Mercoledì scorso, all’improvviso i mercati, come si dice in gergo, sono girati: tutti
si sono messi a comprare. Titoli di Stato, azioni, obbligazioni hanno
fatto segnare rialzi a due cifre. L’euro che viaggiava pericolosamente
sotto quota 1,20 contro il dollaro è rimbalzato. È bastata una
dichiarazione del presidente della Bce. Ma cosa ha detto di così forte
Mario Draghi? Riportiamo fedelmente: «Ho un messaggio chiaro da darvi:
nell’ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il
necessario a preservare l’euro». E fino a questo punto nulla di nuovo.
Il governatore aveva detto più o meno le stesse cose in un’intervista
rilasciata nel fine settimana a Le Monde. Non aveva sortito gli effetti
sperati: alla riapertura dei mercati di lunedì, essi avevano continuato
per la loro strada in discesa. Ciò che ieri ha contato davvero è la
seconda parte della dichiarazione di Mr. Euro. Questa: «Credetemi: sarà
abbastanza. Se il premio pagato sul funding governativo impedisce la
trasmissione della politica monetaria, allora questo rientra nel nostro
mandato».
È il bazooka della Bce, sono le armi non convenzionali. Detto in parole
semplici, ieri gli speculatori si sono presi una fifa blu. Il loro
timore è che la banca centrale si possa mettere a stampare moneta per
contrastare le vendite al ribasso sui titoli di Stato dell’area euro.
Draghi per la prima volta ha detto esplicitamente che potrebbe
utilizzare questa arma se costretto e che il suo utilizzo non sarebbe in
contrasto con il dettato statutario della banca che presiede. Vedremo
tra poco che la cosa non è così semplice, ma quel che conta è che i
mercati e i ribassisti ci hanno creduto. Eccome. Tanto più che l’uscita
di Draghi sembra in contrasto con quelle dell’ultimo incontro della
banca centrale in cui si disse che era da considerarsi impossibile un
intervento attivo della banca nel fondo anti-spread di cui si era
discusso al vertice europeo. Evidentemente qualcosa è cambiato nel
frattempo.
C’è un vecchio detto della finanza americana: «Never fight the Fed». Non
fare mai la guerra contro la banca centrale americana, perché la perdi.
Draghi ieri ha fatto intendere che la storiella potrebbe valere anche
per l’euro. Al prossimo incontro del due agosto capiremo meglio quali
armi non convenzionali verranno messe in campo. Ma soprattutto quanto
l’area tedesco-centrica consentirà il loro utilizzo. Draghi è
considerato, come Monti, il più tedesco degli italiani. Ma anche il più
vicino alle richieste che arrivano da oltreoceano. E non è un mistero
che il presidente degli Stati Uniti, in attesa di rielezione, e il suo
governatore centrale, sono mesi che chiedono all’Europa di muoversi
senza indugi nella difesa dell’euro.
Senza tanti giri di parole ieri gli speculatori hanno iniziato a temere
che la banca di Francoforte possa mettersi a comprare direttamente
titoli di Stato dei Paesi periferici (Italia e Spagna) per calmare la
furia ribassista dei mercati. Se così dovesse essere (non è ovviamente
detto e lo sapremo solo dopo il due agosto) il mercato farà un rimbalzo
deciso. Stampare moneta (gli Stati Uniti lo stanno facendo ormai da
anni) in un ambiente economico e finanziario che ha una grande
avversione al debito e in cui le produzioni nazionali rallentano non è
però la soluzione dei problemi.
Esistono due piani: quello finanziario in cui la mossa di Draghi ha un
grande senso. E quello produttivo in cui essa permette solo di
guadagnare tempo. Vi è inoltre un paradosso che spesso sfugge. Il nostro
sistema produttivo più internazionalizzato e patrimonializzato (non ha
gran bisogno di credito ed esporta una buona quota della sua produzione)
oggi non sta soffrendo affatto. Il nostro deficit commerciale nei primi
sei mesi dell’anno scorso era di 20 miliardi di euro. Quest’anno è stato
pari a zero. In parte a causa dalla riduzione dei consumi indotti
dall’alta tassazione. Ma la fetta più importante è per la ripresa delle
esportazioni che nasce anche dalla svalutazione (circa del dieci per
cento) dell’euro. La mossa di Draghi, se invece verrà portata a termine,
rafforzerà la moneta unica.
È questo il difficile gioco di interessi in cui siamo finiti. Da una
parte la divisione all’interno dell’eurozona sui compiti della sua banca
centrale. Oggi il pendolo sembra essere finito più dalla parte di chi
vuole una Bce come prestatore di ultima istanza. E dall’altra la
divisione tra produttori virtuosi e Stati spendaccioni. I primi
vorrebbero una moneta stabile e non sopravvalutata con un costo del
credito decente, i secondi con la loro bulimia fiscale ci hanno messo
nelle condizioni di sperare che si inondino i mercati di liquidità,
svilendo quella merce preziosa e delicata che si chiama moneta.
In questo la dottrina Merkel è comprensibile e apprezzabile. Non
possiamo continuare a pensare che il nostro sistema pubblico sia
completamente esentato da un vincolo di bilancio: si ritiene che si
possa spendere a piacimento e pareggiare con maggiori tasse o a debito.
Draghi ha sempre detto, nelle sue considerazioni finali da governatore
della Banca d’Italia, di essere dello stesso avviso. Ma oggi si trova a
lanciare una ciambella di salvataggio al sistema che altrimenti
crollerebbe.
Primum vivere deinde philosophari.

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