Ci sono momenti della tua vita che ti ritorneranno sempre alla memoria.

Sono i momenti in cui hai preso una decisione: da una parte o dall’altra.

E il momento in cui io ho deciso che NON sarei diventato MAI giornalista professionista è stato quando ho visto il mio maestro scrivere come un diavolo seduto su una sedia con la macchina da scrivere appoggiata sul letto della sua camera. Ed alzare la testa solo al suono delle sirene di una autombulanza o di una volante della polizia, pronto a mettersi in macchina per seguire la sirena fino ad arrivare all’incidente o all’incendio o alla rapina. Quella passione professionale  non l’avrei mai più vista in nessuno dei tanti giornali che ho frequentato nella mia lunga carriera di pennivendolo.

Io avevo 15 anni e lui 20.

E mi ha fatto paura.

Mi ha fatto paura perché io ho capito in quel  frangente che non avrei mai avuto quella convinzione pura, quella gioia intensa nel sentirmi giornalista, nel fare giornalismo, nel credere nei valori civili del giornalismo.

E subito dopo la paura è venuta l’ammirazione, perché di fronte all’ideale, che sia professionale o religioso o politico, ciascuno di noi si sente piccolo. Ed inadeguato.

S’, l’ideale. Alberto Iori detto “albertino” per il suo fisico minuto credeva in quella faceva. E sotto questo profilo era un uomo a tutto tondo: corretto con i colleghi, corretto con il lettore, corretto con sé stesso.

Alberto Iori se ne è andato all’età di 55 anni ieri dopo una vita vissuta intensamente, uno dei pochi o degli ultimi se vogliamo dire a partire dalla gavetta della corrispondenza locale per diventare giornalista professionista. Da Sassuolo a Modena, poi a Carpi, poi non so dove e quindi di nuovo a Modena per finire al comando centrale del giornale a Bologna.

Giusto un anno fa gli avevo mandato una email dove gli dicevo che se anche ci incontravamo per caso una volta ogni 5 anni in piazza a Sassuolo io non avevo dimenticato quello che aveva fatto per me, prendendomi per mano e portandomi al massimo della professionalità possibile senza nulla pretendere in cambio. Senza nascondermi niente. Per solo amore dell’ideale. E che lo consideravo il mio maestro di giornalismo, soprattutto per i valori etici che mi aveva trasmesso: mai tradire il lettore.

“Albertino” era un uomo tutto di un pezzo,  lui era nato per scrivere quello che vedeva, senza filtri, e forse la realtà sul finire dei suoi anni gli stava un po’ stretta come sempre sta stretta a chi ha la schiena dritta. Non era tipo da giornalismo di corridoio: quando hai visto il fango della trincea non riesci a stare al caldo dietro una scrivania di un comando. Per lui il periodo più bello della sua vita è stato sicuramente quando cacciava le notizie in pretura, al pronto soccorso, sulla strada.

Uno come “Albertino”  io dopo non l’ho più incontrato.

Si deve essere rotto lo stampino con cui hanno fatto Alberto Iori, perché quando ho trovato qualcuno sulla mia strada che mi ha insegnato poco dopo mi ha sempre chiesto tanto.

Ciao “albertino”, la vita è curiosa perché spesso prende tutto e raramente restituisce qualcosa. E’ bello pensare che almeno per qualche lustro sei stato quello che volevi tanto diventare. E auguro ai tuoi figli di avere la tua stessa passione professionale, qualsiasi mestiere essi pensino di intraprendere.

Buon viaggio amico mio.

Da morto o da vivo rimani il mio maestro.

E continuerò a ricordartelo anche in futuro, pur sapendo che a te questo genere di carinerie, uomo dritto, non sono mai andate giù.

alberto iori