è il sindaco uscente oltre che il presidente dell’Anci (la potente Associazione dei comuni italiani) e l’ultimo segretario dei Ds, quello che nel 2007 ha traghettato il partito nel Pd. Sarebbe, insomma, una sconfitta rumorosa. Per il peso specifico di Fassino e per il significato politico di quella che sarebbe vista come una debacle.
A quel punto, se a Roma le cose dovessero andare come dicono gli ultimi sondaggi, per Palazzo Chigi l’onda d’urto sarebbe difficile da gestire. Virginia Raggi, infatti continua a godere del favore del pronostico, con Roberto Giachetti che non pare in grado di colmare gli oltre dieci punti di distanza del primo turno. Se Beppe Grillo dovesse portare a casa il Campidoglio, insomma, non solo la notizia farebbe il giro del mondo in un attimo, con buona pace di quell’immagine di “vincente di successo” a cui Renzi tiene molto. Ma – in coppia con Torino – sarebbe la certificazione che l’antirenzismo del M5S ha fatto proseliti in questi due anni in cui l’ex sindaco di Firenze ha seduto a Palazzo Chigi. Sarebbe niente altro che il secondo tempo, dunque, di una partita che lo scorso 5 giugno aveva già dato plasticamente l’immagine di un voto contro Renzi. Che a quel punto diventerebbe uno dei principali responsabili politici – quantomeno nel ruolo di catalizzatore – dell’ascesa dei Cinque stelle.
Uno scenario nel quale una vittoria a Milano di Giuseppe Sala sarebbe niente più di un’aspirina. Inutile dire che se il capoluogo lombardo – dove la sfida pare essere al fotofinish – dovesse andare al candidato del centrodestra Stefano Parisi, per Renzi sarebbe una disfatta senza precedenti. Forse riuscirebbe comunque a restare aggrappato alla poltrona di Palazzo Chigi fino al referendum costituzionale di ottobre, ma la sua leadership sarebbe comunque pesantemente compromessa.